Momoni collezione FW 18-19, la nostalgia dei ’70 e lo charme parigino

MOMONÌ COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 18-19

I seventies sono tornati e con loro le atmosfere “Happy days”, le cucine con le pareti giallo ocra e i pantaloni in velluto a coste. Ci fanno compagnia i maglioni over size e vecchie lettere d’amore, quelle che cantava la Mannoia ma che nessuno scrive più.

La nostalgia del passato si fa sentire e torna, come succede spesso nell’ambito moda, come tutti gli ex, con una vena nuova, più moderna, adeguata ai trend e Momonì ne fa una collezione, quella autunno inverno 2018-19.

Lo fa su due pilastri importanti della maison, qualità e ricerca:

Il nostro punto di forza sono la qualità e la ricerca. Molte delle stampe che trasferiamo sui vestiti, sono quadri, tappezzerie, disegni, che ritroviamo nei nostri innumerevoli viaggi intorno al mondo. Un giorno, durante un pomeriggio parigino, mi ritrovai in un caratteristico negozio vintage, a sfogliare un libro di botanica. Quei meravigliosi intrecci di foglie e fiori, oggi sono le stampe Momonì” (Michela Klinz – designer)



I tagli hanno una linea sartoriale di gusto maschile, comoda, un look casual per una donna impegnata, ma che non rinuncia allo stile.

I dolcevita, quelli tanto amati dagli uomini come sottogiacca, si fanno a righe colorate e scaldano con il cashmire. I tessuti classici sono in lana tartan, i velluti profilati con dettagli tecnici, i capi legati in vita con cinture marsupio multitasking.


Momonì racconta uno stile urban miscelato all’avant-garde con dettagli parisienne, la stessa finta noncuranza, l’essenzialità, la comodità dei capi.

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LA MAISON


Momonì nasce nel 2009 da un’idea di Alessandro e Michela Biasotto, è un marchio di pret à porter femminile che unisce lo stile italiano con il fascino e lo charme parigino. L’evoluzione del brand si completa con il debutto del concept store Momonì – presente a Parigi e in Italia a Milano, Bologna, Verona, Vicenza, Padova, Treviso e Firenze.

La distribuzione del brand è basata su una rete wholesale che conta un ampio network di clienti di livello medio-alto non solo a livello Europeo ma anche oltre Oceano e la collezione è presente nelle più belle vetrine internazionali.

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IL FILM


Domino Sturling è un supercattivo professionista, lavora per le forze del male da ormai più di quarant’anni.E’ un uomo la cui esperienza e la cui impronta vecchio stampo, lo rendono senza dubbio uno dei più temuti e famosi supercattivi al mondo. Ma il tempo passa per tutti, anche per Domino, che dopo una normale giornata di lavoro, si trova ad essere congedato per venire rimpiazzato dalla gioventù che ambisce allo status di Sturling. Lo sconforto per Domino, è immenso. Tra un bicchiere di scotch ed una sigaretta si crogiola nella malinconia e nei ricordi di ciò che era una volta. Dopo una notte di rammarico, esce di casa per andare al “bloody club” il bar frequentato dai criminali e dai supercattivi della sua città. Qui, Domino, scopre il nome del suo successore: Copper. Furibondo e senza esitare, proverà a riconquistare il suo trono di supercattivo. La storia mette al centro la persona, e i suoi conflitti esistenziali. Orbita attorno al tema del rapporto tra nuove e vecchie generazioni, trattandolo in una maniera originale e mai vista prima.

Nel film una equilibrata alchimia tra elementi artistici e tecnici riesce nel difficile intento di far coesistere intrattenimento, estetica e tematiche importanti, senza scadere nella banalità e nel buonismo che prendono sempre più piede nell’industria cinematografica.

I FONDATORI DI VANGARDFILM 

I Fondatori della giovanissima società di produzione VANGARDfilm, si lanciano nell’industria cinematografica con l’obiettivo di produrre film innovativi da introdurre nel mercato italiano ed internazionale, consolidando una struttura produttiva fondata sul talento dei giovani autori.


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Rodolfo Gusmeroli, director/screenwriter


RODOLFO GUSMEROLI


DIRECTOR/SCREENWRITER:

Nasce in una famiglia di medici, ma la madre è anche pittrice e il padre collezionista d’antiquariato. Fin da bambino viene abituato a visitare gallerie d’arte, mostre, installazioni. Questo segna in lui una profonda necessità creativa e ricerca estetica. Trova conforto in discipline come il disegno, la grafica, la musica ma ben presto scopre la sua vera vocazione, il cinema. Dopo anni di gavetta sul set e di studio cinematografico alla Roma Film Academy, vuole fare il salto di qualità, cimentandosi nel progetto STURLING, il suocortometraggio d’esordio.


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Elisa Possenti, screenwriter/producer


ELISA POSSENTI


SCREENWRITER/PRODUCER:

Nasce a Merate (LC) il 10.02.1998. Essendo i genitori nel settore del marketing turistico, durante l’infanzia e l’adolescenza gira l’Italia trasferendosi periodicamente. Questa forte esperienza itinerante, unita alla passione per il cinema, hanno contribuito alla sua formazione personale ed artistica facendo nascere in lei un forte bisogno di esprimere il proprio bagaglio esistenziale e culturale attraverso il cinema. Dopo anni di studio da autodidatta e in alcune prestigiose accademie nazionali ed internazionali ( ad esempio la New York Film Academy), ha iniziato a trasformare la sua vocazione in un vero e proprio lavoro. Nel 2017 scrive, dirige e produce il suo primo cortometraggio “Axioma” ottenendo un incredibile numero di riconoscimenti nei festival cinematografici di tutto il mondo. Al momento è in pre-produzione col suo nuovo cortometraggio, Zagara che si girerà a Ottobre in Sicilia.

PERCHÉ CI SERVE IL TUO AIUTO?

Finanziare un film – è risaputo – non è cosa semplice. Abbiamo coinvolto sponsor e inserito nel film alcuni prodotti di marchi italiani in cambio di finanziamenti (product placement). Per raggiungere il budget mancano solamente 4.000 euro. Per questo motivo, abbiamo bisogno di te! Il cinema è il lavoro più simile allo sport: è un complesso gioco di squadra. Donando la cifra che ritieni consona entrerai a far parte della nostra famiglia. Proprio così, a partire da 10 euro il tuo nome verrà incluso nei titoli di coda e non è finita qui. In base all’importo scelto ci sarà un premio per te, sevi solo scorrere la lista e scegliere il tuo preferito.



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DESTINAZIONE DELLE DONAZIONI

Pre-produzione: Questa preliminare ma dura e fondamentale fase comprende le numerose attività produttive e creative che normalmente si svolgono prima delle riprese. Ad esempio la scrittura della sceneggiatura e l’organizzazione generale.

Produzione: Sul set! Un team di tecnici e artisti lavorerà duramente per costruire il film, inquadratura dopo inquadratura. Questa non è solo la fase più delicata, ma anche la più costosa. Oltre a pagare e assicurare le persone, ci sono i mezzi tecnici ( Macchina da presa, luci ecc.).

Post-produzione: Adesso che il film è stato girato si passa al montaggio e alle numerose attività fino ad ottenere il prodotto finito.

Distribuzione: Ora che il film è pronto, inizia la fase di distribuzione. Il cortometraggio, dopo essere stato presentato in anteprima mondiale in un festival del cinema inizia il suo percorso (1/2 anni) all’interno del circuito festivaliero.


AMBIZIONE

Il nostro obiettivo è quello di favorire la massima distribuzione del cortometraggio, a partire dai festival del cinema, rappresentando così l’Italia nel mondo con un’opera giovane e innovativa. Questo film, inoltre, apre e consolida l’organismo produttivo VANGARDfilm

Qui tutte le info per donare:

https://www.indiegogo.com/projects/sturling-cortometraggio-adventure#/


Van Gogh tra il grano e il cielo

E’ uscito nelle sale dei cinema italiani, in anteprima mondiale lo scorso aprile, “Van Gogh tra il grano e il cielo“, un docufilm che ripercorre la storia del grande pittore olandese, attraverso le opere raccolte dalla sua più grande collezionista, Helene Kröller-Müller.

Dato il successo al box office (420.000 euro di incassi e 50mila spettatori in soli tre giorni), 3D Produzioni e Nexo Digital (specializzata nella produzione di film su arte e musica) propongono la replica per le date 22 e 23 maggio 2018.

Helene Kröller Müller era una mecenate olandese dei primi ‘900. Affascinata dall’opera di Vincent van Gogh, acquistò circa 300 pezzi tra dipinti e disegni, convinta che un giorno avrebbero scritto la storia dell’arte:

La gente parlerà di van Gogh per molto tempo e ci saranno due correnti principali nell’arte: una basata su di lui e una che segue la tradizione“.

La donna, sposata a un uomo che non amava per volere della famiglia e per ragioni di interesse (Anton Kröller era socio di suo padre), era di natura malinconica,  ricercava “altrove” la felicità che le era stata negata. Scriverà in una delle innumerevoli lettere inviate a Sam van Deventer, amore platonico di vent’anni più giovane, che nei quadri di Vincent van Gogh ritrovava una serenità e una calma mai avute in vita. Ringrazierà van Gogh di questo regalo, costruendo il museo Kröller-Müller di Otterlo che ospita alcuni dei quadri più importanti dell’artista, come “Terrazza del caffè la sera”, “Seminatore al tramonto” e i disegni di inizio carriera. L’edificio dista un’ora da Amsterdam ed è costruito nel cuore di una riserva naturale, che il regista pesarese Giovanni Piscaglia  ha illustrato attraverso le corse dei cervi tra le distese dei campi verdi bagnati dalla luce del sole, un modo per accompagnarci nei luoghi del pittore, coi suoi stessi occhi.

Vincent van Gogh, Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, 1888,  Kröller-Müller Museum, Otterlo


Quella che riusciamo a vedere, così da vicino, attraverso questo docufilm è la pennellata di van Gogh. Sono immagini tridimensionali, riusciamo quasi a toccare la pastosità dei colori ad olio e a riconoscere la profondità del tratto. Come sei riuscito, perché ci sei riuscito, a commuovere il pubblico?

“Credo che il rapporto tra cinema e spettatore si giochi principalmente in un territorio di comunicazione non verbale: quelle dell’immedesimazione, della suggestione, dei sentimenti. Nel girare il film ho pensato che non avrei potuto emozionare senza emozionarmi io stesso e non sarei mai riuscito a restituire un sentimento senza sentirmi coinvolto in esso proprio nel momento della ripresa. Cercavo quindi di rendermi aperto rispetto ai contesti in cui giravo, le città, i luoghi di Van Gogh, chiedevo alla troupe di comunicare piano, mantenere il silenzio, mi concentravo per cercare di catturare nell’inquadratura il mio stato emotivo del momento.

Accadeva questo anche quando filmavo i dipinti, il movimento ravvicinato sopra di essi è stato per me un mezzo di indagine, una sorta di analisi autoptica – eppure emotiva – alle radici di Vincent, del suo tratto, del suo pensiero, della sua interiorità, abbattendo ogni filtro per cercare il minimo comun denominatore del genio.

Il cinema è un mondo che racchiude tanti livelli complessi in cui nulla è lasciato al caso. Nel mio approccio alla regia passa anche da una forte idea delle strutture profonde della narrazione, per questo durante il lavoro è stato molto importante la collaborazione con Matteo Moneta assieme al quale decidevamo di volta in volta quali temi (dei tantissimi possibili) trattare più nello specifico e quali trascurare, la divisione dei blocchi narrativi.

Per ogni scelta mi faccio guidare dal mio gusto. Mi preparo molto per tutto il tempo prima delle riprese, salvo poi abbandonarmi all’improvvisazione nel momento delle riprese. Il bello è che quando a fine giornata torno a casa e riguardo gli storyboard mi accorgo di aver girato le stesse inquadrature che avevo immaginato anche se in maniera inconsapevole. Ne deduco che lo strumento più affidabile che ho a disposizione è il mio gusto, fatto di pensieri stratificati, che nei miei lavori creano unità a più livelli: discorsiva, visiva, narrativa, ritmica.”



Helene Kröller Müller era così ossessionata dalla persona di Van Gogh, che emulò  il suo stile di vita, scegliendo di dormire in un letto molto più piccolo del normale o andando al fronte durante la Grande Guerra a curare i feriti, spinta dallo stesso spirito umanitario che ebbe van Gogh quando fu predicatore laico tra i minatori della regione belga del Borinage.
Entrambi cercarono nella religione una consolazione al senso di fallimento, tu che rapporto hai con la fede?



“Credo nella trascendenza, qualcosa di ineffabile che possiamo solo percepire e che domina l’andamento dell’universo in qualche arcana, lontana maniera. Credo nella validità dei principi di Cristo come esempi di moralità e solidarietà. Credo nel senso del sacro che accomuna culture diverse attraverso la storia e che è stato per tutte un impulso insostituibile per la filosofia, per l’arte, per l’evoluzione del pensiero sotto tanti aspetti. Ma credo anche nella finitezza dell’uomo e che sia nella conoscenza dei propri limiti che risiede la chiave per arrivare al proprio Dio.”


“I mangiatori di patate” rappresentano una sintesi di molti temi cari a  van Gogh: la dignità della vita povera, l’oscurità, l’umiltà, attraverso l’uso dei colori della terra, così come Tolstoij la trascrisse tramite Lèvin, il personaggio legato alla vita rurale in “Anna Karenina”. Quale invece, la tua opera preferita?



“Oltre ai tanti capolavori impossibili da non amare, nel corso delle riprese ho avuto occasione di fermarmi spesso davanti ai “Quattro girasoli appassiti”. Lo trovo un dipinto atipico per Van Gogh sia per il formato che per il trattamento differente di un soggetto così iconico per l’immaginario di Van Gogh. Sono girasoli morenti riprodotti su scala gigantesca, lo sfondo è piatto, astratto, fuso col soggetto, guardarlo da vicino è come sorvolare una città bombardata, è impressionante come ad una tale febbrile stesura corrispondano accostamenti cromatici così precisi, tratti immaginifici e realistici allo stesso tempo. Ma più che il dato visivo mi colpisce quello simbolico, legato al periodo che Vincent sta vivendo in quel momento, a Parigi nel 1887. In quei due anni parigini vive la massima esposizione alla vitalità del mondo, alla mondanità, al fermento artistico: è qui che diviene il pittore geniale che conosciamo e scopre il suo tratto inconfondibile, eppure in questo quadro percepisco chiaramente il lato oscuro della sua esistenza in una città che da una parte lo inebria e dall’altra lo avvilisce: i “Quattro girasoli appassiti” sono un memento mori in cui Van Gogh dimostra il suo autentico interesse per un mondo interiore al quale solo lui poteva accedere.”

 

Bresson comincia spesso le scene dei suoi film inquadrando porte e fibbie di cinture. La tua prima inquadratura è sì il soggetto del film, ma hai scelto di utilizzare una statua rappresentante van Gogh in mezzo alla natura, natura che egli stesso ci rappresenta con sembianze miracolose. Quanta importanza ha la bellezza e il rapporto con la natura nella tua vita?



“Sono una persona totalmente votata all’osservazione e la bellezza ha un ruolo cruciale nella mia vita. Talvolta mi trovo ad utilizzare il mio gusto estetico come una bussola, applicandolo anche in cose apparentemente marginali della vita quotidiana. La natura mi interessa in quanto alter ego ideale dell’essere umano, mi attrae e mi inquieta allo stesso tempo.

La prima inquadratura del film riunisce proprio queste idee, c’è la natura e c’è l’uomo, c’è il divenire del vento e il tempo del movimento di macchina, infine ci sono la cultura e la storia cristallizzate nella statua che ritrae Van Gogh e che lo proietta su un piano intermedio di presenza e assenza, umanità e santità.”

 


Truffaut scriveva che “tutti i registi girano film che gli assomigliano, perché esprimono allo stesso tempo le loro idee sulla vita e la loro idea del cinema”. In che modo questo film parla di te?



“In questo film sento di avere espresso diversi aspetti di me che convivono e a volte confliggono. Da una parte mi piace spiegare e raccontare storie, dall’altra mi piace abbandonarmi al sogno ed esprimere l’inspiegabile.”

 


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Seminatore al tramonto, Vincent van Gogh, 1888, Museo Kröller-Müller di Otterlo




Quando si cammina per ore e ore attraverso questa campagna, davvero non si sente che esiste altro se non quella infinita distesa di terra, le verde muffa del grano e dell’erica, e quel cielo infinito




Conosciamo Vincent van Gogh grazie alle 900 missive spedite al fratello Theo, suo interlocutore privilegiato, dopo un’amicizia con Gauguin finita in tragedia, con il taglio del lobo dell’orecchio e l’inizio della malattia mentale. Un sentimento, quello che lo legava all’amico Gauguin, su cui aveva puntato molto e che condusse il pittore a un punto di non ritorno.
Il suo dolore lo ascoltiamo in queste lettere, lette nel docufilm da Valeria Bruni Tedeschi, un grido di disperazione che torna sulla tela con paesaggi di una natura maligna, dove alle verdi distese dei campi si sostituiscono le ombre della notte.





Quello che voglio esprimere non è una malinconia sentimentale, ma il dolore vero.



Il docufilm “van Gogh tra il grano e il cielo“, è la testimonianza di un amore tra due persone che non si sono mai incontrate: Helene Kroller Muller riuscì a dare a Van Gogh quello che non aveva avuto da vivo: rispetto (lo consideravano un pazzo), amore (rifiutato da sua cugina, aveva avuto una sola relazione con una prostituta), riconoscimento (ha venduto una sola opera in vita). I due personaggi hanno condiviso gli stessi tormenti interiori e la stessa visione di Dio e della fede. Attraverso i suoi quadri, che Helene portava con sé nei suoi lunghi viaggi, Vincent riuscì a darle la serenità mancata, un dono universale per tutti noi. E lui già lo sapeva.

Vincent van Gogh taciterà quella tristezza all’età di 37 anni, con un colpo di pistola alla tempia.


Van Gogh tra il grano e il cielo” sarà in cartellone in 50 paesi dopo l’anteprima italiana, che replica nelle sale i giorni 22 e 23 maggio. Diretto da Giovanni Piscaglia, sceneggiatura di Matteo Moneta, colonna sonora di Remo Anzovino, consulenza scientifica di Marco Goldin, e l’insostituibile voce narrante dell’attrice Valeria Bruni Tedeschi, che ha regalato enfasi, forza e personalità alla narrazione filmica.
Produzione: 3D Produzioni e Nexo Digital.


“L’umanità è ciò che ci tiene tutti legati…”


Intervista a Manuel Bravi: un solo soggetto e tanta ombra per lasciare libera l’immaginazione

Manuel Bravi è un artista a tutto tondo: graphic designer, fotografo e fotoritoccatore Finite le scuole superiori, si trasferisce a Venezia dove studia grafica alla Scuola Internazionale di Grafica di Venezia; un incontro con Lorenzo Vitturi stimola l’interesse per il potenziale manipolatorio e surreale della fotografia. Dopo gli studi, inizia a lavorare a Milano per brand come Armani, Versace e Ferretti, aziende come SGP, INRETE e recentemente per il museo Mudec e Regione Lombardia. 

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Manuel Bravi: graphic designer, fotografo, fotoritoccatore. Cosa preferisci fare?

Mi piacciono tutte e tre, devo essere sincero: ognuna mi consente di gestire una parte distinta di creatività e mi dà la possibilità di rendere vario il lavoro. Questo comporta anche differenti approcci coi clienti. Per esempio, il fotoritocco ha uno scambio maggiore con il fotografo che ti ha ingaggiato: devi capire cosa ha in testa, anche se non ricalca il tuo primo approccio all’immagine, così facendo forzi un nuovo punto di vista e una nuova interpretazione.

Sul tuo profilo Facebook scrivi: “dovrei essere io, ma in realtà sono sempre schiavo di qualcuno”. Ce lo puoi spiegare?

Amaramente divertente, vero? Sono un libero professionista e molti mi ripetevano quanto fossi fortunato a non aver capi diretti. In realtà, ogni mio cliente diventa un capo, perché nei mestieri dove il “gusto personale” diventa elemento di richiesta lavorativa devi spesso cedere, e oggettivamente, molte volte sono richieste fuori da ogni regola grafica.

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Nel tuo percorso, credi che abbia avuto più peso la formazione o l’esperienza?

Entrambe sono importanti. La scuola ti fornisce i cardini su cui caratterizzarti e costruire il tuo punto di vista lavorativo. L’esperienza è fondamentale perché, a differenza della teoria, le regole non esistono; devi far fronte ad ogni tipo di problema e questo ti fa crescere e imparare il mestiere.

Ti sei approcciato prima alla fotografia o al ritocco fotografico?

Sono stato folgorato dalla post produzione fotografica durante un workshop alla Scuola Grafica. Mi piaceva giocare con Photoshop anche prima di frequentare la scuola, poi realizzai le reali applicazioni lavorative nelle pubblicità e mi dedicai maggiormente a quel ramo della grafica.

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C’è uno dei progetti che adori maggiormente? Quale e perché?

L’ultimo realizzato sugli attrezzi da lavoro di mio nonno: ho pensato di tributare il suo talento nel creare oggetti con diversi materiali, attraverso gli attrezzi che ha usato per un’intera vita. Lui ha sempre costruito tutto quello che gli serviva: da oggetti decorativi a quelli per la casa, passando per macchine industriali. E’ un artista della materia. Per questo, ho tentato di realizzare dei ritratti ai suoi attrezzi sperando che potessero prender carattere attraverso le fotografie. Devo ammettere, poi, che sono particolarmente affascinato e soddisfatto quando fotografo persone che sanno esprimersi attraverso il proprio corpo, in particolar modo i ballerini classici o contemporanei.

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Quali sono i fotografi che ti hanno ispirato sinora?

Ho una venerazione maniacale verso il mio concittadino Paolo Roversi: è stato scoprendo le sue foto che ho iniziato a studiare il lightpainting e l’equazione “luce nel buio/movimenti del corpo”. Un’altra grande ispirazione per la mente rimane Storm Thorgerson e il suo mondo parallelo visionario.

Se dovessi scegliere tra Realismo o Surrealismo, come definiresti la tua fotografia?

E’ un flusso mutevole: un tempo ero molto affascinato dal mondo surreale, sperimentavo molto di più col computer ed ero più ingenuo e immaturo; oggi mi dedico più alla realtà e alle persone, anche se ho dei cardini ben precisi che tornano spesso nelle foto: un solo soggetto e tanta ombra per lasciare libera l’immaginazione.

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L’ultimo progetto pubblicato s’ispira ad alcuni costumi da coniglio. Da dove ha origine?

E’ una variazione sul tema Kinky. Premetto che sono sempre stato incuriosito da quelle persone che fanno di uno “stile di vita non comune” il loro personale modo di vivere. Mi incuriosiscono e mi interessa capire il loro mondo, sia questo più o meno bizzarro. Difficilmente ho giudizi in merito e mai censuro gli eccessi. Premesse a parte, durante un evento al quale partecipavo per fare un reportage della serata, mi imbattei in questa donna che indossava una maschera da coniglio e non se la tolse per tutta la serata. Era così affascinante, misteriosa e grottesca che non potei non andare a conoscerla e chiederle di posare per me. Mentre parlavamo, lei portava una maschera e io non riuscivo ad interpretare alcuna espressione facciale. Lei per me è Bunny: una creatura dolcissima e gentile, con molte sfaccettature, che ho voluto ritrarre in un modo più fiabesco rispetto al suo solito stile. Ho mixato il caos e la bellezza dei fiori, con la parte di Bunny più gentile e femminile.

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Hai in cantiere dei nuovi progetti da realizzare?

Ho due progetti video che vorrei realizzare, riguardano la danza: le coreografie sono già state affidate, ora bisogna mischiare gli ingredienti.

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Musica e fotografia. Se dovessi scegliere una canzone come colonna sonora per le tue foto?

Sono molto legato alla musica e direi che ogni progetto o serie fotografica porta con sè una canzone o un preciso mood musicale, ma se dovessi traslare le mie fotografie in musica mi piacerebbe che venissero accostate ad Anathema, Katatonia, Porcupine Tree, Devil Doll.

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La fotografia di Manuel Bravi è una mescolanza di fascino ed eleganza. La sua attenzione è sempre delicatamente focalizzata sul soggetto ritratto, indipendentemente che esso sia una persona o un oggetto. La sua è una fotografia che vuole raccontare storie senza forzare il soggetto,  si rivela semplicemente attraverso di esso e servendosi del litghtpainting, tanto caro a Bravi.

“Il lightpainting è affascinante perché la fisica che regola ombre e luci non esiste, la sorgente luminosa cambia continuamente punto di partenza, distorcendo le forme e la percezione di queste. Inoltre, essendo il movimento proprio dei corpi incontrollabile, il risultato è totalmente imprevedibile: le forme nascoste devono essere cercate nelle ombre con attenzione, e ciò permette di entrare in intimità con l’immagine. Il fascio luminoso ha la doppia intenzione di osservare il soggetto e  illuminare il proprio io ed esperienze”.

http://www.manuelbravi.com/

Moda. L’Italia fa scuola – tutto sulla formazione di Moda in Italia

Si è tenuto in data 8 maggio l’incontro internazionale che il Centro di Firenze per la Moda Italiana organizza sul tema della Formazione di Moda: “Moda. L’Italia fa scuola“.

Un convegno che ha messo il tema della Formazione Moda al centro del dibattito, in cui figure istituzionali si sono confrontate con alunni e addetti al settore. L’obiettivo è quello di creare trasparenza sui problemi e sulle potenzialità che il settore Moda ha nel nostro paese, un settore in crescita del 9% negli ultimi 4 anni.
Il centro di Firenze per la Moda Italiana, dopo due anni di lavoro come coordinatore della Commissione Formazione del Tavolo Moda e Accessorio, ha posto all’attenzione del Governo e dell’opinione pubblica una serie di punti, che sono stati riportati in questa sede:

1. la necessità di costituire un organismo permanente di osservazione, consultazione, indirizzo e proposta operativa sulle tematiche dell’Alta Formazione Moda in Italia

2. stabilire un budget specifico per un programma di promozione dedicato alla Formazione di Moda, destinato alla realizzazione di eventi nazionali ed internazionali, incontri annuali di confronto e di lavoro, progettazione di un sistema di valutazione europeo per l’offerta nel campo moda

3. sviluppare e valorizzare la Formazione di Moda nei molteplici ruoli professionali, al fine di garantire l’effettiva qualità dell’offerta formativa e del corpo docente

4. migliorare un sistema legislativo rigido e complesso, che rende laboriosa l’accettazione e la permanenza nelle Scuole e nelle Università  in Italia di studenti provenienti da paesi extra-europei (permessi di soggiorni etc.), limitando e penalizzando la loro permanenza con conseguenza di reprimere lo sviluppo e la partnership internazionale della nostra industria.

Ma qual è il punto che mette tutti d’accordo? Qual è la forza indiscutibile della nostra Italia?
Senza ombra di dubbio risulta essere l’artigianalità, punto di forza su cui bisogna far leva spingendo i giovani talenti all’approfondimento di certe discipline e mestieri. Artigianalità che unita all’industria crea prodotti di qualità.

Siamo il paese del saper fare e del saper fare bene” dice Carlo Capasa (Presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana) “ed è importante rafforzare le nostre peculiarità“.

Ma quali sono i cambiamenti dell’Industria italiana ad oggi?


La manifattura ha sentito l’influenza del digitale, le tecnologie di produzione non sono più le stesse, alcune aziende trovano difficile abbandonare modelli che in passato hanno sempre portato risultati , si sente una certa nostalgia dei disegnatori (oggi i tessuti vengono prodotti e stampati con tecnologie digitali), tutta l’organizzazione industriale in campo manifatturiero sta cambiando. Oggi le aziende sono sempre più produttori di contenuti, con figure professionali nuove in aumento e sempre meno figure leader (punto debole del nostro repertorio italiano, che ci vede quarti nel campo manageriale, dopo gli inglesi, gli americani e i francesi al terzo posto).”

Andrea Cavicchi, Presidente CFMI
Andrea Cavicchi, Presidente CFMI


Di cosa necessita la Formazione di Moda in Italia?
Lo sintetizza molto chiaramente in pochi punti Andrea Cavicchi, Presidente del CFMI:

Manca un referente nazionale che relazioni e metta a contatto il Ministero dello Sviluppo Economico con quello Statale, le scuole locali fanno ognuno per sé, è bene quindi creare degli eventi che mettano in relazione questi Istituti, promuovere le nostre scuole nel mondo è uno dei punti fondamentali, aumentare i corsi di moda, selezionare docenti di livello, istituire programmi di qualità, rilanciare gli eventi moda su Milano, creare pochi progetti ma buoni, con criterio e giudizio, semplificare l’attività burocratica che rende difficoltosa la permanenza in Italia di studenti extra-europei“.

Il libroWhite Book. Imparare la moda in Italia” (Marsilio, 2017) racchiude tutte queste problematiche e i cambiamenti strutturali in ambito moda. Il libro nasce dal lavoro che la Commissione Formazione coordinata dal Centro di Firenze per la Moda Italiana ha svolto all’interno del Tavolo Moda e Accessorio.

A discutere di questi temi sono intervenuti, oltre ai sopra citati, Sara Kozlowski (Director of Education and Professional Development del CFDA), Martyn Roberts (Managing & Creative Director della Graduate Fashion Week – UK), Maria Luisa Frisa (direttore del corso di laurea in design della moda e arti multimediali dell’Università Iuav di Venezia e curatrice del White Book), Marco Ricchetti (consulente di Blumine srl), Laura Lusuardi (Max Mara) e Giovanni Battista Vacchi (consulente di Ernst Young).

In Inghilterra la regina Elisabetta è in prima fila ad assistere ad una sfilata di moda durante la London Fashion Week, accanto ai maxi occhiali sempre presenti di Anna Wintour, a Parigi i coniugi Macron ricevono tutti i designer a Palazzo dell’Eliseo, selfie e foto di gruppo compresi, insomma passi avanti se ne sono fatti, la moda è stata umanizzata, democraticizzata in qualche modo, ma questo è successo all’estero. Cosa ci riserverà la nostra amata Italia, che ha in Milano il centro della moda, del buon gusto e dello stile? Attendiamo fiduciosi.

la regina Elisabetta per la prima volta ad una sfilata di moda, accanto ad Anna Wintour (foto @Voilà magazine)
la regina Elisabetta per la prima volta ad una sfilata di moda, accanto ad Anna Wintour (foto @Voilà magazine)

Il malinconico mondo del circo nella collezione SS 18 Salvatore Vignola

SALVATORE VIGNOLA COLLEZIONE SS18

Dove vanno i clown a fine spettacolo? Li immagino tornare soli nella loro casetta di cartone, fatta di nulla, malinconici e tristi senza nessuno da divertire, nessuna risata che li faccia sentire vivi.
E i trapezisti? Percorrono la strada verso casa con un piede solo in bilico sul marciapiede?
E i giocolieri, fuori dal circo, mentre fanno la spesa, avranno bisogno del carrello oppure faranno passare gli yogurt in aria, lanciandoli da una mano all’altra?

Com’è la vita di queste figure enigmatiche una volta usciti dal magico tendone? Da quel luogo magico che affascina grandi e piccini, che ci tieni incollati al prossimo show, che traccia in noi ricordi indelebili, personaggi strambi che possono attrarre o turbare, divertire o intristire…

Nella collezione Primavera Estate 2018 di Salvatore Vignola qualcosa ci viene svelato. Un grande occhio puntato sulle figure circensi, attraverso il gusto estetico della moda, un tuffo nelle macro identità frammentate attraverso l’uso dei colori, il verde della terra, il rosa glitter, il cipria e l’azzurro zucchero filato, e attraverso l’uso dei tessuti, le piume, che riportano alla leggerezza apparente, quella che il pubblico percepisce negli spettacoli e i tessuti militari, che raccontano la forza e il rigore di una vita fatta di sacrifici e rinunce.

CAPITELLO, questo il nome della collezione disegnata da Salvatore Vignola, vede la sua nascita nel paese omonimo, affacciato sul golfo di Policastro, in provincia di Salerno.
Qui viene scattata la collezione, nel luogo dal sapore nostalgico e dagli indimenticabili colori.

Qui la collezione SS18:



 

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16 R FIRENZE COLLEZIONE AUTUNNO INVERNO 2018/19 

Diane Arbus, quando decise di conoscere il mondo dei nudisti spinta dalla sua infinita curiosità, si reco’ in uno dei loro luoghi esclusivi, riservati ai soli adepti, regalandoci poi un servizio fotografico che fu la scoperta di un mondo nuovo, raccontato attraverso la sua estrema sensibilità.

Oggi ci è dato sapere come vivono, perché scelgono di girare per casa completamente nudi o prendere un cocktail col vicino, nel loro giardino, con sandali e tette al vento, abbiamo compreso la loro filosofia.
Mondo analogo, ma ancora pervaso da mistero, è quello del circo e dei suoi personaggi. Molto spesso inquietanti, resi cattivi nei film horror, o ingentiliti nei giocattoli per bambini, ma qualunque qualità si provi ad affibbiargli, le figure circensi rimarranno sempre enigmatiche.

Lo sa bene Federico Fellini che in “The clown” ci racconta il suo viaggio infantile sotto il tendone, pellicola cinematografica a cui la designer di 16 R Firenze, Romina Caponi, si ispira.

La collezione autunno inverno 18/19 è un album d’infanzia, i giochi di bambina, le scene oniriche che dai film si mescolano ai ricordi.

E’ il circo con i suoi colori a fare da padrone, nei filati stoppino e mini pull fatti con intrecci di lana rigenerata, sono lavorazioni a mano di proporzioni volutamente enfatizzate, maglioni oversize con maxi righe e mini culotte a trecce in alpaca lurex.

Protagoniste le lunghe sciarpe rigate con e senza tasche che si trasformano in abito, e le culotte a trecce o a jacquard pois in tutti i filati e colori della collezione, dove ritornano i rossi, l’orange, il bianco e il nero.

Guarda qui la collezione autunno-inverno 2018/19 di 16R Firenze:



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