I MIGLIORI MUSEI DI VIENNA – PARTE 2

I MIGLIORI MUSEI DI VIENNA – PARTE 2 DI 2

Kunsthistorisches Museum

L’alcool non mente: durante le nozze di Piritoo e Ippodamia, principi della Tessaglia, il Centauro più forte tra gli invitati perse il controllo infuocato dal vino, avventandosi sulla sposa nel tentativo di rapirla. Teseo, amico degli sposi, intervenne lottando col centauro, strangolandolo e impugnando una clava per fermare la sua pazzia, bloccandolo con il ginocchio al petto, nella parte esatta in cui finisce l’uomo e inizia la bestia.
La forza del gesto e tutta la sua drammaticità, viene periziosamente scolpita da Canova, nella statuta intitolata appunto “Teseo in lotta con il centauro” del 1805, ora custodita all’ingresso del Kunsthistorisches Museum di Vienna.

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“Teseo in lotta con il centauro” 1805, Canova


Un inizio in pompa magna per una delle collezioni d’Arte più importanti del Mondo. Testimonianza della passione degli Asburgo per il collezionismo, il Museo fu fondato da Francesco Giuseppe per ospitare le collezioni imperiali: oggetti provenienti da cinque millenni, dal periodo degli Antichi Egizi fino alla fine del Settecento; la più vasta raccolta di dipinti di Bruegel e i capolavori di Tiziano, Veronese, Tintoretto, Rubens, Van Dyck, Van Eyck, Dürer, Vermeer, Rembrandt, Raffaello, Caravaggio, Velázquez

Highlights:

Torre di Babele – Pieter Bruegel 1563

Dio punisce gli uomini che vogliono ergersi al cielo, perché l’ascesa deve essere spirituale e non carnale. La Torre che il popolo costruisce in altezza, popolata da uomini che parlano la stessa lingua, è la leggendaria costruzione narrata dalla Bibbia nel libro della Genesi. Riuscendo a leggere nei cuori della gente, Dio scopre l’intenzione della costruzione, cioè l’ottenimento di un “gran nome” e non la proliferazione sulla terra come esseri uguali, come suo volere, cosicché Dio, per punire l’umanità come fece con Adamo ed Eva in principio, decide di confondere le lingue in modo da non permettere la comunicazione. Bruegel dipinge la scena nel 1563, una rappresentazione carica di simboli e significati, definita tra le opere più immaginifiche dell’arte; il pittore rappresenta una torre storta, costruita con due tipi di mattoni differenti e basata su leggi architettoniche distanti tra loro: una risulta essere simile a quella del Colosseo di Roma, l’altra basata su tronchi di coni sovrapposti. Un’opera “impossibile” in partenza, che definisce l’imbecillità umana e l’imminente catastrofe. Una spirale che non verrà mai completata, un dipinto maestoso di un pessimismo cosmico.

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Torre di Babele – Pieter Bruegel 1563


Susanna e i vecchioni – Tintoretto 1555/1557

Una giovane donna fa il bagno in un giardino scuro, ma una strana luce la colpisce ammorbidendone i tratti ed il corpo nudo; due anziani la spiano da dietro una siepe, mentre lei si rimira alla specchio con aria innocente.
Siamo nel 1555 circa e Tintoretto sceglie il nudo per rappresentare la storia di Susanna dell’Antico Testamento, una bella innocente che rifiuta due vecchi intenti a concupirla e a minacciarla di adulterio qualora lei non si fosse concessa a loro. Dopo il rifiuto della giovane, i due vecchi la portano davanti al Tribunale che la condanna ingiustamente, quando l’onesto Daniele si fa avanti contro i due falsi giudici e, interrogandoli, svela le loro menzogne davanti al popolo che scagionerà Susanna.

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Susanna e i vecchioni – Tintoretto 1555/1557


Zigzagando per il Kunsthistorisches Museum ci si imbatte in una luce divina, diffusa dal grande quadro di Jan Vermeer, “Allegoria della Pittura” databile 1666, entrato in possesso di Adolf Hitler nel 1938 e passato al museo viennese nel 1946.
Per gli esperti questo è il “testamento artistico” di Vermeer, di dimensioni importanti (120×100), il quadro non è mai uscito dall’atelier dell’artista prima della sua morte.
Come una sorta di teatro, la scena si apre attraverso una tenda che ci mostra un ambiente domestico in cui un pittore è intento a dipingere una giovane donna; potrebbe essere Vermeer stesso che si raffigura con un bastone poggia-gomito che ha un pezzo di stoffa alle estremità per non rovinare la tela; la luce arriva sempre da sinistra rispetto all’osservatore, la profondità è data dalla pavimentazione a scacchi e dalle travi del soffitto. Seguendo l’onda della “teatralità”, Vermeer posiziona una maschera di gesso sul tavolo, elemento simbolico che ci lascia una domanda in sospeso: “cosa è realtà e cosa finzione?“.

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Jan Vermeer, “Allegoria della Pittura” 1666


Per avvicinarci alla vita imperiale, non possiamo non visitare la stanza delle infanti di Velazquez.

Il ritratto dell’infanta Margarita Teresa in abito blu è forse il migliore della serie, ed è uno dei molteplici ritratti richiesti all’artista, che mostrasse il lento divenire dell’infanta, sottolineandone i cambiamenti, le trasformazioni, i guizzi dell’espressione, i cambi delle mode, la postura, opere che servivano allo zio Leopoldo I d’Asburgo, a cui era stata promessa in sposa.

E’ la seconda metà del XVII secolo e la moda in Spagna prevede ancora l’uso di gonne esageratamente ampie; l’abito è protagonista nel suo blu di seta cangiante, dalle profilature dorate e dal grande fiocco appuntato dalla preziosa spilla al centro del bustier. Le maniche sono voluminose e si stringono sul polso finendo in romantici ed impalpabili voile; la piccola Margarita Teresa porta un guanto sulla mano destra, mentre la sinistra, spoglia, tiene un manicotto di pelliccia, da sempre simbolo di prestigio e di potere.



Leopold Museum

Patria dell’erotismo, Vienna non poteva non ospitare la più grande raccolta del più grande conoscitore dell’erotismo in pittura: Egon Schiele al Leopold Museum che con Gustav Klimt rappresenta il più alto esempio di pittura moderna in Austria, nel dettaglio quel movimento artistico chiamato “Secessione”. Un’ampia sezione è poi dedicata alle opere grafiche ed oggetti del XIX e XX secolo, tra cui il prezioso artigianato artistico di Koloman Moser, designer e decoratore austriaco; Adolf Loos, famoso architetto considerato il pioniere dell’architettura moderna, autore del mitico “Loos American Bar“, una vera chicca art deco’ di 27 metri quadri di legno, vetro, ottone, onice, eleganza, buon gusto, specchi, ottimi cocktail, barman italiani, e una clientela chic e raffinata.



A spiazzarci la prima opera nel percorso al Leopold Museum, il Nudo Maschile, autoritratto di Schiele del 1910, un corpo scavato e spigoloso, contorto su se stesso in una posa innaturale, dai colori verdi e gialli e marroni, tonalità caratteristiche della malattia, dell’ansia, dell’irrequietezza, della pena, cromìe usate anche in ambito cinematografico per rappresentare la follia, la pazzia, pensiamo a Nicolas Winding Refn e alla policromia ossessiva delle sue pellicole, dai verdi intensi come il verde imperatore e il verde mirto. Un’immagine di forza e decadenza, una figura che sembra quasi scolpita nel legno, un uomo senza piedi che galleggia in uno spazio bianco surreale.

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Nudo Maschile, autoritratto di Schiele 1910


Pulsioni e angosce, sessualità e morte, sono i temi frequenti del suo mondo artistico, Schiele si butta sul corpo con voracità e una verità sfacciata, riduce l’anatomia a corpi mutilati, disegni non finiti, donne amputate; negli autoritratti la gestualità è nervosa ed è evidente l’influenza della psicoanalisi freudiana, disegna con profonda introspezione.



Soggetti straziati e sofferenti, stretti in intensi abbracci, come di un abbraccio che indica un addio, Schiele rappresenta quasi profeticamente il suo destino: morirà per influenza spagnola solo tre giorni dopo la morte della moglie.

E’ una produzione intensa seppure breve, trecentoquaranta dipinti e duemilaottocento tra acquerelli e disegni, fatti di corpi di una nudità carnale, brutale, dai tratti nervosi e dalle mani nodose, contorte come in una smorfia.



Spregiudicate e a tratti oscene, le pose delle modelle di Schiele sono simulazioni erotiche, masturbazioni, che provocò al pittore non pochi fastidi in vita, come la condanna e l’arresto per diffusione di immagini immorali, oltre all’accusa di molestie su una minorenne, che poi cadde. Era la sua “pornografia” artistica ad essere condannata.

Il turbamento profondo di Egon Schiele si riversa sulle sue tele, che sono come un diario dove confessa la sua arresa alla vita, in un pessimismo sentimentale e malinconico; intenso il ritratto di donna del 1912, lacrimosa e sofferente per il distacco con il pittore stesso, di cui percepiamo la presenza dietro di lei, vedendone appena il volto ed una rosa rossa.

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I MIGLIORI MUSEI DI VIENNA PARTE 1 DI 2

(foto Miriam De Nicolo’)