Oscar 2016: tutti i look delle star e le pagelle

Si è appena conclusa la notte più glamour per antonomasia, con la cerimonia della consegna degli Oscar 2016. Occhi puntati sui look che attrici e celebrities hanno sfoggiato sul red carpet. E se tanti sono stati gli outfit da sogno, non sono mancati gli scivoloni in fatto di stile.

Ma partiamo dalle promosse a pieni voti: bellissima Charlize Theron, che ha indossato un lungo abito rosso a sirena di Dior Couture, con una scollatura mozzafiato. La diva sudafricana non ha avuto rivali e si è aggiudicata il primato di bellezza e sex appeal. Dieci e lode. Un’altra bellissima è Jennifer Lawrence, anche lei in Dior. Il suo abito è stato uno dei più apprezzati della serata: tripudio di pizzo e piume per un nude look di grande effetto. Il look dell’attrice è uno dei più azzeccati e si merita un 9. Clamoroso scivolone di stile per Kate Winslet, che non convince assolutamente nella mise scelta per la serata più importante dell’anno: l’abito Ralph Lauren penalizza la sua silhouette, non valorizzando assolutamente il punto vita dell’attrice. Voto: 4.

Promossa a pieni voti la bionda Margot Robbie, che ha sfoggiato sul red carpet un abito dorato: mood sparkling per l’attrice australiana, che ha brillato nella sua mise in oro, firmata Diane von Fürstenberg. Scollatura profonda e maniche lunghe per la Golden Girl di Hollywood, che appare raggiante e sofisticata in una mise difficile da indossare. Ma la sua bellezza vince sull’effetto cioccolatino, possibile rischio del pitone dorato. Ci piace tanto. Voto 8.

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Charlize Theron in Dior Couture

Image Source: Getty / Steve Granitz
Jennifer Lawrence in Dior (Foto Getty / Steve Granitz)


Tra le dive che hanno calcato il red carpet spicca in eleganza e charme Charlotte Rampling. L’attrice britannica, divenuta celebre con pellicole come Il portiere di notte, apparirebbe splendida in qualsiasi mise: la personalità fa la differenza, e lei ne ha da vendere. Voto 10. Non convince invece l’abito scelto dall’esplosiva Sofia Vergara: un Marchesa blu ricoperto di decorazioni. Ma l’effetto prom dress non si addice ad una serata tanto glamour. Voto 4. Rimandata a settembre anche Alicia Wikander: l’abito bustier giallo canarino firmato Louis Vuitton non esalta le forme adolescenziali dell’attrice. Voto 4. Pagella negativa anche per Brie Larson in Gucci, che appare quasi timorosa di osare, nella sua mise blu con cinturone gioiello. Voto 5. Splendida invece Rooney Mara in Givenchy Haute Couture con oblò frontale e maniche lunghe. Elegante e sofisticata come poche, l’eclettica attrice non sbaglia un colpo. Merita un 9. Bellissima anche Saoirse Ronan in un abito Calvin Klein verde smeraldo interamente ricoperto di paillettes dalla scollatura audace. Voto 9.


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Rachel McAdams non convince: la splendida attrice ha optato per un abito August Getty Atelier nei toni del verde, con scollatura dalle suggestioni Nineties e sandali Stuart Weitzman. Ma la mise non emoziona. Bocciata. Raggiante come sempre Cate Blanchett in Armani Privé: per l’occasione la diva ha indossato un abito ricoperto di petali dal mood delicato e poetico. Armani Privé ha vestito anche Naomi Watts, che ha brillato in un lungo abito paillettato effetto sirena. Il blu si aggiudica il primato del colore preferito dalle dive: anche Reese Whiterspoon sceglie un abito blu a sirena, firmata Oscar de la Renta. Promossa a pieni voti. Bella come sempre Olivia Wilde, che ha incantato tutti con una audace mise firmata Valentino Haute Couture caratterizzata da un’ampia scollatura.

Margot Robbie (VALERIE MACON/AFP/Getty Images)
Margot Robbie in Diane von Furstenberg (VALERIE MACON/AFP/Getty Images)

Kate Winslet in Ralph Lauren
Kate Winslet in Ralph Lauren


Bocciata Jennifer Jason Leigh in un abito rosa Marchesa. L’attrice appare un po’ rigida nel mood bucolico suggerito dalla mise, impreziosita da fiori. Effetto matrona romana per Heidi Klum, anche lei in Marchesa: l’abito non rende giustizia al fisico statuario della splendida top model tedesca.

Sanders e Trump, i candidati antipartito delle primarie americane

Bernie Sanders non vincerà queste primarie. Non perchè non sia un politico capace. Anzi la sua storia è costellata di battaglie difficili, di posizioni scomode, di scelte coraggiose. Non vincerà perchè “è troppo a sinistra”. La sua battaglia in queste primarie ha tre ragioni profonde. 
La prima, perchè è importante che in democrazia ci siano alternative e non plebisciti preconfezionati. E questa è una grande lezione per tutte le democrazie: ricordare che è fondamentale che non vi siano solo alternative tra partiti e leader, ma anche un’alternativa e un dibattito interno nello stesso partito.
La seconda, a conclusione di una lunga carriera e storia politica di battaglie sociali e per i diritti civili, Sanders ha poco o nulla da perdere, e molto da rivendicare e ricordare al suo partito, al suo popolo, e al suo partito.


La terza, perchè proprio per la prospettiva plebiscitaria di queste primarie, certi temi e certe battaglie se non le riporta “uno come lui” nell’agenda politica rischiano di restare ai margini.
Primo fra tutti offrire un’antitesi forte alle tesi del teaParty e di quel nucleo di imprenditori disposti a tutto pur di non regolamentare il salario minimo e le questioni ambientali.
Il sogno, da dodici anni a questa parte, era una discesa in campo di Elisabeth Werren, in qualche modo la capocorrente di qualla parte di pensiero dei Democratici americani. Ma con un’altra donna in lizza sarebbe stato stavolta davvero complicato. Ci ha pensato Bernie.


Va detto che proprio per il metodo e per il dibattito democratico, le primarie ben si prestano a far emergere candidati più radicali, che anche mediaticamente appaiono più decisi, forti, schierati, chiari. Ma non è ciò che fa vincere le primarie che fa vincere anche le elezioni vere. E questo lo sanno bene i circa 400 grandi elettori indipendenti: quei nomi che votano per le primarie indipendentemente dagli stati, e portano “voti presidenziali” ai singoli candidati: 360 sono con la Clinton, 5 con Sanders. A questi si sommeranno i voti conquistati stato per stato.


Discorso analogo per Donald Trump, mattatore televisivo che comincia a scricchiolare anche lui nel voto vero delle primarie repubblicane. Qui non ci sono i maggiorenti del partito a pesare, e chi vince anche di un solo voto in uno stato porta a casa tutti i voti dei delegati statali (e non proporzionalmente come per i democratici). E quindi se per Sanders può andare meno peggio, per Trump il popolo repubblicano una seria riflessione la fa, e pesantemente.
Trump si avvicina ma non riesce a vincere in modo forte e convincente, e l’elettorato del GOP premia i suoi (numerosi e frammentati) avversari, che tuttavia restano in campo, crescono, pronti ad una seria riflessione tra qualche mese per chiudere sul ticket che ha maggiori chance di competere e vincere. Ma anche lui non è un fenomeno da sottovalutare. Un magnate due volte sull’orlo della bancarotta salvato dall’intervento pubblico, che si schiera contro l’intervento statale, che combatte contro il lavoro degli immigrati, che tuttavia sono la indicibile e impopolare ossatura di ciò che resta della grande industria americana e della sua rete di distribuzione. Attaccare il Papa per qualcuno è stato un autogol, e politicamente certamente lo è stato. Ma anche il suo messaggio non è da sottovalutare, e scremato da populismo, manicheismo, goffaggine e quant’altro è forte e chiaro.


La classe che ha finanziato il TeaParty, che sta dietro le costosissime campagne repubblicane (che hanno pochi finanziamenti diffusi e grossi finanziamenti di imprese private) oggi vuole contare in prima persona, non si accontenta di finaziare, stare dietro le quinte, ottenere la tutela dei propri interessi dietro le quinte e quando non sono troppo impopolari.
Quella classe sociale vuole esserci in prima persona, e dimostra di poter pesare e contare, almeno sino a quando i politici di professione (i Bush, i Cruz, i Rubio) non scenderanno a “più miti consigli” sulle loro posizioni e prenderanno impegni oncreti.


Ad esempio con quei fratelli Koch che sono pronti a spendere sino a 900milioni di dollari per le prossime presidenziali, creatori del TeaParty e magnati dell’industria del carbone e dell’acciaio, seriamente minacciati da qualsiasi legge di tutela ambientale, di riduzione delle emissioni, accordi di Kyoto vari ed eventuali.
Se non teniamo conto di questi fattori in campo, è davvero molto difficile comprendere le primarie americane, e confonderle con una buffonata televisiva.

Missoni: l’electromélange in passerella alla Milano Fashion Week

Ha sfilato ieri nell’ambito della Milano Moda Donna la collezione Autunno/Inverno 2016-2017 di Missoni: il patchwork tipico della maison si arricchisce di pattern a zig zag e grafismi 3D per un’eleganza contemporanea e delicata. Electromélange è la definizione della nuova estetica del brand, per nuove geometrie che coniugano l’artigianalità italiana con le vibrazioni più moderne derivanti dalla tecnologia.

La donna di Angela Missoni sfila in uno scenario urban come una fata metropolitana: poetica e a tratti onirica, indossa morbide maglie avvolgenti che sembrano dei plaid, tra stampe caleidoscopiche e la dolcezza di maxi cardigan in lana melange da indossare come vestaglie sopra maxi dress in tinte pastello. Sovrapposizioni e proporzioni oversize scendono sulla silhouette senza costrizioni, fluide e compatte, tra tuniche, maglioni e sciarpe da indossare sulla gamba nuda.

Suggestioni newyorkesi negli outfit dall’appeal metropolitano. Camicie e giacche si uniscono a maglie e dettagli urban-chic per filati di cachemire che sfoggiano inedite stampe a righe verticali, che conferiscono nuova vitalità anche ai capispalla bicolor. Mix & match è la parola chiave e se knitwear è da sempre sinonimo di stile in casa Missoni, ora lo troviamo impreziosito da dettagli iper femminili che ancora una volta testimoniano la maestria tipica del brand nel valorizzare la silhouette attraverso l’amore per i filati e audaci giochi cromatici.

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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)

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(Fonte Madame Figaro)


Ispirazioni disco glam negli abiti in pizzo da indossare sopra T-shirt e nei leggings, come anche nel lurex che illumina abiti da sera con frange ed elementi glitter. Cappe come capispalla, rigorosamente in stampa zig zag, e ancora pantaloni morbidi e scollature audaci sotto boleri e maglie plissé, per un’effortlessy-chic spesso in chiave metallizzata. La palette cromatica è iridescente, tra texture preziose e glitter all over: cipria, lime e carta da zucchero predominano. Ai piedi troviamo sneakers o ballerine, o, ancora, stringate con lacci metallizzati.


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Trussardi: il lato country dello stile

Giorgio Armani veste lo stile di velluto nero

Annullare ogni dettame di sensualità forzata per descrivere una donna affascinante ed elegante con capi casti e dalla linea prettamente maschile.

Giorgio Armani chiude la settimana della moda milanese con una collezione che invalida la miriade di colori presentati sinora, di capi succinti e accostamenti osati a favore di una individuale e sorprendente austerità e l’abuso convincente di toni cupi che depurano da ogni eccesso il défilé più atteso degli ultimi appuntamenti della fashion week nostrana.

La classe di Re Giorgio passa innanzitutto dal velluto: tessuto regale della collezione, adoperato sia su pantaloni comodi che su giacche a doppio petto e su abiti da sera.

Giorgio,  attraverso questo progetto creativo, insegna che l’eleganza non ha bisogno di orpelli o declamate dichiarazioni di stile, nemmeno di effetti scenografici imponenti.

La collezione autunno/inverno 16-17 potrebbe essere definita, peraltro, la sintesi del pensiero del couturier italiano: “L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”.

L’impianto esecutivo della collezione si sviluppa sul concetto di abolizione di genere tra uomo e donna, idea nutrita  ed applicata ormai da anni, dallo stilista.

L’eleganza della donna pensata da Giorgio Armani si insinua, infatti, nella sua classe innata. Capi essenziali, mocassini e clutch. Linee pulite, giacche aderenti e farfalle bijoux che impreziosiscono gli outfit di una semplicità disarmante.

Ricami, timide ruches, fiocchi, lavorazioni dévoré e fantastici fiori stilizzati, galvanizzano la collezione a livelli altissimi.

Nessuna vanità, alcuna ostentazione: i capi proposti da Giorgio Armani sono stati creati per essere acquistati da chiunque e indossati in svariate situazioni.

Del resto, la moda si avvicina sempre più alla gente comune e Re Giorgio è a tutti gli effetti il precursore di questa tendenza.

 

(fonte Madame Figaro)
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Immagine copertina d.repubblica.it

 

 

RICCARDO SIMONETTI: BLOGGER FROM BERLIN

Non fatevi ingannare dal nome. Se all’apparenza può sembrare italiano lui è 100% tedesco e non un tedesco normale pensi un’icona dello stile Made In Berlin. A Milano è approdato la scorsa fashion week e ha fatto sfacelo. Questa edizione ritorna, sempre più fashion, sempre più chic e con la sua milionata di followers. Seguitelo!


Riccardo Simonetti: un nome italiano ma tu sei tedesco. Quali sono le tue origini? 
“In realtà sono al 100% italiano. Mio padre è un gelataio di Forno di Zoldo (nelle vicinanze di Cortina) mentre mia mamma è di Salerno. Anche se sono cresciuto in Germania siamo stati molte volte dai parenti in Italia perché loro vivono ancora tutti li”.


Cosa pensi di queste origini?

“Sono un grande fan dell’ “italian life style” e cerco di venire in Italia ogni volta che sono libero da impegni e, naturalmente, sono orgoglioso delle mie origini. Quando ero ragazzino tante persone mi consideravano quasi diverso per questo motivo, ma per me era un plus, in quanto amo la capacità intrinseca del vostro popolo di sviluppare un interesse profondo nella moda, nell’arte e in tutte le cose belle della vita. Questo forse perché gli italiani crescono circondati da tutto ciò… è fantastico”.


In Germania oggi sei un blogger seguitissimo. Una grande soddisfazione… 

“Ho sempre sognato di fare parte di quella che io definirei “cultura pop”. Ecco perché fin dall’età di quattro anni iniziai a recitare e da adolescente divenni modello e ospite presso un programma radiofonico. Sono sempre stato consapevole che per raggiungere i miei obiettivi e sogni avrei dovuto lavorare molto duramente. Ma non mi sono mai fermato. Aprii il mio blog nel mio ultimo anno di scuola: voleva essere come una sorta di diario in cui poter raccontare il mio pensiero e la mia visione di stile. Ora funziona molto bene e sono contento delle opportunità di lavoro derivate, dei miei fans e di essere fonte di ispirazione per altre persone”


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Cosa rappresenta per te la moda?

“La moda ha un enorme impatto su come mi sento. E’ importante per me perché comunica ciò che sono prima ancora di ogni altra cosa. Mi piace davvero esprimere i miei sentimenti attraverso un abito e non c’è niente di meglio che una sessione di shopping per ritrovare la giusta carica”.


Quali sono i tuoi stilisti preferiti?

“Non ho un designer preferito ma mescolo tutto quello che mi piace (anche se ho un occhio di riguardo per le linee couture di Versace, Saint Laurent e Dolce e Gabbana). Non servono un sacco di soldi per un vestirsi bene, tutto ciò che serve è un po ‘di creatività. A volte mi piace indossare un pezzo unico couture mentre altre volte trovo i miei migliori look in un negozio di carnevale. L’importante è sentirsi a proprio agio non curandosi del pensiero degli altri”.


Quando crei un outfit a cosa ti ispiri?

“Alla musica che ascolto in quel momento o ad film. Insomma passo da Lana del Rey, triste ma romantica, a una Lady Gaga teatrale dal 2008. Essere “fun” è però sempre importante nella scelta di un look”.


Come definiresti il tuo stile?

“Non convenzionale, unisex con un tocco rock. Le mie icone di stile personali sono Michael Jackson, Lady Gaga, Lindsay Lohan e Axl Rose e credo si possa vedere la loro influenza nei miei outfit quotidiani su instagram.”.


Quest’anno parteciperai per la seconda volta come icona di stile alla MFW. Cosa ne pensi di “questa” Milano?

“Partecipare alla MFW la prima volta è stato estremamente stimolante perché qui regna lo stile. Vedete paillettes, tacchi alti e il puro glamour per le strade, incontrare persone come Carine Roitfield o Anna dello Russo, li accanto a te…tutto stupendo. Milano mi ha molto ispirato nello scegliere i miei look e sono sicuro che anche questa mia seconda “visita” lascerà il segno!”.


Hai  un sogno?

“Essere un “intrattenitore”. E fare emozionare… con la moda ovviamente”.


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ph: Daniele Trapletti

Esilio forzato

Un incubo, un tarlo asfissiante che ti perseguita per tutta la vita, una macchia indelebile inestirpabile. Esistono tanti modi per definire le drammatiche conseguenze psicologiche derivanti dalla pedofilia e il film diretto da Pablo Larrain, Il Club, prova ad elaborare proprio tale concetto. Scopriamone i dettagli.
Sulle sponde della costa cilena vivono una suora e quattro preti. Quest’ultimi sono di fatto sconsacrati, in quanto autori di azioni deprecabili nei confronti di bambini, donne e uomini. Anche Sandokan, un infelice senza fissa dimora, è stato uno di quelli traditi dai preti di questa piccola comunità religiosa. Egli funge da accompagnatore agli spostamenti di padre Lazcano, prete pedofilo da poco arrivato in loco, nonché vero e proprio incubo dell’infanzia di Sandokan. Divorato dal senso di colpa per i peccati commessi in passato, padre Lazcano si suicida davanti alla sua vittima (Sandokan), avviando le indagini di padre Garcia, un gesuita psicologo deciso a gettar luce sulla morte appena avvenuta e ad interrompere nel minor tempo possibile il ritiro spirituale dei preti peccatori pentiti.
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Distribuito nelle sale cinematografiche italiane dalla Bolero Film a partire da giovedì 25 febbraio, Il Club è un film drammatico che descrive la spaccatura psicologica in seno alla costa cilena a La Boca. Si tratta di una frattura che scinde inesorabilmente vittime e carnefici, nella quale risiede la dimora del pentimento, uno dei numerosi luoghi che la Chiesa riserva ai preti e alle suore che si sono macchiati in passato di certi atti non proprio conformi con il loro credo. Una sorta di “prigione alternativa”.
All’interno de La Boca dell’inferno non manca nessuno all’appello: preti pedofili e ladri di bambini, nonché tutti coloro che hanno silenziosamente collaborato e fiancheggiato l’esercito e le gerarchie cattoliche durante la dittatura. Tutti irrompono sulle scene dirette da Pablo Larrain (di cui ricordiamo Fuga, Tony Manero, Post Mortem e No – I giorni dell’arcobaleno). Con questo suo ultimo prodotto, il regista cileno mette a confronto la storia del suo Paese con un gruppo di personaggi contraddistinti da un’aurea malvagia e narcisista.

 

Uno sguardo nel vuoto da parte di Sandokan, uno dei protagonisti del film
Uno sguardo nel vuoto da parte di Sandokan, uno dei protagonisti del film

In passato, i cinque preti in esilio a La Boca dell’inferno erano come un branco di lupi affamati, prodotti finali di un’esistenza fatta di avarizia e peccato. Ogni piccola ed innocente creatura si piegava al loro cospetto. Ma ora, la realtà che li circonda è ben diversa. Essi infatti si muovono grevi di fronte all’immensità dell’oceano circostante e dentro una fioca ed opaca luce che li avvolge ed inghiottisce inesorabilmente.
L’ombra delle tenebre che fagocita i cinque preti divorati dal rimorso interiore viene spezzata dall’arrivo di padre Garcia, che con la sua estetica e la sua giovinezza fa tornare a galla le crepe di un Paese incapace di trovare pace, serenità e riconciliazione.

 

Padre Garcia
Alcuni dei preti sconsacrati

Ben lungi dal voler rappresentare una verità storica assoluta ed incontrovertibile, Il Club, tuttavia, dà spazio ad un confronto piuttosto aspro, scomodo e spietato, prendendo come punto di partenza la certezza dell’impunità dei preti.
Padre Garcia sarà protagonista di un’autentica gincana tra omissioni, documenti mancanti e vuoti di memoria di vario tipo. Il suo intento è quello di smascherare le responsabilità etico-morali di una comunità religiosa che si dichiara pentita e pronta a voltare pagina.
In questa prospettiva giustizialista, Larrain (personificato da padre Garcia) cerca di andare oltre la semplice confessione dei peccati commessi da parte dei preti “criminosi”. La giusta punizione è dunque rappresentata da Sandokan, bambino abusato in passato e divenuto un adulto disturbato nel presente, un uomo in grado d’infliggere al suo aguzzino la stessa potenziale ferita subita durante l’infanzia. Sandokan può essere dunque definito come un fantasma del passato con cui fare i conti attualmente.
Infine, da un punto di vista tecnico, le inquadrature frontali e i primi piani che costringono i protagonisti a relazionarsi con la propria pena, costituiscono gli elementi più interessanti e i tratti distintivi de Il Club di Pablo Larrain, un regista che conferma il suo enorme potenziale.

I migliori backstage di Milano Moda Donna: Anteprima

I grafismi anni ’60 tornano sulla passerelle milanesi grazie ad Anteprima che immagina la sua donna icona come una moderna Jackie ‘O


La nostalgica collezione di Anteprima conduce con teatralità al fascino del ricordo. Evocativo è anche il profumo dei petali di rosa da cui ha estrapolato le cromie e le scelte tattili in fatto di tessuti: sete preziose e cashmere. La silhouette è classica e si concede il lusso di ispirarsi all’icona di stile per eccellenza, Jackie ‘O.



Infatti, le forme a trapezio, tanto amate e indossate dalla Kennedy Onassis, vengono avvolte da cardigan e da lunghi cappotti di stampo military, accessoriate da scenografiche calzature e guanti in pelle.
Un nuovo modo di interpretare il passato con gli occhi del presente.


Fashion editor: Alessia Caliendo
Video and photo: Christian Michele Michelsanti














Trussardi: il lato country dello stile

Le corde di una chitarra risuonano tra i meandri della memoria, a formare una melodia country, le cui note attraversano i decenni. A volte un’ispirazione può venire così, improvvisa ed inaspettata, da una ballata folk impressa nei ricordi. “Jolene, I’m begging of you please don’t take my man“, cantava così nei lontani anni Settanta Dolly Parton, in pantaloni scampanati e riccioli d’ordinanza, descrivendo il più classico dei triangoli amorosi ed implorando la rivale, bella e giovane, di non portarle via il suo uomo, in nome di una solidarietà femminile spesso sottovalutata.

È questo lo spunto primigenio da cui trae ispirazione Gaia Trussardi per la collezione Autunno/Inverno 2016-2017 del brand di famiglia. Una bellissima giovane, ancora acerba e inconsapevole del proprio fascino, dai lunghi capelli castani lasciati selvaggi e dagli occhi verde smeraldo: la immaginiamo così Jolene, il piglio aristocratico nei modi da ragazza perbene e una vita divisa tra la città e la campagna.

La donna Trussardi ricorda una moderna rampolla blasonata, eccentrica e naïf: nessuno snobismo però nelle giacche doppiopetto e nei pantaloni da fantino, che raccontano del suo amore per la campagna e per la natura; solo la classe senza tempo di una personalità che unisce il fascino country al glamour più sofisticato, senza mai perdere di vista la femminilità. È così che troviamo inedite stecche stile guêpiere sulle giacche e nei pantaloni in suede dalla vita altissima, ove spicca una sorta di corsetto ad enfatizzare le curve.

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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)

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(Fonte Madame Figaro)


Suggestioni folk anni Settanta si uniscono al bohémien più chic per una collezione ricca di spunti e stili eterogenei. Gaia Trussardi, alla direzione creativa della maison, riporta in auge elementi caratteristici degli archivi del brand, per una donna dandy, che ruba al guardaroba maschile il tre pezzi, sdoganando il gilet come nuovo incontrastato must have per la prossima stagione invernale. Dagli shorts alle gonne, spicca il velluto a coste, a conferire un’allure da lady dell’alta società a questa fanatica country.

Camicie di seta stampata richiamano i pattern delle cravatte Trussardi, mentre jacquard e Principe di Galles dominano nei capispalla, tra cappe e mantelle profilate con asole in camoscio, blazer doppiopetto e velluti a coste. Il giubbotto di jeans viene ora rivisitato con inserti in montone rovesciato e tagli a vivo. Tra le stampe torna in auge il tartan tra frustini e levrieri, simboli della maison, mentre gli impalpabili maxi dress a stampa paisley sono in georgette di seta, tra tocchi delicati di tulle e ruches. Gonne, shorts e pantaloni palazzo stampati conferiscono suggestioni boho-chic stemperate dal cappello da cowboy; si prosegue con cardigan con cintura ad enfatizzare il punto vita e cappotti vestaglia, fino ad abiti in raso che ricordano un négligé, da indossare sotto maxi cardigan. Infine, maxi fur coat ci riportano negli anni Settanta.

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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)

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(Fonte Madame Figaro)


Nel mood country-chic predominante c’è posto per dettagli sofisticati, come il foulard in testa e gli occhiali da diva, a conferire mistero e classe d’altri tempi a questa aristocratica immersa nella natura. La palette cromatica riprende i toni della campagna, tra borgogna, blu scuro, ruggine, cuoio, grigio, lilla e rosso, mentre suede e pelle predominano tra i materiali usati. L’artigianalità e la cura per il dettaglio offre spazio a spunti che profumano di vintage, come le borse postina in coccodrillo e patchwork di pelli montate. Trussardi appare nostalgico, deciso a portare sulla passerella un’eleganza discreta e aristocratica oggi tristemente in disuso. Tutto appare in mirabile equilibrio, in un’intrinseca perfezione. Ad accompagnare il défilé una performance dal vivo di giovani musicisti che intonano le note di Elvis Presley. Il levriero continua a brillare.

(Foto copertina Davide Maestri/WWD)


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Dolce & Gabbana: come una favola

Un’imponente carrozza sfavillante fa da sfondo alla sfilata di Dolce & Gabbana, che ha avuto luogo oggi, nell’ambito della Milano Fashion Week. Non la vedremo trasformarsi in zucca ma, al contrario, ci prenderà per mano per condurci in un viaggio nell’immaginifico mondo delle favole.

La donna che calca la passerella è una moderna Cenerentola che sfoggia il classico abito da principessa nei toni di un candido azzurro ricoperto di listini paillettati. Romantica, leggiadra, la collezione Autunno/Inverno 2016-2017 disegnata dal duo di stilisti omaggia l’infanzia e la sua capacità di sognare attraverso le fiabe: dai topini amici di Cinderella si passa allo specchio della regina di Biancaneve. Rispondere al celebre quesito su chi sia la più bella del reame non è mai stato tanto facile: basta indossare uno dei tubini neri, simbolo della maison, e la femminilità innata di ciascuna donna subisce un vero incantesimo.

Si continua con capispalla impreziositi da maxi fiori ricamati, in un’esplosione di colore e allegria, fino agli abiti da sera interamente ricoperti di paillettes. Un mood fiabesco, dai gatti che fanno capolino da chemisier in seta, alle teiere e candelabri animati de La bella e la bestia, ovunque è un tripudio di colore e di elementi cartoon che decorano giacche e capispalla, ma anche maglioni e cardigan.

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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)


Il velluto illumina abiti dal piglio bon ton, per una donna infantile e nostalgica di un’infanzia lontana nella memoria ma ancora presente. Come una principessa, la donna protagonista del défilé ostenta il suo lato più innocente, tra fiocchi e merletti. Tra minidress sparkling spicca la scarpetta di cristallo, simbolo fiabesco per antonomasia. In passerella Vittoria Ceretti, giovanissima top model volto della maison.


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Eleganza d’altri tempi per Bottega Veneta

Estremamente borghese, severa. È l’antitesi dell’essenziale in tutte le sue forme. È ricca e castigata, disegnata per una donna d’altri tempi, che non si lascia abbagliare dalle tendenze. È lasciva.

Tomas Maier austero direttore creativo della casa di moda Bottega Veneta, presenta a Milano una collezione autunno/inverno 2016-17 degna della maison. Totale abbandono degli eccessi, nessuna trasparenza ordinaria, alcun dettaglio sopra le righe. La bellezza risiede nella semplicità, nel garbo e nell’eleganza.

La donna Bottega Veneta è aggraziata ed è eterea come Greta Garbo. Porta un lungo foulard  annodato al collo, indossa gonne ampie che sfiorano delicatamente il ginocchio e veste abiti delicati in chiffon.

Riesce, peraltro, ad indossare over coats magnifici in lana bouclé con estrema femminilità e classe.

È grintosa quando porta generosamente capispalla animalier e dimostra gran carattere quando indossa abbondanti tailleur maschili.

Profondamente seducente, la donna disegnata  da Maier ha stile da vendere e punta sulla qualità dei tessuti indossati. Cachemire e pelliccia sono un vezzo per lady Bottega Veneta, ma indossa piacevolmente canotte in lurex, maglioni over in lana e dettagli in pelle.

I toni della collezioni sono anch’essi rigorosi: nero, verde e viola, illuminati da un bianco candido e dal grigio.

Ad incarnare la donna Bottega Veneta, tre modelle d’eccezione: la bellissima e prorompente modella russa Irina Shayk, l’irresistibile topo model Adriana Lima e l’affascinante Kendall Jenner.

 

Irina Shayk splendida in Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)
Adriana Lima splendida in Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)

 

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Irina Shayk sfila per Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)
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Kendall Jenner Per Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)
Kendall Jenner Per Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)

 

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(fonte Madame Figaro)

 

Irina Shayk a Milano per Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)
Irina Shayk a Milano per Bottega Veneta (fonte Madame Figaro)

 

 

 

 

Antonio Marras: dramma di un’eroina dark

Sfila tra spighe di grano e rimandi ad un remoto passato la donna Antonio Marras: ma dimenticatevi ameni scorci silvestri di virgiliana memoria. L’atmosfera prevalente sulla passerella di Marras è lugubre, a tratti funerea, più simile al ritmo parossistico di una processione o di un rito pagano. Inquietudine, sacrificio, disperazione: queste sono le emozioni predominanti della sfilata Autunno/Inverno 2016-2017 presentata oggi dallo stilista sardo nell’ambito della Milano Fashion Week.

La donna di Marras è pallida e austera: quasi un fantasma, la veletta a coprirle il volto, avanza in una marcia che non lascia scampo. Come in una fotografia sbiadita dal tempo, ella sembra rivivere attraverso i ricordi di un amore ormai lontano, peccatrice condannata alla perdizione eterna, vedova inconsolabile.

Il consueto folclore, parte integrante dell’identità primigenia dello stilista sardo, si arricchisce di nuovi spunti: suggestioni escatologiche nel pizzo nero e negli accessori che questa madonna pagana esibisce tra i capelli, mentre il Mediterraneo tanto caro a Marras rivive nel collo alto di capi castigati, nelle borse a mano rigide, da devota beghina di paese, e nelle calze a rete, declinate anche in versione calzino. I volumi dei colli sono altamente scenografici e barocchi, e si uniscono alle ispirazioni anni Venti degli inserti in pelliccia, vezzi di una femminilità repressa che rivendica la sua ragion d’essere. Cammei come gioielli, piume e nappine barocche, che stridono con la contemporaneità.

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(Fonte Madame Figaro)
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Austeri e gotici sono i capispalla, che ricordano certa Inghilterra vittoriana, con il suo carico di pruderie e il marchio infamante a segnare intere esistenze. Cappe ricamate e cappotti dal sapore militare con ampi revers predominano, come le giacche senza struttura che scivolano sul corpo. Sedotta e abbandonata, la donna che calca la passerella attinge a rimandi Ottocenteschi, come i volumi teatrali e gli elementi dark. Tenui fantasie floreali impreziosiscono gli abiti leggeri, ricamati con ruches e bottoni, fino ai broccati di seta.

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(Fonte Madame Figaro)
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(Fonte Madame Figaro)


È una tragica eroina la donna di Marras, appassionata e struggente, proprio come Adele H, celebre protagonista dell’indimenticabile pellicola di François Truffaut. E da questo mix -di cinema, arte, musica, letteratura e teatro- lo stilista sardo trae ispirazione per sfilate che sono dei veri inni al bello, declinato in ogni forma.

“Io vivo di contaminazioni, mutazioni, relazioni. Ma, soprattutto, penso che il mio lavoro, la moda, abbia bisogno, anzi necessità direi, di intrecciare arte, cinema, musica, video, letteratura e teatro per poter restituire le tensioni dello spirito del tempo. Di questo tempo. Dunque fenomeni, stili, tendenze di una dimensione in continua mutazione”: questo è quanto Antonio Marras ha dichiarato. Da Alghero, sua città natale, lo stilista si è imposto come uno degli interpreti più amati della moda, che proprio in essa, luogo ibrido per antonomasia, riesce ad esprimersi pienamente, attraverso inedite contaminazioni tra stili, epoche, luoghi e culture diverse. Il vintage si pone altresì come precisa scelta stilistica che intende enfatizzare l’importanza della contaminazione e della memoria, tra sovrapposizioni temporali e culturali.

Maxi gonne a ruota enfatizzano la femminilità retrò, mentre le scarpe sembrano quelle di una contadina. Intarsi, volants, merletti e pannelli plissettati ed asimmetrici spiccano sui capi, le stampe sono sfocate, volte a rappresentare bouquet di fiori di campo ma anche rovi, rose canine e volti. Presenti anche quadri e gessati, mentre la palette cromatica abbraccia nuance sbiadite e usurate dal tempo, come il verde salvia, il rosa sbiadito e un giallo pallido che sembra rubato alle foto di un album rilegato in pelle che ci parla di un passato ormai lontano. Marras propone una magistrale lezione di stile per una delle sfilate più suggestive della stagione.


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