Intervista a Massimiliano Pugliese – fotografia cinematografica

Massimiliano Pugliese è nato a Roma nel 1970. Da anni, accanto al suo lavoro presso un ente pubblico, affianca l’attività fotografica sviluppando e realizzando progetti personali attraverso un linguaggio intimo. Grazie al suo stile fortemente autoriale, si è contraddistinto in occasione di vari concorsi fotografici. Nel 2015, il suo lavoro “Getting Lost Is Wonderful” è divenutoto una magnifica pubblicazione di Fugazine, una piccola etichetta indipendente di produzioni fotografiche.

Come nasce la sua passione per la fotografia? 

20 anni fa seguendo un po’ di amici appassionati. Capii subito, però, che tra noi c’erano alcune differenze sostanziali: loro erano più appassionati al mezzo in quanto conoscevano le macchine e gli obbiettivi migliori, io ero interessato solo al risultato. Di fronte ad una rivista di fotografia, loro leggevano i test di qualità, mentre io tendevo a guardarne le foto. Ancora oggi, quando qualcuno mi chiede un parere su una macchina fotografica, non riesco mai ad essere d’aiuto; la tecnologia mi interessa solo nel momento in cui la mia macchina diventa obsoleta e sono costretto a cambiarla.

Molte delle sue immagini sembrano ispirarsi al cinema. Ci sono dei film, in particolare, che hanno ispirato alcuni dei suoi progetti?

Assolutamente sì, il cinema è una grande fonte di ispirazione. Mi affascina il lavoro di registi quali Lynch e Tarkovskij tra i classici, Refn e Park Chan Wook tra i contemporanei. Se dovessi però scegliere un film direi “Lasciami entrare” del regista svedese Tomas Alfredson. Dopo averlo visto ho capito quanto per me fosse necessario lavorare su quelle che sono le mie “ossessioni”. Mi innamorai di alcune sequenze notturne del film, non riuscivo a togliermele dalla testa; allora cercai di capire dove il regista le avesse girate. Era il quartiere Blackeberg di Stoccolma. Sono stato lì varie volte ed anche a febbraio di quest’anno: è stata la mia decima volta. Da tutti questi viaggi ne è uscito solo un lavoro, ormai abbastanza vecchiotto (2011), che ho chiamato “Let the right one in”, come il titolo in inglese del film. E’ un lavoro in bianco e nero analogico, lontano dal mio stile attuale nella forma ma non nelle atmosfere. Nel mio penultimo lavoro “Getting lost is wonderful”, pubblicato come terzo numero di Fugazine, un’etichetta indipendente di produzioni fotografiche, la serie di foto è intervallata da quattro citazioni prese da film che mi hanno ispirato. Insomma sì, in un modo o nell’altro, il cinema è sempre presente.

Untitled 2

Ci sono dei fotografi che hanno influito particolarmente sulla sua formazione?

Sulla mia formazione non so, ma ce ne sono molti di cui sono stato e sono un grande fan. Ovviamente all’inizio i fotografi più classici e famosi, soprattutto quelli della Magnum, poi nel corso degli anni ho trovato quelli più vicini alle mie corde. Ne elenco qualcuno, ma ce ne sarebbero centinaia: Gregory Crewdson, Todd Hido, Bill Henson. Ho adorato i nudi di Mona Kuhn, i ritratti di Laura Pannack, la follia di Roger Ballen, le atmosfere di Katrin Koenning.

Le sue immagini variano dai toni più scuri a quelli più tenui. In entrambi i casi, i colori
sono funzionali all’atmosfera che desidera catturare. Qual è l’elemento a cui presta
maggiore attenzione mentre fotografa?



E’ una domanda difficile. Direi che le mie foto più che variare sono o molto scure o molto chiare, più spesso scure. Per molti, questo è dovuto al mio carattere un po’ tenebroso e crepuscolare. Io vorrei che nelle mie foto ci fosse sempre qualcosa di indefinito, un qualcosa che costringa le persone a soffermarsi un po’ di più mentre le guardano.

Untitled

Quanto conta la tecnica nella sua personale fotografia?

Vorrei contasse di più. Mi spiego meglio: ho studiato fotografia all’Istituto Superiore di fotografia di Roma, ma a quel tempo (ormai quasi 15 anni fa) ero più interessato al reportage ed ho forse trascurato cose che allora mi interessavano meno, come l’utilizzo dei flash e del banco ottico. Ora vorrei avere maggiori capacità nella gestione delle luci, perché sono più consapevole di quanto siano importanti in questo lavoro.


Come si approccia, in genere, per l’elaborazione di un progetto?

Come ho già detto i lavori che realizzo nascono dalle mie ossessioni. Quando penso e ripenso ad una cosa, capisco che è il momento di lavorarci sopra. All’inizio lavoravo sui luoghi, ad esempio le spiagge dello sbarco in Normandia, Stoccolma, una spiaggia di surfisti vicino Roma. Nel corso del tempo, sono diventato meno descrittivo e più astratto. Io mi definivo addirittura anti-narrativo, anche se recentemente, parlando con un curatore, mi è stato detto che le mie foto sono tutto fuorché non narrative. Di questa cosa, comunque, me ne curo poco soprattutto perché non sarei capace di fare una fotografia diversa: non sarei sincero con me stesso e con chi guarda.

Swedish Landscape

Crede di aver trovato il suo linguaggio personale o di esserne ancora lontano?

Peccherò un po’ di presunzione, ma credo di sì. Anzi, è una delle mie poche sicurezze. Di questo trovo conferma negli altri, spesso mi viene detto che le mie fotografie sono sempre riconoscibili. E’ il più grande complimento che mi si possa fare.

Come si pone verso l’errore?

Spesso il mio problema sta a monte dell’errore: essendo conscio di alcune carenze tecniche, a volte preferisco non scattare. Questo mi succede soprattutto nei ritratti, dove sento di dover comunque dimostrare qualcosa al soggetto fotografato. Quindi, in linea di massima, preferisco fotografare persone che conosco bene, tant’è che i soggetti delle mie foto sono quasi tutti amici che “schiavizzo” regolarmente.

Let the right one in

Dove si dirige attualmente la sua fotografia?

Spero continui nel solco di quello che ho fatto negli ultimi anni. Ogni tanto penso che dovrei cimentarmi in qualcosa di più facile comprensione, una storia più classica e dai contorni più definiti; ma come ho detto, voglio cercare di fare una fotografia più sincera possibile specialmente perché, ultimamente, di fotografia non sincera, nei testi e nelle motivazioni, ne vedo parecchia.

Cosa vorrebbe, invece, non fotografare?

Senza dubbio i matrimoni. Troppo stress!

Getting lost is wonderful 2

Le immagini di Massimiliano Pugliese, sfruttando la gamma dei toni più scuri fino a quelli più tenui, catturano delicatamente l’atmosfera dei soggetti ritratti. Il silenzio è assordante e gli osservatori lo possono ben percepire a partire da pochi elementi: le onde increspate del mare, i tronchi quasi allineati di un bosco, la vegetazione folta e solitaria in assenza di fauna. I soggetti umani sono spesso e volentieri assenti, e quando compaiono, sono ritratti di sfuggita, vaghi, e avvolti dalla bellezza della natura circostante. Lo sguardo del fotografo non è mai invadente, ma quasi impercettibile, nel pieno rispetto dei pensieri e delle loro storie personali.

http://www.massimilianopugliese.com/