Provocazione fetish in casa Burani – collezione Fall Winter 18/19

Dalle più impensabili pagine di letteratura, tra le note di una sconosciuta canzone, nelle rime di una poesia, la moda prende le sue ispirazioni. L’insieme di tutte le arti è moda, una composizione armoniosa di forme, che sono matematiche, di formule, che sono chimiche, quello che noi indossiamo è il frutto della fantasia, della ricerca, del sogno di un designer che si fa abito.

E dall’arte pittorica e fotografica, arriva l’eco della collezione Autunno/Inverno 2018/19 di Cristiano Burani. Dal graffitismo di Keith Haring e dal suo linguaggio universale che arriva dalla strada, fatto di segni netti, distinti, popolato da personaggi stilizzati e bidimensionali, ma che veicolano messaggi universali quali l’amore, il sesso, il razzismo, il capitalismo, la droga, il riarmo nucleare…



Mix and match è il filo conduttore Cristiano Burani Fall Winter 18/19 che abbina i tessuti in vinile e lattice a maglie in lana, a lavorazioni a mano dall’effetto tridimensionale. Il vecchio si allea col nuovo creando un contrasto di tendenza, il rock si sposa con il romantico e gli omini di Keith Haring sembrano prendere forma dalle maglie con lavorazioni ton sur ton.



Un sottile erotismo si svela tra le stoffe di questa collezione, stampe in bianco e nero di donne, bocche, corpi, pose osé, ma è necessario vederle da vicino, come se l’abito fosse un invito ad avvicinarsi a questo così tanto criticato mondo della moda, ma forse poco compreso.

Più esplicita la provocazione tutta femminile dell’uso di latex, vernice, vinile, per  jumpsuits, trench, guanti, stivali, tessuti che catturano luce e sguardo, tanto amati anche da Bettina Rheims, il cui ritratto di Monica Bellucci è qualcosa di indimenticabile.





Guarda qui l’intera collezione Cristiano Burani Autunno Inverno 2018/19:



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Model of the month: Sanja

MODEL OF THE MONTH: SANJA PALEKSIC


Photography and styling: Miriam De Nicolo’

Make up/ Hair: Elis Ferranti

Model: Sanja @Wave Management

Thanks to: Probeat agency, No Words, S2BPRESS, Monica Mazzanti PR



Cache coeur rosa NVK Daydoll – top Salvatore Vignola, orecchini spider perle Sheila Cunha, longuette Titì Milano


Cache coeur rosa NVK Daydoll, orecchini spider perle Sheila Cunha, gonna Domenico Cioffi, scarpe Puma


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body fucsia Deha, pantalone fucsia Pinkie, cintura Sergio Gavazzeni, borsa pink con frange Salar – salopette total white Wrangler, orecchini Sheila Cunha,top bordeaux Titì Milano


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giacca e gonna in denim effetto used Pimkie, pochette Salar, top Salvatore Vignola, anello fiori Sheila Cunha – dx top rosa Salvatore Vignola, longuette Titì Milano


top rosa Salvatore Vignola, longuette Titì Milano, orecchini spider perle Sheila Cunha, sneakers rosa glitter Aldo.


salopette total White Wrangler, top bordeaux Titì Milano, sneakers rosa glitter Aldo, orecchini spider perle Sheila Cunha


completo giacca e pantalone azzurro Gestuz disponibile su amazon.it, cintura alta bordeaux Sergio Gavazzeni


salopette total white Wrangler, top bordeaux Titì Milano, orecchini spider perle Sheila Cunha – dx completo giacca e pantalone azzurro Gestuz disponibile su amazon.it, occhiali da sole bicolor Eyepetizer


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Trench fantasia Massimo Crivelli – Cache coeur rosa NVK Daydoll, orecchini spider perle Sheila Cunha, gonna Domenico Cioffi, scarpe Puma, cuscino unicorno Lesara


salopette total white Wrangler, top bordeaux Titì Milano, orecchini Sheila Cunhasneakers, sneakers rosa glitter Aldo


top rosa Salvatore Vignola, longuette Titì Milano, orecchini spider perle Sheila Cunha


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La qualità e il lusso italiano di Fragiacomo – l’intervista

A Cenerentola cambierà la vita, quelle di Dorothy de “Il mago di Oz” sono magiche, Nanni Moretti ci legge dentro la natura umana. Sto parlando delle scarpe. Quell’oscuro oggetto del desiderio, protagonista e “musa” di registi, scrittori, scultori, perfino un fotografo che della donna ha creato un mito, la donna di potere, quella a cui ha regalato l’imponenza nei suoi scatti, l’autorità sottolineata dalla figura maestosa rispetto alla piccolezza dell’uomo, Helmut Newton, il fotografo che sotto quei tacchi ci ha fatto passare uomini, donne e auto sportive. Helmut Newton, che per la scarpa aveva un’ossessione, che in una sua immagine ci regala quella perfetta arcuatura della caviglia, il collo del piede che si tende, la linea sinuosa tra gamba e piede.

Sono loro a portarci a spasso, loro che lasciano il segno dove noi passiamo, le scarpe, a cui il brand Fragiacomo ha regalato estetica ed eleganza.

Incontriamo Federico Pozzi Chiesa, Chairman e CEO del brand (insieme al fratello Massimo Pozzi Chiesa) che ci racconta la storia del marchio, lunga più di 60 anni.

“La nostra famiglia indossa Fragiacomo da 3 generazioni ed oltre a conoscere la qualità del prodotto, siamo emotivamente legati al marchio. Questo legame è stato fortemente percepito anche dal figlio del fondatore, dal quale lo abbiamo rilevato ormai 7 anni fa. Maurizio Fragiacomo non voleva che il marchio fosse delocalizzato o alterato e l’avrebbe venduto solo a chi ne avrebbe rispettato i valori. Nella nostra famiglia ha percepito una condivisione di intenti, che mi piace tradurre con ciò che lo stesso Maurizio ci disse prima dell’acquisizione: “ Da generazioni, camminiamo sullo stesso marciapiede, respiriamo la stessa aria…”

Cosa c’è nel vostro passato da imprenditori prima di Fragiacomo?

“Il nostro core business è il trasporto e logistica e il real estate; il settore calzatura è una novità dettata da un discorso emotivo più che di business. Ma il nostro background sta influenzando e soprattutto migliorando l’approccio che abbiamo in questo settore. Come? Attraverso team ben selezionati che si occupano di e-commerce e digital, e il digital è nelle nostre corde: 4 anni fa abbiamo creato uno spazio di co-working, Supernova-hub  dove nascono start-up che oggi hanno un grande successo. 
Per Fragiacomo il novembre scorso è stato lanciato l’ecommerce, è stato chiuso un accordo con Yoox net a porter ed implementata una strategia mirata per i social network.”


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A quali donne è destinata la vostra calzatura?

“L’età è piuttosto trasversale, e la risposta che abbiamo dai social è un paniere di donne diverse tra loro, ma tutte accomunate da un forte senso estetico e dalla capacità di “interpretare” la scarpa. Alcune di loro hanno il gusto di “modernizzare” una scarpa prettamente classica, abbinandola ad un jeans o ad un abito iperfemminile. 
”




Qual è il vostro rapporto con le influencer? 



“Stiamo cercando di ampliare il raggio d’azione anche all’estero, abbiamo da poco piantato bandierina in Russia individuando un team di influencer che sostengono l’attività dei punti vendita multibrand (tra queste Rita Galkina, Eugenia Polyakova, Darya Kamalova).


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Eugenia Polyakova a Dubai indossa scarpe Fragiacomo SS18


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Rita Galkina indossa Fragiacomo


In Italia, tra le altre, abbiamo un rapporto continuativo con Nima Benati, che oltre al talento fotografico, riesce a comunicare attraverso le immagini. Per noi è importante che chi ha un ruolo “rappresentativo” del brand non sia solo una donna di bella presenza, ma possieda soprattutto carattere e personalità.”


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Nima Benati a Milano indossa un paio di scarpe Fragiacomo


Il rapporto arte – moda


“Il nostro obiettivo è creare una sinergia a livello culturale elevato. 
Tre anni fa ci siamo ritrovati a tavola con il direttore creativo della Fondazione Mimmo Rotella, di cui noi siamo collezionisti; a quel tempo avevamo già presenziato su alcuni red carpet o eventi diurni a Venezia facendo product placement su attori e attrici, ma la voglia di ricominciare doveva spostarsi sul cinema! Ed era un ridare prestigio a Fragiacomo, che proprio da “La Dolce Vita” ha lanciato questo trend, quando nel negozio di Roma Audrey Hepburn andava, tra un set e un altro, a scegliere le scarpe e Kirk Douglas era stato fotografato nel ’59, uscendo dalla boutique con un sacchetto Fragiacomo, durante le riprese di “Spartacus” di Stanley Kubrick.


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Kirk Douglas fotografato tra le strade di Roma con un acquisto Fragiacomo


Abbiamo rinnovato questi legami proprio grazie al Festival del Cinema di Venezia, e tramite il sostegno al Premio Fondazione Mimmo Rotella, grazie alla cui collaborazione negli ultimi anni abbiamo premiato James Franco, Jude Law, Sorrentino, Mel Gibson, Ashley Greene.

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La premiazione Fragiacomo a James Franco al Festival del Cinema di Venezia


Per l’uomo la scarpa rappresenta un investimento, per la donna un acquisto di pancia. Sentiremo uomini vantarsi di avere un’ottima scarpa da più di dieci anni, ma mai una donna fare lo stesso. La donna punta anche alla quantità. E’ così?



“Per esperienza abbiamo notato che per l’uomo è un acquisto razionale, di fruizione, ragionato; l’uomo è attento alla lavorazione, alla qualità intrinseca del prodotto, per la donna invece rimane una scelta dettata dall’umore. La donna acquista quel paio di scarpe perché se ne innamora!  Ma oltre a quelle, di altre 30!”


Esiste un modello a cui siete particolarmente legati? Un modello-icona?




“Lo Sparkling Mesh” è una delle nuove proposte che in collezione ha rielaborato la storica lavorazione con laseratura e cristalli. Abbiamo deciso di interpretarla e rinnovarla, ritenendo che rappresenti ancora oggi un concept molto attuale. La scarpa nella sua veste storica è stata anche fotografata da Piero Gemelli per il progetto Fragiacomo Timeless Italian Luxury, il nostro primo libro atto a celebrare i 60 anno del brand. Alcuni tra i migliori fotografi sul mercato hanno interpretato, con la loro visione, la loro sensibilità ed esperienze, un modello Fragiacomo: Gian Paolo Barbieri, Maurizio Galimberti, Giovanni Gastel, Simone Nervi e Maria Vittoria Backhaus.”

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Modello Sparlino Mesh Fragiacomo FW 18/19


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Foto di Piero Gemelli di un modello Fragiacomo anni ’80 – Monografia edita da Silvana Editoriale in collaborazione con l’Ass. Obiettivo Camera


Per le donne le scarpe Fragiacomo sono come le madeleines per Proust, riportano un ricordo lontano, come il sogno di indossarle da bambine, sono l’oggetto del desiderio, il pezzo della nostra ossessivo compulsiva collezione, ci portano a ballare ad una festa outré, ci fanno sentire più belle; quando vogliamo un paio di scarpe nuove usciamo, e ci compriamo un paio di scarpe nuove. E quando abbiamo voglia di coccole, usciamo e ci compriamo un paio di scarpe nuove!

Tutti i trend del momento nella collezione Annakiki FW 18/19

Anna Yang è la designer cinese che per la sfilata autunno inverno 2018/19 di Annakiki ha regalato una gettata di colore sulle tele della moda.


Rosa sorbetto, rosso di cadmio, viola indaco, blu dodger, giallo limone, verde trifoglio, celadon, marrone foca, cachi, nero e bianco luminoso, sono le sfumature che rallegrano la stagione fredda di quest’anno e del prossimo 2019.  Della serie, all’arcobaleno non abbiamo nulla da chiedere, i capi Annakiki illumineranno le strade e lo streetwear sui social. Ci sarà da fare a gara a chi celebra i colori dell’estate, del sole, delle piante, dei fiori e dei frutti della bella stagione, perchè indossando Annakiki si dice addio alla noia nero-grigia dell’autunno-inverno.


info@imaxtree.com

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E ce n’è per tutti i gusti, per le romantiche i long dress in velluto, per le busy women trench old style ma con le maniche in voile, che regalano un tocco femminile e trendy, così come di tendenza l’impermeabile in pvc che copre il cappotto cammello in lana, tutto tono su tono.


I capi di stili differenti si mescolano, l’eco pelliccia copre l’abito in tulle, la vernice si fa strada sui bomber, il pvc compare sui completi di taglio maschile e riceve applicazioni in pelliccia sui trench, il cappuccio diventa simbolo feticcio.

Sfoglia la collezione Annakiki Fall Winter 2018/19:



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Gabriele Colangelo Autunno Inverno 18/19

GABRIELE COLANGELO FALL WINTER 2018/19

C’è bisogno di semplicità, pulizia, rigore. Per la stagione Autunno Inverno 2018/19 Gabriele Colangelo propone una collezione in cui la scelta dei colori, delle forme, dei tagli, delle materie prime regalano una sensazione di essenzialità.

Essenzialità che non tralascia l’impatto delle tendenze, per cui gli abiti, i trench, i cappotti, vengono tagliati all’altezza delle spalle per lasciarle libere, asimmetricamente, così come asimmetriche sono le aperture delle longuette, con bottoni a mezza coscia.

Le frange, dei colori del mare in blu e bianco, oscillano sulle gonne e sui cappotti e sono extralong sulle maxi-bag per un effetto pelliccia e tridimensionali.

Le note cromatiche intense di accessori come borse, ankle boots e cinture, si accostano alla palette neutra di sabbia, argilla e calce.
Da portare singoli e d’ispirazione surrealista, gli orecchini in resine colate; onnipresente il top a collo alto in cashmire leggero e sofisticata la nappa plongé, adesivata in nuance cammello o in blu per coat o gonna drappeggiata sul davanti.

Le lane maschili piatte si alternano a micro pied de poule per giacche con rever a lancia, doppiate da pannelli in nappa plongé, appoggiati con bottoni in corno, e per pantaloni alla caviglia dal risvolto alto.
L’alpaca è lavorata a mosaico e composta da micro tasselli bicromi in alternanza a strisce di pelle a scacchiera per la pelliccia leggera con collo staccabile in lana.

Guarda qui l’intera collezione Gabriele Colangelo Autunno Inverno 18/19 


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La fotografia di Maria Svarbova: il silenzio degli spazi umani

Maria Svarbova nasce nel 1988 e, attualmente, vive a Bratislava, in Slovacchia. Nonostante i suoi studi in restauro e archeologia, il suo mezzo espressivo artistico preferito è da sempre la fotografia.


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Dall’anno 2010 l’immediatezza dell’istinto fotografico di Maria continua a guadagnarsi una grande acclamazione a livello internazionale e ottenendo una rilevanza non indifferente nell’ambito della fotografia contemporanea. Oltre le innumerevoli pubblicazioni in tutto il mondo, il suo lavoro è largamente diffuso tramite gli attuali social media.


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Le sue immagini più note sono quelle al sapore di cloro, raffiguranti piscine e persone dalle sembianze molto simili a dei manichini. I colori, le pose congelate in un attimo e il sincronismo del movimento dei corpi contribuiscono a generare un’atmosfera atemporale e surreale dove domina il blu degli spazi e dell’acqua.


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Anche quando i corpi si presentano in un contesto di gruppo, i soggetti sembrano subire gli effetti di un’alienazione: indifferenti gli uni agli altri, quasi privi di qualsiasi emozione, compiono dei gesti più per abitudine che per una reale volontà o consapevolezza. Tra i progetti aventi come protagonista l’acqua, si contraddistinguono “SWIMM“, “No Diving“, “SWIMMING trynity“, “Hedda Gabler“, “SNOW POOL“.


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Maria Svarbova prende spesso ispirazione dagli spazi pubblici e da azioni quotidiane per dare sfogo a tutta la sua incredibile creatività dai toni pastello. Il risultato ottenuto converge in una piacevole sensazione di solenne silenzio, in un’era moderna in cui, oramai, siamo tristemente abituati alla frenesia e al rumore.


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L’attesa al dottore, una camminata mano nella mano, le poltrone rosse di un cinema diventano il semplice pretesto per indagare gli spazi umani con cui ogni persona si confronta quasi inconsapevolmente nel corso della propria quotidianità. L’associazione di contesti, personaggi e colori contribuisce a far insorgere nell’osservatore stupore e curiosità , in un’era in cui tutto è dato per scontato e in una società dove i “perché” scarseggiano inesorabilmente.


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http://www.mariasvarbova.com/

MIA Photo Fair 2018 – il meglio della fotografia d’autore

Che ruolo ha la fotografia oggi? La risposta possiamo trovarla al MIA Photo Fair di Milano, la fiera internazionale delle fotografia d’arte appena conclusasi e allestita presso lo spazio The Mall tra i nuovi grattacieli in Porta Garibaldi.

L’evento, che ha visto un’affluenza in crescita rispetto alle edizioni precedenti – 25.000 visitatori di quest’anno rispetto ai 15.000 della prima – ci rimanda un ritratto di quello che oggi è allettante e in voga, nel mondo dell’immagine. In che modo? Attraverso quei bollini rossi che abbiamo visto accanto a nome dell’autore e prezzo dell’opera, un simbolo che sta a significare “venduto“. E allora le fotografie esposte al MIA sono per lo più destinate ai collezionisti, e il MIA stesso è il mercato del mercato dell’arte fotografica dove, quest’anno, hanno vinto gli stranieri. Sì perché mai come in questa edizione, gallerie e autori parlano una lingua diversa dalla nostra, e soprattutto, una lingua che è armoniosa e melodica come le immagini che la rappresentano, a partire dai fotografi olandesi che, per lo meno in me, hanno lasciato il segno.

A partire da Justine Tjallinks, classe 1984, che riprende il lavoro del ritratto fiammingo, quello pittorico del ‘400 dove il soggetto dipinto crea un’interazione, una sintonia, un collegamento con chi lo guarda (lo spettatore, noi). Opere che si espandono a ceti differenti, quindi non abbiamo solo regnanti ritratti, ma anche la nuova borghesia, i banchieri, i mercanti, che posano di tre quarti e non di profilo, così come posiziona i suoi soggetti Justine Tjallinks. Volti di persone dall’aspetto non convenzionale, un’immagine dalla perfetta ricerca stilistica, quasi aulica, in cui l’atmosfera, la scelta dei toni, lo sguardo, le pose, creano un forte senso di intimità.

@ Justine Tjallinks


Da Jan van Eyck a Erwin Olaf (altro fotografo olandese – e non è un caso), fino a Justine Tjallinks, dal primo che fu un moderno ritrattista fino a chi fa della fotografia un passaggio “moderno” di quello che fu il nostro passato, mantenendone le leggi, la composizione, le regole, le armonie, i significati. E in genere chi le rispetta, non sbaglia.

In questa ottava edizione fieristica, la fotografia diventa necessità espressiva (quindi aumentano gli autori) e forma rappresentativa, con un aumento degli acquisti che, nello specifico, vede i prezzi delle opere partire da 350 a 20.000 euro circa, numeri che arrivano da “Il Sole 24 ORE.

Chi acquista cosa e perché? Perché la fotografia diventa sempre più succulenta, non solo ai fedeli collezionisti di sempre, quelli che andavano con le proprie gambe dagli autori a chiedere delle immagini da comprare, ma anche ai neofiti?

Cosa si legge dietro una “piatta” fotografia? In fondo è la rappresentazione di una realtà, ma vista in maniera distorta e quindi non oggettiva, perché “modificata” dall’occhio che fa “clic”. E’ un oggetto superficiale che esprime un concetto superficiale perché illusorio, voglio dire: se vediamo una modella che ammicca, quell’immagine ci porterà ad elaborare una serie di fantasie che in realtà la macchina fotografica non ha impresso, e cioè il carattere della modella, la sua vera natura, il suo andamento, il linguaggio che usa. Vediamo invece quello che il fotografo ha voluto sussurrarci, il desiderio di una bocca socchiusa, la sensualità in una spalla nuda accarezzata dai capelli sciolti, ci racconta sottovoce del guizzo intelligente attraverso gli occhi curiosi, o accenna la dolcezza con uno sguardo umido. Ma sono solo dei mezzucci per occultare il vero. Perché dietro quel finto sentimentalismo, dietro quell’apparenza, abbiamo magari un maschiaccio, una persona scortese, una donna volgare, un’analfabeta, un rude, una a cui puoi solo chiedere di “mettersi in posa”. E allora cos’è la fotografia se non la conferma che l’essere umano vuole essere preso in giro? Così come ha bisogno di simboli per pregare, una chiesa, una croce, un dio sofferente, ha bisogno di ritratti per sognare. E la bravura di un ritrattista sta nel rendere bello ciò che gli altri ritengono privo di interesse.

Leggendo alcune interviste a noti fotografi, la risposta ricorrente alla domanda “Cosa rappresenta questa immagine?” è sempre la stessa: “Semplicemente quello che vede”. Un paesaggio rappresenta un paesaggio, un volto rappresenta un volto, un’albero riflesso sull’acqua rappresenterà un semplice albero riflesso sull’acqua. Chi ha inventato il “concetto” dietro la fotografia? Sicuramente qualcuno che ha un ruolo molto vicino a quello del critico d’arte, o per essere più precisi e non fraintesi, a colui che dell’arte ne scrive le prefazioni sui cataloghi delle mostre. “Bla bla bla bla bla bla“.

Quante fotografie hanno quel privilegio? Quello di essere davvero più di ciò che raccontano, più di quello che la carta stampata o un file jpg ci rimandano? Poche. E al MIA Photo Fair, per chi ci è stato, si ha avuto la fortuna di poterle vedere: i ritratti di Steve McCurry, i reportage di Sebastiao Salgado, la potenza comunicativa dei colori di Joel Meyerovitz, i bianco e neri di Mario Giacomelli, l’umanità delle stars di Harry Benson, l’eleganza di Edward Quinn, la visione geometrica di Gabriele Basilico


@ Steve McCurry


E ancora ritroviamo al MIA Photo Fair un Giovanni Gastel nuovo, con delle fotografie che sembrano un omaggio al pittore Edward Hopper.

I suoi colori, i tagli netti della luce, il silenzio degli interni, i dettagli freddi, spogli e artificiali, lo sguardo del soggetto perso nel vuoto.

E’ un nuovo stile per spronare le coscienze?


@ Giovanni Gastel


Diverso è invece lo spazio riservato a Settimio Benedusi, che anziché partire con una esposizione “già stampata”, ha progettato dei ritratti momentanei rivolti al pubblico, in cui ogni foto ha il valore di 30 euro. Il progetto ha preso il nome di “NON MI RICORDO“. Perché? “Quando tra 10 anni mostrerete la vostra stampa e vi chiederanno “quanto l’hai pagata?”, voi risponderete: NON MI RICORDO.”
Il fotografo è stato pero’ costretto a delegare i ritratti a degli assistenti a causa di un grave problema di salute. Ora sta bene per fortuna e, anche nell’ospedale dov’è stato curato, il reparto di chirurgia di Imperia, non ha resistito a prendere in mano la macchina fotografica e dire “grazie” con i suoi simbolici ritratti. Credo abbia più valore esporre questi:

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@ Settimio Benedusi


Qui una piccola selezione delle immagini esposte al MIA PHOTO FAIR 2018:



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Les Copains omaggia la donna altera e chic che fu Capucine

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Germaine Hélène Irène Lefebvre, in arte Capucine, fu una modella ed attrice francese, musa del grand couturier Hubert de Givenchy che da sartina la promosse a mannequin, il designer che oggi purtroppo ci lascia all’età di 91 anni.

Capucine era una donna altera, magnetica, di una bellezza elegante e dallo stile rigoroso e chic, come lo definiremmo oggi; fu lei ad ispirare la figura della Duchessa Altea di Vallenberg, elegante personaggio del fumetto Diabolik. 

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Capucine era circondata da un velo di mistero, tipico delle donne che sanno di dover nascondere qualcosa, a caro prezzo, la donna difatti di suicido’, all’età di 61 anni, dopo una vita in cui depressione e bipolarismo intaccavano quello che era successo e serenità.

Un passato di maltrattamenti subìti dalla madre, la morte prematura dell’uomo che amava, un primo tentativo di suicidio tagliandosi le vene, ma Capucine manteneva in pubblico un’allure sempre impeccabile, quel tono distaccato, un poco snob, di chi invece aveva camminato la strada della povertà. Il suo fascino rimane, anche dopo la crisi lavorativa, le chiamate dei registi che tardano ad arrivare, la sua figura iconica è impressa nei film che ha interpretato e nelle collezioni che la omaggiano, come quella Autunno Inverno 2018/19 di Les Copains.

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Tonalità neutre e sobrie, dal carne al sabbia, dal blu notte al nero profondo, dal kashà al prugna; i filati pregiati sono arricchiti da lavorazioni artigianali, pizzi, tulle, maxi sciarpe con maxi frange, capo fondamentale dell’outfit, fermate da cinture in pelle, maxi anche le borse e i cardigan.

Sui micropull a coste, Les Copains racconta le storie mitologiche e draghi cinesi compaiono sotto le giacche, sui tulle trasparenti. Ma il pezzo cult della collezione Autunno Inverno 2018/19 Les Copains torna ad essere la Giacca Flag, emblema storico della maison, come ci ricordano Alessandro Mariani e Stefania Bandiera, rispettivamente CEO e Creative Director di Les Copains.


Guarda la collezione Autunno Inverno 2018/19 di Les Copains:

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Intervista a Marta Bevacqua: dai primi passi ai nuovi progetti

Marta Bevacqua è una fotografa ormai ben affermata nel panorama fotografico e artistico internazionale. Originaria di Roma, attualmente vive a Parigi: una scelta coraggiosa per una fotografa che, dalle sue parole ma anche dalle sue immagini, appare come una donna tenace ed estremamente curiosa.


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Qual è stato il suo primo approccio alla fotografia? Ci racconta un aneddoto?


Cercavo una fotografia o un disegno per il mio personaggio su un gioco di ruolo fantasy online. Avevo 17 anni ed ero patita per questo tipo di giochi e tutto ciò che riguardasse il fantasy. Così passai molto tempo a navigare su siti come DeviantArt, Flickr e altri. Una volta trovata l’immagine che cercavo, ho semplicemente continuato a spulciare altre immagini, ogni giorno, solo per il gusto di osservare belle fotografie. Da lì il passo è stato breve, mi sono detta che avrei potuto provarci anche io. Ho preso una vecchia macchina compatta (e rotta) in casa, ho scattato le prime foto e da lì non ho mai più smesso.


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Ci sono dei fotografi che hanno segnato particolarmente il suo cammino artistico?


Ci sono senz’altro molti fotografi a cui mi sono ispirata nel tempo (e tuttora), e altri ancora che ho scoperto da poco. Non si smette mai di imparare dagli altri e di ispirarsi ad altri artisti. Posso però dire che c’è stato un fotografo di Roma che mi ha veramente aiutato a muovere i primi passi. A livello fotografico siamo in due mondi opposti, ma mi ha insegnato tanto per tutto ciò che è la fotografia in generale. Si tratta di Daniele Fiore, e potrebbe essere considerato in qualche modo il mio “mentore”. Altrimenti c’è un fotografo che mi ha colpito dal primo momento, e che ha condizionato anche le mie scelte (come quella di spostarmi a Parigi), Paolo Roversi. Non l’ho mai conosciuto (ammetto di aver provato appena arrivata in Francia, ma senza successo), ma, seppur indirettamente, mi ha insegnato comunque molto, semplicemente osservando le sue opere.


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C’è qualche cineasta che adora particolarmente?


Ce ne sono molti e ammetto che non ho mai seguito più di tanto i cineasti, nonostante mi piaccia molto andare al cinema e guardare film (di quasi tutti i tipi). Sicuramente Guillermo del Toro è uno dei miei preferiti.


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Come riesce a conciliare al meglio la libertà creativa con le commissioni commerciali?


Spesso è molto difficile e alcune volte impossibile. Diciamo che ho imparato a separare le due cose, quando sono inconciliabili. Nessuno fa sempre ciò che ama, pur amando il proprio lavoro. Sicuramente è importante riuscire a imporre la propria creatività seguendo però i bisogni del cliente. E’ un processo lungo ed è fondamentale farlo durante la preparazione prima dello shooting fotografico. La riuscita dipende da molte cose, in primis il cliente e il lavoro commissionato. Anche se alcune volte scatto delle fotografie che sento non mi rappresentino al meglio, riesco a sfogare la mie creatività nei molti progetti personali su cui lavoro costantemente. Arrivare a lavorare per grandi clienti mantenendo intatto il proprio stile. Beh, diciamo che è lo scopo della mia carriera e spero di arrivarci un giorno.


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Le è mai successo di non riconoscersi in una delle sue foto o in un progetto?


Purtroppo . E’ capitato per qualche lavoro commissionato ma anche in alcuni progetti personali. Alcune volte ho un bisogno estremo di sperimentare, e mi capita di allontanarmi un po’ troppo da me stessa. Allo stesso tempo, però, mi è molto utile per ritrovarmi e per imparare ed evolvermi.


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Le donne da lei ritratte sono sempre molto giovani. Quale aspetto femminile adora cogliere nelle sue donne?


La particolarità, la gestualità e la possibile stranezza che può esserci nelle espressioni.


Come si pone di fronte l’errore?


Non mi abbatto, cerco di capirlo e farlo mio. Imparo.


C’è qualcosa che preferirebbe non fotografare mai?


Forse automobili.


C’è qualcosa che, invece, adorerebbe fotografare?


Gli animali.


Ha in cantiere qualche progetto in particolare?


Ho appena fatto un viaggio e ho provato a scattare alcune fotografie di paesaggio, in pellicola e digitale. Mi sta venendo voglia di sperimentare in questo senso, cogliere altro oltre le espressioni e le gestualità. O forse, chissà, mettere tutto insieme.


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La fotografia di Marta Bevacqua è un mosaico di gestualità ed espressioni. Le sue donne non risultano mai artefatte o dalle espressioni forzate. La sua creatività e l’incessante voglia di sperimentare l’hanno resa un punto di riferimento per i giovani fotografi italiani e non.


https://www.martabevacquaphotography.com/

“La forma dell’acqua”, un film sulla solitudine

Elisa é una ragazza muta, vive sopra un cinema chiamato Orpheum, mangia uova sode, ama i musical e, ogni giorno, alla stessa ora, si dedica alla masturbazione nella sua vasca da bagno, scandita dal ticchettìo dell’uovo che conta i minuti. Per tirare a campare fa le pulizie in un laboratorio scientifico di Baltimora, dove tira su’ per lo più urina e sangue, tanto sangue, il sangue di una creatura anfibia dall’aspetto umanoide, la “risorsa“, su cui gli americani stanno facendo esperimenti, tra torture e una imminente vivisezione.

Il “mostro marino” è stato catturato in Amazzonia dal colonnello Strickland, un uomo violento che lava le mani prima di pisciare, non dopo, e questo la dice lunga sulla sua persona, un marito che prende la moglie nel letto coniugale senza nemmeno levarsi le braghe, soltanto abbassandole e imponendole il silenzio, lo stesso uomo che, dopo aver perso due dita in una lotta con la creatura marina dice al generale: “Non sono preoccupato signore, mi sono rimaste quelle per la fica!

Siamo negli anni ’60, periodo razzista e omofobo, dove Giles, il vicino di casa gay, amico di Elisa, combatte per rendere più appetibili i dolci gelatinosi che disegna sui cartelloni pubblicitari, budini su carta che non verranno mai acquistati a causa del suo orientamento sessuale. Giles è un signore vicino alla sessantina, vive con un numero indefinibile di gatti, e anche lui, come Elisa, presenta delle caratteristiche nevrotiche: colleziona torte al lime (bellissime ma immangiabili – la visione americana di quel tempo, case perfettamente impacchettate ma con nuclei familiari dalle situazioni disastrose) che finiscono dritte negli scomparti del suo frigorifero, per il solo piacere di scambiare due chiacchiere con il ragazzo del fast food.

Zelda, collega e confidente di Elisa, altro “relitto della società” perché afroamericana, combatte i pregiudizi e la condizione familiare in casa, e all’interno del laboratorio fa da interprete alla sensibile, umile, dolce, povera muta.
Sono i 4 diversi (il mostro, la nera, il gay, la muta) che combattono contro i veri mostri travestiti da brava gente, da falsi moralisti, dietro quelle divise che nascondono violenza e frustrazione.


Cosa spinge Elisa a macchinare la fuga del “mostro”? L’empatia. Quello scambio di sensazioni, mute, in cui si riconosce un essere uguale a noi, che prova quello che noi proviamo, che sente quello che noi sentiamo. É la forza che ci aggrappa a qualcuno per sentirci meno soli.

Lo accudirà nella sua casa, nella sua vasca, nel luogo destinato all’erotismo solitario, che ora diviene erotismo condiviso perché, ebbene sì, la “Bella e la Bestia” si accoppieranno, e non solo platonicamente, perché la creatura anfibia è dotata di sesso e Zelda, personaggio dotato di grande sense of humor, ci ricorda che “gli uomini ingannano e sorprendono sempre, anche quando sembrano piatti, lì sotto“.

L’essere anfibio, che gli amazzoni veneravano come un dio, si rivela dotato di grande intelligenza e capace di provare sentimenti, oltre che essere in grado di guarire le ferite e riportare i capelli all’anziano Giles. Senza la necessità della parola, attraverso il solo linguaggio sei sentimenti, Elisa trova un amico, che colma la sua immensa solitudine e si lascia cullare nelle acque dell’amore, quel liquido amniotico dentro cui fluttuano e si abbracciano, come due feti, un unico corpo, la grande vasca che sarà il suo bagno, destinato ad allagare l’Orpheum e a far infuriare il proprietario.


Una volta scoperti i fautori del rapimento, il colonnello Strickland spara al mostro e ad Elisa, prima che questa gli dia l’addio vicino alle acque che portano al mare. La creatura, col solo tocco della sua mano palmata, guarisce improvvisamente le ferite e uccide il colonnello che sarà costretto ad ammettere la sua natura divina e, quando Elisa sembra ormai essere senza vita, il dio la porta con sé tra le acque, in un abbraccio ultraterreno che trasformerà le ferite al collo della ragazza in branchie, la promessa di una vita insieme.


La forma dell’acqua – The Shape of Water  è il film diretto da Guillermo del Toro che ha vinto il Leone d’oro al miglior film alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e si è aggiudicato quattro Premi Oscar, su tredici candidature ricevute, per miglior film, miglior regista, migliore scenografia e migliore colonna sonora.

La forma dell’acqua è un film sulla solitudine, dove i protagonisti, la MAESTOSA Sally Hawkins e un anfibio bipede antropoide sono MUTI! Come possa riuscire bene un film ben riuscito lo si deve soprattutto a lei, alla Hawkins, che con le sue multisfaccettate espressioni, la beatitudine, la serenità, la gioia, la derisione, quel piccolo solco a forma di parentesi tonda che ha a lato della bocca, non voglio chiamarla ruga perché non lo è, ma è invece il dono di un’attrice, che a noi ha regalato il sorriso e la tristezza. Insomma è la Hawkins che ci ha fatto piangere e ci ha fatto credere in un fantasy! E’ lei ad averci emozionato, con la stessa empatia e lo stesso trasporto che ha il diverso, verso il proprio simile.




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PER ‘FORBES’ E’ MARIANO DI VAIO L’IMPRENDITORE E INFLUENCER UNDER30 PIÙ INFLUENTE DEL MONDO

PER ‘FORBES’ E’ MARIANO DI VAIO L’IMPRENDITORE E INFLUENCER UNDER30 PIÙ INFLUENTE DEL MONDO NELLA CATEGORIA FASHION, RETAIL & E-COMMERCE

L’autorevole rivista economica ha incoronato il 28enne umbro come influencer italiano uomo numero1 al mondo nella classifica ufficiale degli under30 che contano. Regna al primo posto per la categoria retail/e-commerce nel settore moda con oltre 11 milioni di followers sui social.



Imprenditore ed icona di stile mondiale, oggi il top influencer Mariano Di Vaio potrà godere di un altro importante riconoscimento grazie al magazine Forbes che ha dato voce ai volti che stanno reinventando il presente ma anche il futuro al grido di “We Win Worldwide”.

Mariano Di Vaio nasce il 9 maggio 1989 ad Assisi. All’età di 18 anni si trasferisce a Londra per ricavarsi uno spazio come testimonial e ambassador, poi a New York, dove frequenta una rinomata scuola di recitazione. Nel 2011 decide di tornare in Italia dove inizia a guadagnarsi la fama internazionale lavorando per alcune importanti case di moda: dalla pubblicità di Roberto Cavalli a campagne con Hugo Boss, Gucci, Tommy Hilfiger e Omega.


Oggi, insieme alla collega Chiara Ferragni, è considerato il Re del mondo digital, vero padrone delle scene e numero uno indiscusso. Con i suoi 11 milioni di followers totali sui social network è considerato una delle icone di stile italiane più famose nel mondo oltre che il trend setter dei trend setter, capace di ispirare ed influire milioni e milioni di persone.

I social ed il sito internet “Mdv Style” fanno da cornice alla prestigiosa fama ed immagine da Top Influencer italiano uomo più richiesto e chiacchierato. Non solo personaggio protagonista indiscusso delle Fashion Week ma anche imprenditore; da sempre a capo della sua azienda è titolare dei brand “Mdv Collection” e “Nohow” di cui quest’ultimo è anche uno degli e-commerce iconici più cliccati, consultanti ed utilizzati in tutto il mondo. Le linee esclusive di occhiali, gioielli, capi street e couture fanno da cornice ai prestigiosi brand in vendita sul portale dal successo mondiale con oltre 15 dipendenti a carico.




Mariano è sposato con Eleonora Brunacci, avvocato di Perugia, con cui nel novembre 2016 ha avuto un figlio, Nathan Leone, già baby star icona paragonato dai media americani al figlio di Tom Cruise e Katie Holmes; nel febbraio 2018 Mariano dichiara in un’intervista esclusiva rilasciata a Vanity Fair che la moglie è incinta del secondo figlio.