MILANO FASHION WEEK: IL “FUORI SFILATA” DA ROBERTO CAVALLI

Tripudio di celebrities e fashion blogger alla sfilata di Roberto Cavalli. Un indice positivo, per celebrare il ritorno del direttore creativo Peter Dundas

Il rinnovamento è avvenuto in casa Roberto Cavalli e il perché lo dobbiamo alla sapiente esperienza dell’ex direttore creativo di Emilio Pucci che, tornato alla casa di moda fiorentina, ne ha sconvolto le linee creative fino alla scorsa collezione in essere. Il risultato una collezione che mescola elementi sportivi ad elementi più eleganti per delineare lo stile di una nuova donna sportiva ma nel contempo una donna di classe. Tutti segnali evidenti di un cambiamento decretato da subito come un vero successo, avallato anche dallo stuolo di celebrities, vip e fashion blogger presenti. Come vi mostriamo nella gallery la sfilata di personaggi famosi è stata più che esauriente, a partire da lei, la super top model Natasha Poly (in black dress) a Renzo Rosso, da Afef alle fashion influencer Anna Dello Russo e Candela Novembre.
Un vero e proprio tripudio di stili, più o meno minimali, ma sempre e solo cool.
Gustatevi le nostre immagini inedite!

ph: Daniele Trapletti

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MILANO FASHION WEEK: STREET STYLE FOREVER

Vi sono i trend di passerella che anticipano le tendenze del prossimo anno e poi vi sono loro i look del fuori sfilata che più di altri sono da guardare, memorizzare e copiare. Il risultato: vincente.

Non c’è santo che tenga: la settimana della moda milanese non è solo una serie illimitata di sfilate, tutte perfettamente segnate in un calendario quasi impossibile da rispettare anche per la giornalista più efficiente ma è altro, molto altro. Ebbene sì, perché in realtà durante la famigerata fashion week le sfilate le puoi vedere on the road, in ogni zona di Milano tu ti trovi, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Perché in quei “benedetti” 6 giorni la capitale lombarda viene letteralmente presa d’assalto da blogger, buyer, giornalisti cool (o presunti), fashion victim, ognuno con il suo bel bagaglio di outfit perfettamente studiati nei dodici mesi precedenti per stupire, per attirare gli sguardi dei passanti o, meglio ancora dei fotografi.

E di questo ce ne siamo ben accorti al “fuori” sfilata di Antonio Marras dove abbiamo potuto immortalare gli outfit very cool che qui vi presentiamo. Il filo conduttore? Siamo sinceri non c’è perché ognuno qui interpreta la moda del momento (o la moda che verrà) a suo piacimento. Che sia un chimono di paillettes, un dress in jersey a fiori abbinato a stivaletti texani, oppure un paio di short con i tanto amati anfibi slacciati non ha molta importanza se non quella di sentirsi a proprio agio mentre si esce da una delle catwalk più attese come quella di Marras. E tra le tante proposte non possono mancare certo gli outfit di alcune blogger sempre più in ascesa, come Catherine Poulin, che sfoggia uno chemisier con cerniera e, chicca, la borsa a forma di skateboard. Il risultato? Unico. Imitabile? Sì, ma attenzione a non esagerare con gli altri accessori. Perché mai dimenticare il diktat: less is more.

Appuntamento ai prossimi look da “fuori sfilata”.

ph: Daniele Trapletti

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Blondiefull for D-ART

Ciao tutti,

da sempre i colori ci mettono allegria, ci fanno felici…Il post di questa settimana è tutto incentrato su un vestito colorato con un rimando agli anni ’80 – ’90 e alla scena pop.

So che la maggior parte di noi sa abbinare scarpe nere e borsa nera con un vestito colorato, ma io vorrei farvi vedere che se soltanto osassimo un pochino, il risultato potrebbe essere straordinario!
Il bellissimo vestito che indosso è di Piccione Piccione (abiti meravigliosi), io ho scelto un modello  classico che potrebbe stare bene a tutte noi.
Portare un vestito con una stampa è una scelta audace e difficile da combinare, ma a me il colore piace ogni tanto 😉  e vi mostro i miei abbinamenti:

una borsa blu elettrico di Gedebe e un paio di scarpe a pois di Ines della Rovere.

Accessori che magari vedendoli separatamente si potrebbe pensare non c’entrino nulla l’uno con l’altro e invece stanno benissimo insieme, per un look diverso, meno serio e con un’aria decisamente “pop” 😉
Come capospalla (se necessario) opterei per un giacca del proprio marito/fidanzato, da appoggiare semplicemente sulle spalle. Se la serata è meno formale, andrebbe bene anche una piccola giacca di pelle.

E vi assicuro non passerete inosservate:)
Viva i colori e i mitici anni ’80 – ’90 !

Love B
 

ENGLISH VERSION

Hi Everyone,

Colors put a smile on everybody’s face, they make you happy… so this weeks post is about a colorful dress with a blink to the late eigthies, early nineties and the pop-scene…
I know that most of us would combine black shoes and a black bag with a printed dress to tone it down but I would like to show that if you just dare a little, the result could be pretty nice.
The cute cocktail dress I am wearing is by Piccione Piccione ( who absolutely make all kinds of gorgeous dresses), I opted for this lets say classic model which fits on most body-types.
Now a busy print for many of us is daring and difficult to combine..But I really like a bit of color every once in a while..So here is how I did it… I decided to wear it with a bright blue handbag by Gedebe and a pair of pois shoes by Ines della Rovere.
Even though you might think it would never work together if you’d see the pieces seperately, it actually does.
It gives you a different look, less serious and it makes your dress more “pop”;)
And as a jacket (if needed) I would take a black blazer of your husband/boyfriend and just let it rest on your shoulders. If the evening is less formal I would even put a little leather jacket..
And I promise you, you will not pass unnoticed:)
Long live colors and the eighties/nineties….

Love B

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DRESS @PICCIONE PICCIONE
BAG @GEDEBE
SHOES @INES DELLA ROVERE

PH BY HENRIK HANSSON

Web privacy e diritto all’oblio

Se lo affrontiamo da un punto di vista tecnico e giuridico, il “diritto all’oblio” è il diritto riconosciuto ad una persona a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto precedente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione; è una parte essenziale della declinazione concettuale del cd. “diritto alla privacy”, che appunto non è più solo il diritto che alcune informazioni individuali siano o meno rese note, ma soprattutto il riconoscimento della “disponibilità” personale di quelle informazioni, che possono essere divulgate solo con consenso esplicito.



Una sfera molto delicata di applicazione è nel diritto di cronaca, e anche più quando si parla di diritto all’oblio che parte dal presupposto che, quando un determinato fatto è stato assimilato e conosciuto da un’intera comunità, cessa di essere utile per l’interesse pubblico: smette di essere quindi oggetto di cronaca e ritorna ad essere fatto privato. Questo diritto difende indirettamente anche le vittime, in quanto ogni volta che un caso viene rievocato finisce per pesare di riflesso su chi lo ha subito nel ruolo di parte lesa (si pensi al caso delle violenze sessuali).


Il tema è di sempre maggiore attualità nell’era digitale, in cui le informazioni sono online, senza filtri, senza alcuna possibilità di controllo della loro attendibilità, veridicità, e tecnicamente rese “immortali” dalla assenza di procedure o prassi idonee a dare una “scadenza” alla permanenza dei dati. Si configura sempre più spesso la rivendicazione di un “diritto ad essere dimenticati online” inteso come la possibilità di cancellare, anche a distanza di anni, dagli archivi online, il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca. L’estensione del diritto all’oblio al mondo del web si è rivelata un’operazione più difficile del previsto, fonte di dibattiti e controversie.


Il tema torna di attualità oggi con una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. In un pronunciamento consultivo su un caso spagnolo, la Corte afferma che Google e altri motori di ricerca hanno il controllo dei dati privati individuali dal momento che talvolta raccolgono e presentano i link in modo sistematico; l’azienda aveva sostenuto invece che non controlla i dati personali e si limita ad offrire link a informazioni già disponibili su internet gratuitamente e legalmente, sostenendo che non dovrebbe essere costretta ad assumere il ruolo di censore.
 Per la Corte in base alla legge europea le persone hanno il diritto di controllare i propri dati privati, specialmente se non sono personaggi pubblici. Se vogliono che informazioni personali irrilevanti o sbagliate su di loro vengano «dimenticate» dai risultati dei motori di ricerca, hanno il diritto di chiederne la rimozione anche si tratta di informazioni pubblicate legalmente. Se la richiesta venga accettata o meno dipenderà «dalla natura delle informazioni in questione, dalla sensibilità per la vita privata del titolare dei dati e dall’interesse pubblico dei dati stessi, interesse che può variare».


Google, afferma la Corte, deve rimuovere dai risultati i link «a meno che non ci siano particolari ragioni, come il ruolo giocato dal titolare dei dati nella vita pubblica, qualora sia tale da giustificare un interesse preponderante dell’opinione pubblica nell’avere accesso a quelle informazioni quando viene fatta la ricerca». Se lo spirito della sentenza appare corretto e chiaro, lo è meno nella sua applicazione concreta, che come spesso accade individua nel gestore informatico di un servizio anche una sorta di “arbitro umano” nella selezione e gestione delle informazioni, cui piacerebbe delegare giudizi di merito e caso per caso, cosa letteralmente impossibile nel web.


Semmai sarebbe utile “usare” Google per ottenere quali siano i siti da contattare e rivolgersi direttamente a quelli per la modifica delle informazioni ritenute lesive.
 Ma la sentenza non tocca i punti sensibili della gestione delle informazioni soggette al diritto all’oblio sui cui nessun legislatore ha mai indicato strumenti chiari che diano la certezza che banche dati private (quelle che vendono informazioni ad esempio a istituti di credito, finanziarie, assicurazioni) cancellino effettivamente a scadenza le informazioni “oblate”. Anzi, quanto più profonde e storiche sono le informazioni tanto più hanno valore economico, anche se riferite a atti o fatti storici da cancellare, come protesti, insolvenze o malattie croniche di dieci o vent’anni prima completamente curate, o carichi pendenti per i quali sia stata disposta anche la non menzione nei casellari giudiziari.

Milano Fashion Week: la collezione San Andrès Milano SS 2016

Il Messico non è solo Chavela Vargas e la sua ranchera, ma è anche gioia e colore, ed è la tavolozza più variopinta rappresentata da San Andrès Milano nella collezione primavera-estate 2016.
Il verde smeraldo, il giallo focoso, il rosso acceso, il corallo ed il bluette sprigionano tutta la loro energia su capi dalle forme geometriche, con accenni fifties dati dalle gonne a ruota a segnare il punto vita o dal tubino dai colori floreali.

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Il designer messicano Andrès Caballero è fieramente radicato alle sue origini, la sfilata procede a ritmo di “Cumbia”, tradizionale musica latina che sottolinea il sentimento e il folklore tipico del popolo messicano, in uno scambio di culture e luce – così nasce la collaborazione straordinaria con SWAROVSKI: cristalli applicati ai capi che donano una lucentezza e una preziosità unici.

Ogni capo cattura luce, ogni capo è sinonimo di forza, grazia e bellezza; le forme a trapezio si alternano ad abiti attillati e plissé romantici, grandi fiocchi adornano i colli, i materiali si adagiano sul corpo senza fasciarlo, le sete sono esclusive, le organze di seta rigata creano un divertente effetto ottico.

Tutto è pulizia, luce e colore, per una donna il cui canto è un inno alla gioia!

Guarda tutta la collezione P/E 2016 San Andrès: 

Caroline de Maigret, parisienne chic

Perfetta incarnazione dello stile parisienne, modella internazionale e musa di Lancôme, nonché produttrice musicale, dj e autrice del bestseller che insegna a tutte come copiare il look da perfetta parigina.

Lei è Caroline de Maigret: quarant’anni, sangue blu nelle vene, la modella discende da un ramo dell’aristocrazia della Borgogna da parte di padre e dai principi polacchi Poniatowski dal ramo materno. Ribelle ed anticonformista, da giovanissima Caroline molla tutto per andare a New York a fare la modella.

Bellezza anticonvenzionale, naso importante su un volto dai lineamenti marcati, la modella è una delle icone di stile della Parigi più chic. Mamma di Anton, 8 anni, impegnata sul fronte umanitario ed ambasciatrice dell’eleganza francese, il suo look parisienne l’ha portata a scrivere con le amiche Anne Berest, Audrey Diwan e Sophie Mas una guida alla “femminilità parigina”: “Come essere una parigina. Ovunque tu sia” è uscito in Italia lo scorso 31 marzo per Mondadori. Il libro è stato subito bestseller, tradotto in 32 lingue e paragonato ad un Sex & the City versione francese.

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Caroline de Maigret è nata a Neuilly-sur-Seine il 18 febbraio 1975
Vogue, luglio 2014
Caroline de Maigret per Vogue, luglio 2014
Caroline de Maigret è una modella ed icona dello stile parisienne
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Autrice del bestseller “Come essere una parigina. Ovunque tu sia”, uscito in Italia lo scorso marzo

Vogue Spagna
Uno scatto per Vogue Spagna


Effortlessly chic è la parola d’ordine per acquisire il look da parigina doc: quell’aria apparentemente acqua e sapone, capelli finto spettinati e poi, d’improvviso, il coup de foudre di un rossetto rosso lacca, a conferire un tocco di charme. La bellezza da Ville Lumière è alla portata di tutti, afferma Caroline, citando all’inizio del libro icone come Jane Birkin e Romy Schneider, divenute icone dello stile francese pur essendo nate altrove. Non temere di invecchiare è la regola numero uno per donne che credono nel loro potenziale seduttivo indipendentemente dall’età e dai canoni estetici vigenti. Forse nuove femministe, come la stessa autrice si dichiara, perché l’andare controcorrente è chic.

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Effortlessy chic è la parola d’ordine per imitare lo stile parigino
Caroline de Maigret per Lancôme
La modella è musa iconica di Lancôme
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Caroline de Maigret in Chanel durante la Fashion Week
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Ancora la modella in total look Chanel
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La top model è mamma di Anton e impegnata sul fronte umanitario

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Icona di stile e modella, la carriera di Caroline de Maigret è iniziata a New York


Altra regola di stile esige il reggiseno nero sotto la camicia bianca. Alleggerire, adottare un look bohémien, facendo propria la massima di stile per eccellenza del “less is more”. Bando ai loghi, assolutamente vietati in un guardaroba sofisticato, come pure i mezzi tacchi e in generale le mezze misure. Tagliarsi i capelli da sole è un’altra abitudine da acquisire, infine, essere sempre “trombabili” (parole testuali), anche per andare a fare la spesa. Le parigine dominano la moda, sostiene Caroline de Maigret. E noi ne siamo assolutamente convinte.

Vogue Spagna
Vogue Spagna
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Un altro scatto per Vogue Spagna
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Nel suo libro “Come essere una parigina. Ovunque tu sia” Caroline de Maigret svela i segreti del suo look
CAROLINE DE MAIGRET
Chiodo e clutch per un look bohémien
Parigi, A/I 2014-2015
A Parigi durante la fashion week A/I 2014-2015

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La modella a New York per le sfilate P/E 2015



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Speciale Fashion Week: Au jour le jour Primavera/Estate 2016

Il duo di designer si lega ad una delle storiche icone Pop italiane: il fustino Dash.


L’irriverenza di Au Jour le Jour, per lanciare segnali positivi e esularsi dalla crisi economica, celebra una delle icone pop nazional popolari: il fustino Dash.
In occasione del cinquantenario, infatti, il brand stringe una partnership con la Procter&Gamble dando vita a una collezione tematica.
Nato negli anni del boom economico, il detersivo ha segnato intere generazioni promuovendo l’innovazione e la ricerca nell’ambito della pulizia e della cura dei tessuti.


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Un concetto affine alle idee del giovane marchio che, in passerella, fa sfilare un vero e proprio “omaggio allo sporco da lavare”.
Le macchie di tutti tipi si ritrovano nelle intessiture jacquard, nelle spalmature gommate, nelle trasparenze del fil coupé nei trompe l’oeil sull’ecopelle effetto alligatore.
Le paillettes trionfano sui tessuti e il concetto di riutilizzo degli accessori vede i pendenti staccarsi dagli abiti per diventare gioielli da indossare.

A completare i look stravaganti calzature che invadono la scena pronte per graffiare la cinepresa di moderni Andy Warhol.


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Nelle sale con “The Martian”, Ridley Scott prepara il sequel di “Prometheus”

Nonostante la sua versatilità, Ridley Scott si è fatto apprezzare soprattutto come regista di film di fantascienza e di film storici dai toni epici. I suoi primi due film di grande successo sono stati Alien (1979) e Blade Runner (1982), mentre quando ha provato a cimentarsi con argomenti storici, a parte Il Gladiatore (2000), non gli è andata benissimo, se si pensa anche all’ultimo, Exodus – Dei e Re (2014), che negli Stati Uniti si è rivelato un flop di incassi, non coprendo nemmeno i costi di produzione (per non parlare, poi, della feroce censura in Egitto e in Marocco per le varie incongruenze storiche e per la scelta – discutibilissima e legata alle politiche di marketing tipicamente hollywoodiane – di far interpretare dei personaggi biblici a degli attori americani, dai tratti occidentali).


Ad ogni modo, il genere in cui il regista ha dimostrato di trovarsi più a suo agio è stata la fantascienza, e il fatto che il 2 ottobre esca nelle sale americane The Martian – Il sopravvissuto (in Italia uscirà il 1° ottobre) e che in cantiere ci sia il sequel di Prometheus (2012) non sorprende affatto. The Martian, tratto dal romanzo di Andy Weir L’uomo di Marte, è una versione futuristica di Robinson Crusoe in cui l’isola deserta è sostituita con il Pianeta Rosso, uno dei luoghi più ricorrenti della fantascienza, tanto da ispirare innumerevoli scrittori e sceneggiatori, affascinati dal mistero che si cela dietro al pianeta del sistema solare più simile e più vicino alla Terra. Uno dei primi a lasciarsi incantare da Marte fu H.G. Wells nel romanzo La guerra dei mondi (1897), da cui sono stati tratti due film, l’ultimo dei quali di Steven Spielberg (2005), in cui i marziani erano esseri superiori ai terrestri dal punto di vista tecnologico ma incapaci di difendersi dai batteri atmosferici. Anche Frank Herbert, nel suo ciclo di Dune (da cui è stato tratto l’omonimo film di David Lynch, basato sul primo romanzo su una serie di sei libri), si è probabilmente ispirato a Marte, visto che il pianeta Arrakis è una vasta landa desertica.


Ossessionato da Marte era Doug Quaid in Atto di forza (1990). Quaid addirittura sogna di visitarlo e per questo si rivolge a una società che si occupa di viaggi mentali, desiderando ottenere la memoria di un agente segreto. Atto di forza, basato su un racconto di Philip K. Dick, ha avuto un remake, Total Recall (2012), non all’altezza però del film di Paul Verhoeven, già buono di per sé. Diversa è stata invece l’interpretazione di Tim Burton, che in Mars Attacks! (1996) ha voluto parodiare i cliché dei film di fantascienza sull’invasione aliena, aggiungendoci quell’umorismo nero tipico dei suoi film, mentre in Mission to Mars (2000) di Brian De Palma, il pianeta rosso diventa la meta di una spedizione di soccorso, che si trova a far fronte all’inspiegabile mistero del volto – o di quello che sembra un volto – che compare sulla superficie marziana.


Un anno dopo Mission to Mars, ecco un altro maestro del cinema che propone la sua interpretazione di Marte: è John Carpenter con il criticatissimo Fantasmi da Marte (2001), con la solita idea della colonizzazione da parte dei terrestri. Un’idea, questa, recuperata da alcuni classici di fantascienza degli anni Cinquanta: ad esempio Cronache Marziane (1950) di Ray Bradbury, a cui si devono meriti letterari che superano abbondantemente i confini della narrativa di genere (si pensi a Fahreneit 451), visto che si sottolinea la somiglianza tra la colonizzazione possibile di Marte e quella del Nuovo Mondo, con critiche nemmeno troppo celate sul comportamento dei colonizzatori nei confronti dei nativi marziani. Altro autore apprezzatissimo è stato Arthur Clarke, che nel romanzo Le sabbie di Marte (1951) ipotizza addirittura una convivenza tra le due razze.


Non poteva mancare Isaac Asimov, autore di numerosi cicli di fantascienza, ma anche di una serie per ragazzi che ha per protagonista Lucky Starr: e il primo romanzo di questa serie, Lucky Starr, il vagabondo dello spazio (1952), è ambientato proprio su Marte. Un decennio dopo, anche Robert A. Heinlein ambienterà su Marte quello che è considerato il suo capolavoro, Straniero in terra straniera (1961), con cui si aggiudicò il Premio Hugo. In questo caso, però, si tratta di un viaggio opposto, ovvero da Marte verso la Terra. In particolare, è il ritorno a casa di un uomo allevato dai marziani, che deve pian piano reintegrarsi tra i terrestri. Infine, tornando ai film ambientati su Marte, l’ultimo in ordine di apparizione è stato il John Carter (2012) targato Disney, basato però sul romanzo di Edgar R. Burroughs Sotto le lune di Marte (1916).


È evidente, quindi, che il tema sia tutt’altro che nuovo e che letteratura e cinema (ma anche i fumetti, ad esempio Nathan Never) vi abbiano attinto in abbondanza, saccheggiando una buona parte delle soluzioni narrative che un contesto simile avrebbe potuto proporre. Quanto a Ridley Scott, il regista non ha dimenticato che gran parte del suo successo lo deve – come si è detto – ad Alien, saga che ha coinvolto registi del calibro di James Cameron (Aliens – Scontro finale), David Fincher (Alien 3) e Jean-Pierre Jeunet (Alien – La clonazione) e che ha portato a una contaminazione (o crossover) con un’altra serie di enorme successo come Predator. In parallelo al sequel di Prometheus, che si intitolerà Alien: Paradise Lost, e che sarà diretto dallo stesso Ridley Scott, si svilupperà Alien 5, diretto stavolta da Neill Blomkamp (District 9, Elysium, Humandroid), di cui il regista del Gladiatore sarà produttore e supervisore. Più che Alien 5, la numerazione effettiva sarebbe 2.5, visto che si colloca, a livello cronologico, tra Aliens – Scontro finale e Alien 3. Nel film di Blomkamp tornerebbe il Caporale Dwayne Hicks, ma ci sarà spazio anche per la protagonista assoluta della saga, Ellen Ripley, interpretata, come sempre, da Sigourney Weaver.


Ridley Scott pensa, invece, a quello che è accaduto prima del suo Alien. Il regista ha ammesso che tra Prometheus e Alien non c’era alcun legame, nonostante la distanza temporale, nella finzione narrativa, sia di una trentina d’anni circa (Prometheus è ambientato nel 2091; Ripley incontra per la prima volta gli xenomorfi nel 2122). Nemmeno nel cosiddetto Prometheus 2 ci saranno collegamenti diretti con Alien, ma bisognerà attendere almeno il terzo o il quarto sequel prima di poter tornare alla franchise del film del 1979. Il titolo, insomma, potrebbe trarre in inganno. Chiaro che non si tratti di una casualità: il richiamo al poema di John Milton permette di dare già una prima chiave di lettura; o meglio, la questione alla base del film l’ha proposta Michael Ellenberg, produttore esecutivo del primo Prometheus: «Cosa accadrebbe se si potesse incontrare Dio, ma questi si rivelasse essere il diavolo?».


Nessuna risposta, perlomeno non prima del 2017: Alien: Paradise Lost dovrebbe entrare in produzione nella primavera del 2016. L’obiettivo dei sequel, secondo Ridley Scott, sarà spiegare come e perché sono stati creati gli xenomorfi. «La domanda più semplice era: “Chi diavolo c’era nella nave trovata in Alien? Chi c’era al suo posto e perché portava quel carico? E dove andava?”», ha detto Ridley Scott. «Ci ho pensato per un po’ ma ero troppo impegnato e non avevo davvero nulla in mente e così, quando ho finalmente archiviato Alien vs Predator ho pensato: “Sai una cosa? Questa sì che è una buona idea”. Più ne parlavo e più pensavo: “Dannazione…” Il film [“Prometheus 2”] stavo per chiamarlo Alien: Paradise Lost perché ho pensato che avesse una connotazione inquietante l’idea, perché prepara la nostra concezione e l’idea di Paradiso, qualcosa suggerito dalla religione, e la religione dice “Dio” e poi Dio, che ci ha creati, e questa è una cosa sicura».


«Se c’è il Paradiso», ha aggiunto Scott, «non può essere quello che si pensi che sia. Il Paradiso ha qualcosa che lo rende estremamente sinistro e inquietante.» La sceneggiatura di Alien: Paradise Lost sarà scritta da Jack Paglen e Michael Green. Nel cast, come in Prometheus, Noomi Rapace e Michael Fassbender.



FONTE: MOVIEPILOT

MILANO FASHION WEEK: VIVETTA, ROMANTICISMO IN PILLOLE

Se prediligete i look androgini e non amate perdervi in fronzoli e vezzi, astenetevi da quest’articolo. Era stata scelta lo scorso anno da Re Giorgio Armani per sfilare nel suo Armani Teatro; ora si riconferma come una delle designer più originali del panorama italiano. Lei è Vivetta Ponti, in arte Vivetta: non una neofita della moda, dal momento che le sue creazioni -dallo stile sofisticato e delicato- sono da anni in vendita nelle più prestigiose boutique del mondo, come la parigina Colette.

La designer umbra, classe 1977 e una lunga esperienza alle spalle in brand del calibro di Roberto Cavalli e Daniele Alessandrini, propone una full immersion nella femminilità più autentica con un tocco di chic parisien e tanta ironia per una collezione raffinata e fresca. Suggestioni anni Cinquanta nei volumi, in particolare nelle gonne a ruota, negli occhiali da diva e nei colori, dal rosa baby al light blue; omaggiano invece i Sixties gli abitini a trapezio declinati in delicate stampe vichy.

Fil rouge della collezione il gatto: gatti piacioni stesi sul divano fanno capolino dagli angoli di uno shift dress per inedite suggestioni surrealiste di sofisticata eleganza, o diventano inconsapevoli protagonisti di cammei dal sapore antico. Un tocco di romanticismo nei cigni innamorati, che ricordano i celebri disegni di Peynet, come anche nei fiorellini che tempestano abitini e gonne.

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Una collezione che trae spunto dagli scatti del fotografo dei divi, Slim Aarons, esimio rappresentante del jet set internazionale a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Settanta. Indimenticabili le sue foto con i divi all’epoca più famosi intenti a sorseggiare cocktail a bordo piscina nelle loro ville hollywoodiane, che sprizzavano glamour da tuti i pori. Omaggi allo stile neoclassico di residenze come quella di C.Z.Guest vengono sapientemente riposti nei capi profilati con stampe che ricordano i fregi dei monumenti ellenistici.

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Sofisticata la scelta dei materiali usati: prevalgono il popeline, il crêpe de Chine e l’organza di seta. Dettagli iperfemminili negli abiti con gonna a ruota, nei fiocchi e nell’immancabile colletto, segno distintivo della maison. Per uno stile delizioso.

(Foto Madame Figaro)


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Disimpegno e cronache di viaggio hanno caratterizzato la passerella di Trussardi, per la collezione Primavera/Estate 2016. Colori caldi, sahariane, camicie in seta pregiata e pantaloni fluidi con tuxedo in vista, pashmine etniche e comfort, per una sfilata intensa ed emozionante.

Mood da “via della seta” per una donna cosmopolita, una cittadina del mondo che usa il viaggio come mezzo per arricchire la propria cultura e -perché no- il proprio guardaroba di inedite suggestioni.

La palette cromatica va dal sabbia all’ocra al giallo zafferano fino al grigio elefante e ai toni dell’azzurro, per fantasie tribali e decorazioni luxury.

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Spirito bohémien, finto trasandato che fa sempre chic, Gaia Trussardi stupisce con una collezione suggestiva ed iconica, che trae spunto dal film “Tracks”, che tratta della traversata del deserto australiano in solitaria di Robyn Davidson, già documentata nel 1977 da un reportage fotografico realizzato dal National Geographic.

Ci riportano ai viaggi di Marco Polo documentati nel suo “Milione” le cromie dei capi, le sovrapposizioni che profumano di antico, i caftani di pregio e le stoffe preziose finemente decorate, come anche gli orli fintamente consunti. Mirabili tagli a vivo realizzati in hi-tech e gli accessori, che rivelano una certosina cura per il dettaglio, dalle borse come portaborraccia alle catenine con ciondolo raffigurante la Madonnina, forse unico omaggio alla cultura occidentale.

Un viaggio antropologico verso popoli lontani: la sahariana diventa capo principe del guardaroba, rivisitata in chiave extralusso e abbinata a gilet con frange, blazer in garza di lino e dettagli in rafia per un mood indian, completato da sandali flat e proporzioni oversize.

Effortless chic, verrebbe da dire, guardando questa viaggiatrice dallo spirito indomito che non rinuncia alla classe. Il Levriero di casa Trussardi colpisce ancora.

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(Foto Madame Figaro)


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Oltre la Video Art: “(A)mare Conchiglie”, tra Performance e Documentario. Il suggestivo trailer è già in rete…

La sperimentazione delle artiste e attiviste Kyrahm e Julius Kaiser sembra non arrestarsi, un passo oltre la videoperformance. “(A)mare Conchiglie”, approda al ‘cinema del reale’, si evolve da performance art e diventa un film che tocca la realtà intimamente restituendole verità e memoria. Soprattutto in questo caso dove le storie sono quelle di emigranti ed ex italiani emigrati all’estero, messi insieme per evidenziare i parallelismi tra la nostra e la loro storia.
K + J: ” Picasso affermava che l’arte fosse una bugia. Il cinema può essere fiction. Ecco, noi ci sentiamo molto più vicini ad un’arte e un tipo di cinema protesi verso la verità. Se decidi di utilizzare il mezzo della performance art come canale espressivo, significa che hai deciso di portare te stesso e il proprio vissuto recondito in scena. Puoi decidere di non lasciare traccia di ciò che hai fatto e circoscrivere la tua opera alla performance stessa o scegliere di filmare il tuo lavoro trasformandolo in una videoperformance.”


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Interessante la sperimentazione delle due artiste, se si pensa che fra gli anni ’60 e’70 per videoperformance si intendeva una ripresa quasi furtiva e estemporanea delle azioni degli artisti. Tutto ciò si andava ad intersecare con la messa sul mercato di telecamere portatili e con il parallelo nascere di un movimento molto dinamico, quello del ‘situazionismo’: per la prima volta in quegli anni non c’erano più oggetti da contemplare ma solo situazioni da condividere. La videoarte si presentava in quel decennio come un captare fulmineo.

Oggi invece, nell’era della rivoluzione informatica post-televisiva, Kyrahm e Julius Kaiser propongono sul Web il trailer di un contenuto artistico che dialoga con il cinema, senza mai dimenticare l’espediente della verità che costituisce la performance stessa.


Lo possiamo osservare qui nel trailer, già in rete, per chi si fosse persa una performance così toccante dal forte messaggio sociale:

Le due artiste hanno voluto cogliere di sorpresa le persone, attraverso l’approdo di un gommone di migranti sulla spiaggia di Nettuno. Storie violente, commoventi, il pubblico estremamente toccato. Momento emozionante della performance quando i presenti e i migranti, sono saliti insieme sugli scogli accompagnati dal canto sacro di una delle performer e hanno gettato manciate di sale in mare. Per ricordare i fratelli che non ce l’hanno fatta, per restituire il mare al mare.