Lo spot Ikea che ironizza sul food porn di Instagram

Let’s relax – lo spot Ikea già virale che ironizza sull’uso spasmodico di Instagram

Quanti di noi, davanti ad un piatto preparato con le nostre mani o ad un manicaretto speciale in un ristorante stellato, non è spinto dal desiderio di fare una fotografia, per poi pubblicarla su Instagram? Nessuno lo ammette, eppure è così.

Arriva la gioia dei colori per gli occhi, e degli aromi per l’olfatto, ma prima di addentare: STOP! Clic! E pensa alla didascalia, e riprendi in mano il menu per non sbagliare, e gli hashtag, e pubblica e il piatto si raffredda.

Questo è l’iter dei giorni nostri, ma cosa sarebbe successo se ci fossimo trovati nel ‘700? Lo racconta in maniera divertente IKEA con l’ultima pubblicità che sta diventando virale.

Siamo alla tavolata di un nobile nella Francia del XXVIII secolo, la figlia cerca di addentare una mela quando il padre la ferma. Alt! Prima è necessario immortalare la scena ed ecco che appare un pittore, che cerca in fretta e furia di ultimare il quadro. Una volta concluso è il momento di sapere quanti like riceverà e allora tutti in carrozza con i cavalli alla massima potenza a mostrare per le case il dipinto. Nell’intimità di un letto, durante un duello di pistole, in piazza, durante un ballo, qualcuno alza il pollice, qualcun altro accenna smorfie, ma alla fine, tornati a casa, si può iniziare a mangiare.

E’ solo cibo. Non è una gara. LET’S RELAX – Questa l’ultima pubblicità Ikea su YouTube che invita la famiglia a rilassarsi e a condividere i momenti di gioia, lasciando da parte cellulari e social network. Messaggi che puntano sempre sull’emotività con la leggerezza dell’ironia; insomma il reparto marketing Ikea non sbaglia un colpo!

Qui il video Ikea – Let’s relax




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Sinead O’Connor “Sono sola, l’unica persona a tenermi in vita è il mio psichiatra”!

L’immagine indelebile è quella di una ragazza rasata, dal viso perfetto, grandi occhi dolci e umidi e un’interpretazione da hit mondiale, qual è il singolo “Nothing Compares 2 You“.
Oggi quella testa ha lo stesso taglio, ma gli occhi sono più tristi, l’arcata della bocca all’ingiù e le parole delle canzoni hanno lasciato il posto alla disperazione; stiamo parlando di Sinead O’Connor che in questi giorni sta lanciando un segnale di aiuto.

Dalle sue pagine social, quelle di Facebook, la cantante irlandese urla al mondo la sua malattia, quella che le ha cambiato la vita, costringendola ora alla solitudine.
Affetta da disturbo bipolare, Sinead O’Connor non è nuova avere problemi con la famiglia e con l’affidamento dei figli, ultimo il bambino di 13 anni, una famiglia che sembra averla abbandonata a se stessa, marito compreso, “solo il mio psichiatra è presente ora, la persona più dolce al mondo, è lui che mi tiene in vita” – questa la confessione della cantante.

Il video lanciato su Facebook ha uno scopo: “far sapere a tutti cosa significa; le malattie mentali sono come le droghe, sono uno stigma, all’improvviso tutte le persone che dovrebbero amarti e prendersi cura di te ti trattano male“; oltre a poter essere un aiuto a far comprendere alle persone vicine ai malati, quanta sofferenza porta uno stato psicologico come quello del bipolarismo.

Qui il video:


Oggi la cantante danese vive in completa solitudine in un motel Travelodge in New Jersey, dove scrive canzoni.
La situazione clinica della cantante sembra molto peggiorata dall’uscita del circuito musicale e dopo l’abbandono dei manager.
Attraverso i social network, Sinead O’Connor aveva, nel 2015, lanciato un messaggio prima del tentato suicidio, dove dichiarava di aver assunto una massiccia dose di stupefacenti. “L’unico modo che hanno i miei familiari per sapere come sto e dove mi trovo, altrimenti per loro potrei anche essere morta“.

Nel 2016 invece sparisce dopo aver fatto un giro in bicicletta, mentre si trovava nei pressi di Chicago; un altro allarme di suicidio, per poi essere ritrovata sana e salva. Ma è evidente che queste “sparizioni” sono un segnale, una disperata richiesta di aiuto da parte di chi non sa più come affrontare il dolore e farlo tacere.

Vorrei non essere così sola al mondo” – dichiara “dovrei meritarmi qualcosa o qualcuno dopo tutti questi anni, e dopo aver dato così tanto. Sono scioccata da quanto sia rimasta sola“.

Un intervento chirurgico al fegato ha messo a dura prova le forze della O’Connor, che non le permette di respirare bene e le procura continui dolori, le ripetute minacce di suicidio e il totale abbandono della famiglia, non lasciano buone speranze per la vita di questa cantante che ci ha regalato forti emozioni e che, come nessuno, merita tanta sofferenza.

Sto facendo questo video perché ci sono milioni di persone come me. Dobbiamo prenderci cura di noi. E non voglio morire, non morirò, anche se non è possibile che le persone vivano così“.

FuoriCentro, la mostra-analisi del territorio

FuoriCentro, la mostra del Centro di cultura fotografica dal 28 luglio al 24 settembre nei sotterranei di palazzo Chiericati a Vicenza.
La fotografia d’autore legge l’evoluzione degli spazi urbani.

Cosa c’è sotto i nostri occhi? Cosa nasconde il sottofondo visivo quotidiano della città, quello che il guardare non registra più? Cosa succede quando l’obiettivo fotografico ignora l’elemento dinamico e funzionale di uno spazio industriale e lo traduce in pura forma?

FuoriCentro è la mostra fotografica che si svolgerà dal 28 luglio al 24 settembre 2017 negli spazi espositivi sotterranei del palladiano Palazzo Chiericati, sede dei Musei Civici di Vicenza. Curata da Pietro Vertamy, la mostra FuoriCentro proporrà le immagini realizzate da Rocco Rorandelli, Lavinia Parlamenti e Andrea e Magda nell’ambito del primo progetto di studio fotografico dedicato all’analisi dell’area urbana industriale di Vicenza Ovest, ideato e realizzato dal Centro di cultura fotografica di Vicenza in collaborazione con Unione Collector, luogo e progetto di produzione culturale di Tipografia Unione, e con il sostegno e la collaborazione dell’assessorato alla crescita del Comune di Vicenza.

Ai fotografi, autori di livello internazionale, è stato chiesto di offrire interpretazioni differenti, contrastanti e inusuali di un settore della città sempre sotto lo sguardo di tutti ma raramente osservato, considerato periferico ma di fatto ormai del tutto inglobato nel tessuto urbano cittadino.

L’obiettivo è applicare l’arte fotografica all’analisi del territorio, con un metodo pensato per essere applicato a qualsiasi area sulla quale si voglia costruire una documentazione inedita a disposizione di tutti, trasformando l’istante dello scatto in un punto di riferimento temporale per cogliere i cambiamenti, i prima e i dopo. Nello specifico, grazie al lavoro del Centro di cultura fotografica, FuoriCentro fa convergere la fotografia d’autore e l’esigenza espressa dal Comune di Vicenza di costruire un percorso di conoscenza nuovo del territorio cittadino, presentato ora con la mostra e destinato a diventare parte di un patrimonio condiviso.

Orti urbani
Orti urbani


La costruzione del lavoro

Nel corso del mese di ottobre del 2016, il CCF ha costituito una residenza artistica per consentire ai fotografi di realizzare il loro specifico assignment. Come base operativa sono stati scelti gli spazi di Unione Collector, luogo dell’innovazione e partner dell’iniziativa collegato ad una tipografia artigiana storicamente presente nella zona presa in considerazione. La residenza artistica così strutturata ha offerto ai fotografi l’opportunità di sviluppare, attraverso il lavoro sul campo, una propria visione della periferia industriale della città nella quale si trovavano immersi e soprattutto un linguaggio interpretativo comune nel rispetto degli stili individuali, grazie al costante confronto. La permanenza in loco degli autori per più settimane ha permesso di instaurare nel tempo una relazione diretta e fertile con il territorio. Fabbriche, case, luoghi privati e di lavoro hanno accolto l’obiettivo di Lavinia Parlamenti, Rocco Rorandelli e Andrea e Magda e aperto le loro porte attivando uno scambio reciproco e continuo che ha inciso nello sviluppo della ricerca e del lavoro.

Il soggetto

L’area oggetto dell’indagine fotografica si trova a ovest della città, compresa fra il quartiere dei Ferrovieri e l’Arsenale Ferroviario oltre i binari della ferrovia, arriva fino all’area Fiera e si disperde nello spazio antropizzato che unisce Vicenza a Verona, formando con essa un’unica, grande area metropolitana policentrica. L’industria, l’artigianato e le piccole imprese che formano l’area industriale sono state nella seconda metà del ‘900 il cuore della “locomotiva nord-est” che ha trascinato l’economia italiana; con il nuovo millennio questo modello economico è però entrato in crisi, comportando un profondo e talvolta drammatico ripensamento. È dunque il cambiamento la chiave di lettura affidata ai fotografi perché offrano un inedito punto di vista utile alla cittadinanza, agli imprenditori e agli amministratori per comprendere, rinnovare e governare il futuro di una periferia ormai centrale. La mostra FuoriCentro racconta così uno spazio che ha cambiato pelle silenziosamente attraverso il linguaggio visivo di architetture industriali e tracce umane, avvistate secondo le modalità scelte dai fotografi coinvolti: la prospettiva aerea di Rocco Rorandelli, le architetture di Andrea e Magda, la street photography di Lavinia Parlamenti.

Il progetto espositivo

Il curatore Pietro Vertamy e l’allestitore Massimo Cocco hanno scelto un allestimento non neutro, la cui incisività nella proposta dell’immagine fotografica è evidente e immediata. Allo spazio dei sotterranei del palladiano Palazzo Chiericati viene lasciata ampia leggibilità, mentre i materiali scelti per contestualizzare le opere rappresentano la ricerca di un ideale punto di equilibrio fra il contesto industriale delle immagini e la ricercatezza cinquecentesca dell’ambiente. Il lavoro dei tre autori è mantenuto separato e costituisce tre sezioni autonome per valorizzare le specificità di ciascuno, legate da minimi comuni denominatori connotati anche visivamente dalla scansione degli spazi.

4. Lavinia Parlamenti per mostra FuoriCentro Vicenza 2017
Lavinia Parlamenti per mostra FuoriCentro Vicenza 2017


Apertura al pubblico: dal 28 luglio al 24 settembre 2017

Orario di apertura della mostra:
luglio/agosto: dalle 10 alle 18.
settembre: dalle 9 alle 17.

COURIER LEATHER. L’UFFICIO ADDOSSO

COURIER LEATHER. L’UFFICIO ADDOSSO

Una mail inaspettata, una richiesta urgente da evadere, una risposta da inviare. Operativi quando serve con Nava, il brand che nei suoi 50 anni di storia ha sempre saputo anticipare le esigenze dei suoi fruitori. Oggi per la urban mobility people, numerosa ed esigente, Nava propone COURIER LEATHER, una collezione di borse e zaini realizzati in pellame di vitello liscio e morbido al tatto abbinato a dettagli in pelle stampata, eleganti minuterie personalizzate in nickel satinato, comparti organizzati per computer, tablet e documenti, e tasche multifunzione. Una banchina ferroviaria, la panchina di una piazza, la sedia di un bar diventano all’occorrenza uno spazio-ufficio.

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Prezzo da € 280

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DAVIDE PUMA – Conversazione con i luoghi della bellezza

DAVIDE PUMA
Conversazione con i luoghi della bellezza
Coordinamento progetto a cura di Claudia Roggero


Sono quattro le prestigiose sedi dove l’artista Davide Puma instaurerà una personale conversazione con i luoghi della bellezza.
Il colloquio avverrà portando la sua pittura negli spazi del Museo Bicknell, dell’Atelier Pompeo Mariani, del Museo civico archeologico Girolamo Rossi e dei Giardini Hanbury che lo ospiteranno creando degli eventi aperti al pubblico, che potrà così osservarlo durante il suo lavoro. Ogni luogo si lega all’altro costruendo un percorso, attraverso un sottile ma tenace filo rosso, che lega tra loro questi grandi personaggi.

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particolare del dipinto “La forma e la sostanza”


A Ventimiglia, Sir Thomas Hanbury (1832-1917) dotò la sua residenza di splendidi giardini
e si impegnò in numerose iniziative di carattere sociale e culturale, come la realizzazione del Museo civico archeologico, dedicato a un altro grande personaggio, l’archeologo Girolamo Rossi (1831-1914), a cui si deve la scoperta della città romana di Albintimilium, del teatro, della necropoli occidentale, delle terme romane e lo scavo della cattedrale a Ventimiglia alta. Rossi era in contatto non soltanto con Hanbury, ma anche con un altro inglese, Clarence Bicknell (1842-1918), anch’egli appassionato di archeologia e di flora tanto che curò una meticolosa catalogazione delle specie locali. Fu Bicknell a fondare a Bordighera nel 1888 il primo museo pubblico della Liguria occidentale, dedicato a collezioni archeologiche e botaniche. È su questa vivace scia di culture e saperi che si inserì, a Bordighera, il pittore Pompeo Mariani (1857-1927).

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il pittore Davide Puma nel suo studio


Nel 1911, grazie all’amico e architetto Rodolfo Winter, egli fece realizzare nel giardino della sua villa un grande atelier, dove poter lavorare e raccogliere le sue collezioni d’arte, che comprendevano anche tappeti, porcellane, armi e abiti antichi. Dal secolo scorso, natura e arte si fondevano in un connubio indissolubile sullo sfondo ligure. Oggi, a tessere un ordito dorato, Davide Puma con le sua poetica e i suoi colori farà rivivere luoghi e sensazioni, intrecciando un colloquio che, ponendosi di fronte al glorioso passato, sia una fonte di coinvolgimento per tutti coloro che parteciperanno, con l’augurio che tutto questo bagaglio di echi e di emozioni possa cristallizzarsi nelle sue pitture.

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il pittore Davide Puma e le sue opere


GIARDINI BOTANICI HANBURY.
la casa del sole

VENTIMIGLIA – La Mortola – Corso Montecarlo, 43
tel.: +39 0184 229507
www.giardinihanbury.com

20-21-22-23-24 agosto
ORARIO
9,30/18,00
uscita entro le ore 19,00
tempo di visita 1h – 1h30 minimo
Ingresso a pagamento biglietti acquistabili in loco

L’ottava nota – se la prendi, sei destinato a perderla

Ci dimentichiamo troppo spesso di essere stati bambini, abbiamo rimosso le prime ingiustizie subìte, i rimproveri umilianti, le sofferenze riversate inconsapevolmente su di noi da parte dei nostri genitori. Ma chi bambino ancora lo è, sa di possedere quella sensibilità intelligente che percepisce ciò che invece gli adulti credono lui ignori, chi è ancora nell’età della fantasia assorbe come una spugna, la luce ma anche le scorie del mare aperto, la vita.

Stet ha 12 anni, una madre alcolizzata che accudisce tra la scuola, con gravi disagi e problemi comportamentali ovviamente, e la casa in condizioni precarie, svegliandola puntualmente al suo ritorno, preparandole un bagno caldo, porgendole pastiglie e svuotando prontamente tutte le bottiglie di alcolici che gli capitano a tiro. Stet fa da madre a sua madre, fino a quando questa muore in un incidente in auto e il ragazzo si ritrova in balìa della decisione del suo padre biologico, mai conosciuto prima.

Dietro consiglio di una insegnante, il padre, per nascondere il figlio alla sua famiglia, lo manda in un prestigioso istituto in quanto padrone di un grande talento vocale. Il carattere ribelle e istintivo del ragazzo troverà non poche antipatie nella scuola, soprattutto da parte dei compagni, ma questo si sa, è il prezzo del “diverso”, del nuovo arrivato, lo scenario identico a se stesso anche nei branchi adulti.

Il maestro Carvelle, l’anziano capo del coro delle voci bianche, dapprima scettico, si avvicina presto al ragazzo, infondendogli fiducia e amore per la musica, riconoscendosi in lui alla sua età; è il rapporto che si instaura tra queste due figure l’impronta più profonda del film, e dalle domande che Stet si pone quando, crescendo, la sua voce cambia: “Che senso hanno tutte queste lezioni, se poi alla fine perderò la mia voce?
Le lezioni stesse” sarà la risposta.
Qui insegnamo la vita, non a fare carriera” spiegherà il Maestro durante la conversazione con un altro docente.

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E’ un film che parla di disciplina, di ordine, regole e volontà. L’intento degli insegnanti non è quello di creare delle super star, ma uomini che in futuro si alzeranno la mattina presto per compiere i propri doveri, che svolgeranno con amore e con passione, nel rispetto degli altri e soprattutto per se stessi.

Molte critiche si indignano per la mancanza di azione, ma cosa volevano? Più litigi, più cattiveria tra i compagni? Più disordine e caos? Professori più severi nelle punizioni?
Hanno capito che non è necessario urlare per farsi ascoltare?

L’ottava nota, un film di Francois Girard – 2014

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8 DONNE E UN MISTERO

The reader – A voce alta – Cosa è più forte? Il senso di colpa o la vergogna?

Michael è un ragazzo timido, riservato e di buone maniere. Ha 15 anni.
Hanna è una donna mascolina, all’apparenza severa, ligia al dovere, lavora come controllore sulle linee tramviarie di Neustadt. Ha 36 anni
Michael sceso dall’autobus durante una giornata fredda e piovosa sta male a causa di un attacco di scarlattina e Hanna lo aiuta a riprendersi per poi riaccompagnarlo a casa. Il ragazzo tornerà a ringraziare la signora, dietro consiglio della madre, con in dono un mazzo di fiori, per poi ritornare una seconda volta ed essere iniziato alla sessualità da Hanna. La prima parte del film si concentra sullo strano equilibrio del loro rapporto: Michael, prima di poter fare l’amore con Hanna, deve leggerle delle pagine di romanzo, da “La signora con il cagnolino” di Anton Checov fino a “L’Odissea”, il poema di Omero, libri che “il ragazzo” (così lei ama chiamarlo) studia tra i banchi di scuola.

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Michael, attraverso la sessualità condivisa, diventa uomo, acquisisce la sicurezza che gli mancava, scopre in quella donna un’anima fragile, capace di commuoversi ascoltando il canto muliebre di un coro in una chiesa o per il sottile piacere della letteratura. In cambio la misteriosa donna, che lascia al suo nuovo compagno la scelta delle portate così come le pagine di un libro, gli chiede di accontentare la sua sete di sapere, ma con il suono della sua voce.
La sensualità della prima parte del film, che può sembrare uno stralcio de “Il laureato” ma in ambientazione povera (siamo nella Germania Ovest del 1958) in realtà si trasforma in dramma, perchè il tema centrale diventa l’Olocausto.
Hanna scompare senza lasciare tracce né lettere né spiegazioni, lasciando Michael addolorato, nel momento in cui aveva intuito d’amarla. Sette anni dopo Michael, che studia legge, si trova a osservare un processo per crimini di guerra nazisti e rimane sconvolto nel constatare che tra gli imputati c’è Hanna, accusata di aver lasciato bruciare vive 300 donne ebree chiuse in una chiesa, lì per proteggersi da un bombardamento, e così destinata a trascorrere il resto della sua vita in carcere. Questa è una lettura che Michael non avrebbe mai voluto sentire e che soprattutto mette in discussione, per lo spettatore, la figura amorevole e caritatevole di Hanna.

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Ma Hanna non è l’unica responsabile; le altre imputate l’accusano invece di essere la sola ad aver redatto il documento-rapporto per i suoi superiori; menzogna che stona con una realtà cui solo ora Michael si accorge: Hanna è analfabeta! E per la vergogna, quando il giudice le chiede di scrivere qualcosa su un foglio per decifrare la calligrafia, si dichiara colpevole.
A questo punto il ragazzo potrebbe impiegare la sua testimonianza per salvarla, invece tace, assecondando il volere della donna che si è condannata a morte. Perchè sceglie il silenzio? Per rispetto? Per evitarle l’umiliazione e la vergogna? La stessa che l’aveva costretta a rifiutare la promozione a impiegata d’ufficio per poi arruolarsi come sorvegliante nelle SS. O per consevare il ruolo sociale che in questi anni si è cucito su misura?
Durante gli anni di prigionia, l’uomo le invia delle cassette dove registra la lettura di innumerevoli volumi, grazie ai quali Hanna imparerà a leggere da autodidatta. Quando una responsabile del carcere contatterà l’uomo per avvisare che la donna è prossima all’uscita, Michael incontrerà Hanna per la prima volta dopo lungo tempo e le chiederà se ha avuto modo di riflettere sul suo passato e che cosa ha imparato.
Ho imparato a leggere” risponderà con durezza la donna, senza peraltro provare compassione o dispiacere per i crimini commessi come carceriera nel periodo nazista. Questo atteggiamento allontanerà Michael, addolorato e incredulo che, solo una settimana dopo, pronto per aiutare Hanna alla nuova vita, viene informato del suo suicidio. E cosa significa questo suicidio? Senso di colpa o vergogna?

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The Reader – A voce alta – è un film del 2008 diretto da Stephen Daldry, adattamento cinematografico del romanzo di Bernhard Schlink del 1995

Condé Nast chiude le quattro testate Vogue

Ce lo aspettavamo da tempo e quel momento è arrivato: Condé Nast chiude Vogue, le quattro barche Vogue Bambino, Vogue Accessori, Vogue Uomo, Vogue Sposa e salva solo la testata diretta ora da Emanuele Farneti.

Poche le testate che ne parlano, si legge qua e là qualche strillo di dolore di teste saltate e qualcuno si toglie dei sassolini dalla scarpa, ma il resto della stampa resta attonito di fronte al collasso.

Ai giornalisti sacrificati verrà offerto l’incentivo più alto nella storia dell’editoria italiana, 40 mensilità per lasciare il gruppo e si vociferano successivi tagli, la media sarà di una persona al mese.

Nessuna filiazione Vogue quindi in edicola, le quattro che Franca Sozzani aveva reso importanti dopo Vogue Italia, secondo solo a Vogue USA, e dire che il 2016 si è chiuso in attivo.

Dalla scomparsa dell’ex direttrice Franca Sozzani si temeva il tracollo, e questa è la prova che l’editoria italiana sta morendo.
Ora Vogue è nelle mani di un uomo che guarda al futuro. Emanuele Farneti, uomo di legge e già direttore di Flair, AD e GQ, è un italiano contemporaneo che punta a tenere a galla il barcone Vogue, cosciente del gran capitano che lo ha preceduto.