La valle delle bambole di Moschino

La valle delle bambole di Moschino

Partire dal piccolo pensando in grande. E siccome una sfilata non poteva farla senza pubblico, quel geniaccio discolo e vulcanico di Jeremy Scott, che una ne pensa e cento ne fa, si è inventato una trovata davvero brillante: una sfilata bonsai con bambole al posto delle modelle e un pubblico di marionette con le fattezze degli opinion leader della moda. Così Moschino si è messo in scena a Milano, perché una risata ci seppellirà. Il concetto è semplice: cosa può esserci di più attuale di un mondo a soqquadro o ‘sotto sopra’? Tutto questo deve e può tradursi in abiti che svelano tutti segreti della loro elaborata e sofisticata costruzione surreale. Il nostro mondo è sempre più surreale? E allora perché non esibire le cuciture interne degli abiti, lusso supremo da sempre prerogativa della haute couture che si basa su imbastiture e cuciture? Bordi, nervature, stecche da corsetteria, pannelli, pince e rifiniture occhieggiano sulla parte esterna dei capi. Le tasche dei pantaloni sventolano liberamente come drappeggi a petalo. Una cerniera su un abito scollato è applicata esternamente, per terminare in un risvolto in jacquard dorato cucito sul retro mentre una gradevole stampa piume evoca il clima ovattato dei défilé confidentiel degli atelier parigini degli anni’50.

Gli abiti sono accuratamente realizzati inside-out, mentre le sottogonne di tulle a ruota si allungano oltre gli orli per creare silhouette e proporzioni non convenzionali. Nelle fogge delle creazioni in pedana è all’età aurea dell’alta moda francese che guarda Scott chez Moschino con la sua galleria di abiti in miniatura che ricordano ‘Le Theatre de la mode’ del secondo dopoguerra evocando anche il glamour delle poupée che all’epoca del Re Sole erano le uniche mannequin che la moda aulica conoscesse. La palette è simile a quella della precedente collezione, un en plein ispirato ai fasti della corte di Marie Antoinette.

Tanti i dolci toni pastello molto ancien régime come il rosa confetto, il crema, il verde acqua, l’azzurro cielo, il cremisi, tutti stemperati da una verve ironica e graffiante che riproduce, nel parterre, i tratti iconici di Anna Wintour e di Hamish Bowles, di Chiara Ferragni e di tutte le icone della moda attuale. Da Dior a Fath, da Balenciaga a Patou fino a Pierre Balmain e Charles James, la lezione dei grandi couturiers parigini viene rivissuta da Jeremy Scott con il suo tipico gusto per lo sberleffo ma anche con una notevole perizia tecnica e uno styling sempre cool e accattivante.

Il grande spettacolo delle bambole glamour allestito per lo show digitale è il risultato pregevole e dissacrante di The Jim Henson Creature Shop in un tripudio di oro e broccato, di tulle e organza, di morbide princesse e curve burrose con una panoplia di accessori divertenti ed eleganti che sembrano simulare il capitonné dei divani ottocenteschi. Ancora una volta il bad boy della scena fashion ha fatto centro con una collezione spiritosa e dall’elevato contenuto moda, moderna e timeless ma senza mai prendersi sul serio.

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