“La casa delle belle addormentate”, il libro di Yasunari Kawabata

Eguchi è un sessantasettenne che sente la fine vicina, sente la tristezza della vecchiaia; spinto da un amico si reca in una casa particolare dov’è possibile dormire accanto a delle giovani ragazze sprofondate in un sonno indotto. 
Dapprima solo incuriosito, Eguchi tornerà alla casa una seconda volta invitato dalla signora di mezza età che gestisce il postribolo, e una terza volta spinto dal bisogno di calore umano che cerca nei corpi nudi e tiepidi distesi inermi e pronti per essere vegliati. Le sue visite sono atti di vojerismo, le ragazze ridotte a dei balocchi permettono ai clienti anziani (il genere di persone ammesse alla casa deve risultare innocuo, impotente, incapace di esprimere la propria virilità) di non subire il complesso di inferiorità del proprio decadimento.

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Le scene descritte da Yasunari Kawabata sono claustrofobiche e morbose, i corpi delle giovani donne dormienti vengono passati allo scanner, ma la regola vuole che non debbano essere deflorate per alcuna ragione, regola che spinge il protagonista a pensieri di violenza più che d’eccitazione.

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Le ragazze drogate da potenti sonniferi non si muovono, sono dei cadaveri che emanano leggeri respiri e che lasciano all’anziano il tempo di ripercorrere i ricordi di una sessualità e di una umanità viva e passata. Eguchi, a differenza degli altri clienti, è un uomo ancora in attività sessuale; steso accanto alle giovani ha il desiderio di sentire la loro voce, di sapere delle loro vite, ma rispetta le norme imposte dal luogo e, come da prassi, finisce col prendere la pillola bianca a disposizione dei signori per passare ad un sonno profondo e carico di sogni e impedire così ogni sorta di violenza nei confronti delle bambole di carne. 

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In quella stramba casa le donne non possono essere trattate come donne, e gli uomini non possono adempiere al compito destinato agli uomini, e proprio quest’atmosfera rende il gioco ancora più intrigante ed esoterico. Le prostitute sono vergini impenetrabili, disponibili solo al tatto e all’olfatto, senso che Eguchi riscopre con grande intensità e che lo porta in lunghi viaggi spaziali, tra memoria e flussi di coscienza. Durante quelle notti, Eguchi si domanda che valore può avere un bel corpo per un vecchio ormai sessantasettenne, nel caso di una ragazza per una notte soltanto, che importa che sia intelligente o sciocca, colta o ignorante, se si riduce tutto ad un gioco che ha già il sapore della morte? 

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Erotismo e morte si mescolano spesso nella letteratura di Kawabata, sono forse la stessa cosa, e la ricerca di calore umano, che Eguchi spera di ritrovare in quel bordello anomalo, sarà una rivelazione di assenza, di totale disumanità.

Il romanzo si conclude con una mano pronta a girare l’altra pagina, che troveremo vuota e con la parola “FINE”, lascia una sensazione di incompiutezza, come il desiderio trattenuto e messo a dormire. Il pessimismo di Kawabata si ammanta di così tanta poesia che rende quasi piacevole il dolore e il crogiolarsi nella disillusione.