Ogni nascita corrisponde ad una data e il femminismo si accosta al ’68.
E’ la rivoluzione delle donne iniziata dalle donne e che ancora oggi ne porta lo strascico, un poco zoppicando, ma sempre un passo avanti.
Era l’anno dell’illuminazione, l’anno in cui la donna inizia a domandarsi la sua posizione all’interno del matrimonio, nella società, al lavoro, nel sesso. Ed è forse su quest’ultimo argomento che si sono più battute, tutte, madri, mogli, figlie, ragazze che lavoravano nei campi, borghesi e proletarie, ottenendo quella che oggi è forse la conquista più umana; il suo slogan era “L’utero è mio e lo gestisco io“. Il movimento urlato nelle piazze era l’autodeterminazione sul proprio corpo, avere finalmente la possibilità di scegliere se essere madre oppure no; scegliere, era questa la vera conquista. La libertà.
Dedica agli anni della rinascita la collezione Autunno Inverno 2018 il brand Salar, con una quantità di prodotti unici, per tutte le donne che sentono l’importanza di quel cambiamento e sono felici di viverlo, portarlo avanti.
Salar Bicheranloo e Francesca Monaco, i fondatori, chiamano REVOLUTION la collezione dove vediamo mixati linguaggi e parole, nuovi tessuti e sperimentazioni materiche.
Le forme sono inedite, le linee definite, sono modelli destinati a diventare iconici perché di personalità forte; REVOLUTION compare come un promemoria sulle borse in pelle, le chiusure diventano cinture vere e proprie, alte e spesse come quelle indossate dalle donne nei primi ’70, assieme al pantalone a zampa.
E’ l’anno dell’autodeterminazione e dell’affermazione di se stesse, il ’68 si respira in tutta la collezione F/W 18/19, alcuni pezzi sono dotati di cintura, per lasciare più movimento, lo stile è glam-rock, il modello “Mirror” ha dei veri e propri specchietti applicati, i manici diventano bracciali, le dimensioni si riducono anche per le minimaliste, per chi non ha bisogno di nient’altro che della propria libertà.
Sfoglia tutta la collezione Salar Autunno Inverno 2018/19:
Se avete bisogno di una maschera leggera, non troppo aggressiva e che non secca la pelle, Imperial Tea Miracle Face Mask è quella adatta a voi.
La sua formula è delicatissima e ha come base l’utilizzo del tè bianco.
Tea Infusion TechnologyTM è una tecnologia brevettata che prevede l’infusione a caldo delle foglie di tè grazie alla quale si mantengono inalterate le proprietà antiossidanti dei polifenoli radicali liberi; come risultato il cosmetico risultata molto efficace perché ricco di sostanze attive.
Tra gli ingredienti, in questa maschera si utilizza la Camelia Sinensis, una pianta sempreverde che cresce ad alte altitudini in ambienti caldi e umidi, ha effetto purificante e proprietà antiossidanti; l’acido ialuronico, che nutre la pelle in profondità e stimola il rinnovamento cellulare cutaneo; l’olio di jojoba che rivitalizza e lenisce la pelle irritata.
Teaology è l’unica linea skincare che utilizza questo genere di prodotto, l’infuso del tè e per le sue preziose virtù rende efficace il trattamento al 100%, inoltre i suoi prodotti sono ricchi di vitamine, estratti e olii essenziali.
Imperial Tea Miracle Face Mask è formulata con l’infusione di foglie di tè bianco per rendere ancora più efficace l’azione antiossidante dei polifenoli. Le foglie vengono immerse in un mix purificante di caolino e acido ialuronico idratante e ridensificante. Inoltre gli estratti di primula e margherita esalta l’incarnato ed hanno un effetto schiarente, eliminano i segni del tempo rendendo la pelle luminosa e subito più giovane.
Bastano solo 10 minuti per l’applicazione, su viso e collo asciutti e ben puliti, evitando sempre il contorno occhi. Si risciacqua e si ripete per due volte a settimana.
La cura della pelle passa anche attraverso la routine, non dimentichiamocelo; prendere l’abitudine di fare impacchi e maschere, abitua la pelle ad assorbire meglio i prodotti, perché li riconosce.
A rendere speciale un look, si sa, è sempre la scarpa! Per questo motivo gli uomini, che dalla loro hanno un guardaroba meno provvisto di accessori a differenza di noi donne, fanno molta attenzione al dettaglio. E la scarpa è certamente il primo acquisto importante nella loro carriera di esperti di stile.
Una bella scarpa fa la differenza! Un sandalo gioiello può rendere elegante anche un outfit dove compare un jeans e una t-shirt di cotone. Ma quanti ad oggi avevano pensato di impreziosire una sneakers? Ebbene, il brand Stokton, da’ sfoggio di creatività su una scarpa che è per definizione comoda e per tutti i giorni.
E così che la collezione Primavera Estate 2018 di Stokton si rivolge a tutte le donne, si intende che accontenta ogni gusto, perché dall’Oriente alle più attuali mode, la sneakers Stokton di questa stagione sono in infinite ed in varianti mai viste prima.
Dai preziosi tessuti di raso, e di raso anche i lacci, la scarpa Stokton ricorda le raffinate tappezzerie cinesi, quelle che oggi ritroviamo anche sulle mura di casa, tornate in voga, per i gusti più raffinati e per coloro che da sempre rimangono affascinati dal mistero del paese del Sol Levante.
In pelle da risultare comode, le scarpe Stokton restano basiche nella forma ma si impreziosiscono di dettagli: maxi perle, glitter, laminati come i grattacieli specchiati, in jeans per le più giovani e con stampe fiorate per le romantiche.
Inoltre Stokton, che conosce i capricci muliebri, ci da’ la possibilità di inserire e togliere gli eccentrici dettagli: così le rose di stoffa possono comparire, alternandosi nei colori, in nero o rosa antico, o scomparire a nostro piacimento. Le maxi rose fatte in denim, possono abbinarsi all’effetto used della sneakers o lasciare liberi i lacci, in intrecci fantasiosi che avvolgono la caviglia.
Stokton ha pensato di fare innamorare tutte le donne, lo dice anche Kenneth Cole:
“Le donne si innamorano sette volte in un anno, sei di queste sono per le scarpe.”
Sfoglia tutti i pezzi della collezione Stokton Spring Summer 2018:
(Credits per le due foto campagna Stokton compresa copertina – Photo/Styling Miriam De Nicolo’, Model Shelly Chinaglia, Make up/Hair Antonia Deffenu, Assistants Clara Fayer, Michele Tumbarello)
Max&douglas sono noti nel mondo della fotografia per i loro ritratti alle celebreties, dai cantanti agli sportivi. Nonostante la giovane età, le loro immagini sono già state esposte presso la Triennale di Milano. Il loro lavoro si contraddistingue per la voglia di sperimentare e, al tempo stesso, cogliere l’unicità che è contenuta in ogni singola persona.
Il vostro punto forte è senza ombra di dubbio la ritrattistica. Cosa significa per voi ritrarre una persona?
Significa “semplicemente” riuscire a mostrare l’idea che ci siamo fatti del soggetto. Non necessariamente coincide con l’idea che il soggetto ha di se stesso. Le persone ci attraggono, così come le loro caratteristiche: consideriamo le particolarità di ognuno come un punto di forza, come un valore che ne determina l’unicità.
Come riuscite a conciliare il lavoro in due?
Dopo 20 anni di lavoro insieme viene naturale alternarci in fase di scatto e successivamente saper riconoscere, in fase di editing, le immagini migliori. Riteniamo da sempre che il confronto è crescita e la discussione sia alla base di ogni progetto artistico.
Quando e come nasce la vostra collaborazione?
Siamo nati, come coppia artistica, realizzando fotografie in luce pennellata in grande formato (20×25). L’aiuto che potevamo darci vicendevolmente era fondamentale, non solo dal punto di vista tecnico. Con l’avvento del digitale e la relativa semplificazione del processo produttivo, la solidità della nostra collaborazione non ha sentito la necessità di una separazione.
C’è un aneddoto riguardante la vostra attività?
In così tanti anni gli aneddoti sono tantissimi, soprattutto per il fatto di aver lavorato molto con celebrities; diciamo che quello che ricordiamo con più affetto è stato lavorare con Ben Harper che, nonostante sia un mito di fama mondiale si è concesso totalmente alle nostre esigenze, senza paletti di tempo e senza la presenza dei personaggi che normalmente accompagnano le star. Una domenica pomeriggio, insieme, come fossimo vecchi amici.
I vostri inizi vi vedono impegnati con la fotografia di moda. Cosa vi ha indotto a impegnarvi in altri generi fotografici?
Non è del tutto vero. Diciamo che i nostri primi lavori pubblicitari, seppur di marchi di moda come Belfe o Romeo Gigli, sempre sono stati orientati verso una fotografia ritrattistica. Non siamo mai stati fotografi di moda, anche perché non abbiamo quella sensibilità fondamentale per poter lavorare in quel campo. Per non parlare del fatto che nella moda, salvo pochissimi nomi, i fotografi sono “di moda”: passano troppo velocemente. Abbiamo sempre puntato verso la costruzione di qualcosa di più duraturo.
In cosa vi sentite cresciuti artisticamente?
Sicuramente nel saper rispondere alle opportunità ritrattistiche nel minor tempo possibile. La lunga esperienza ultimamente ci sta portando a realizzare sempre meno scatti e in sempre meno tempo. Crediamo che questo possa essere un valore: esattamente come potrebbe essere un valore medico quello di un dottore che riesce a fare una diagnosi con una semplice occhiata.
Ci sono dei generi fotografici che preferireste non affrontare?
Sicuramente l’idea di chiuderci in uno studio per giorni interi nella speranza di riuscire a realizzare un bello still life ci terrorizza.
Potete anticiparci qualcosa dei nuovi progetti?
Al momento stiamo lavorando su molte cose, prima tra tutte la voglia di trasmettere la nostra visione. Non siamo per i “segreti” e non ci crediamo. Non abbiamo mai nascosto i nostri backstage o minacciato assistenti che volessero semplicemente curiosare. I nostri set sono sempre stati aperti.
Quanto conta la post-produzione nella vostra attività?
Molto. A inizio carriera (lavorando con Polaroid 20×25) nulla. O, meglio, praticamente non esisteva ancora. Con il passaggio al digitale la presenza di una post invasiva è stato il nostro marchio di fabbrica e lo è stato per molti anni. Ultimamente è andata via via scemando, concentrandoci molto di più sull’uso delle luci ma rimane sempre presente e fondamentale, seppur molto meno percepibile.
Quali sono i fotografi che più ispirano la vostra fotografia?
Tantissimi. Tutti nomi importanti: Irving Penn, Richard Avedon, Mark Seliger, Anton Corbijn e naturalmente Annie Leibovitz. Siamo però molto affascinati e sicuramente influenzati dal lavoro di Erwin Olaf: un mito.
La fotografia di max&douglas è il frutto di una ricerca senza fronzoli, una fotografia che non si avvale di segreti e che, tuttavia, cura fortemente i dettagli. E’ una fotografia silenziosa che ci invita a guardare, ammirare i soggetti ed emozionarci.
Venice Secrets: Crime and Justice Anteprima Mondiale sul crimine, la giustizia e la pena di morte
Oggi le chiameremmo “erboriste” o “crocerossine”, quelle che un tempo si riunivano nei boschi a cogliere erbe medicinali e che distribuivano in unguenti ai malati, tacciate di stregoneria, arse al rogo e umiliate.
Le torture che le “streghe”, quelle povere donne, a volte bellissime, altre piuttosto intelligenti, subirono, sono tra le più truci che un essere umano possa immaginare: impalate vive e lasciate agonizzare in mezzo alle piazze, marchiate a fuoco, seviziate con l’uso di topi vivi cuciti negli organi genitali.
L’Inquisizione fece numerosi morti, tra cui personaggi illustri come Giordano Bruno, filosofo processato per eresia e condannato al rogo il 17 febbraio 1600, il Conte di Carmagnola, e condanno’ i famosi adulteri Veronica Franco e Giacomo Casanova.
Venezia, a Palazzo Zaguri, dimora storica che ospitò Casanova, dedica una mostra in anteprima mondiale, al crimine, alla giustizia e alla pena di morte: “Venice Secrets: Crime and Justice“, un percorso espositivo che fa luce sui metodi di tortura utilizzati durante il buio periodo della Repubblica Serenissima. Atti giudiziari originali mostrati per la prima volta al pubblico, reperti, autentici strumenti di morte, raccontano in che modo venisse applicata la giustizia in un periodo ancora barbaro e primitivo.
Il periodo storico va dal XIII al XVIII secolo, quando la berlina (detta anche gogna) veniva utilizzata per tagliare teste ad adulteri e bestemmiatori e la “Strappata” veniva impiegata nella “Sala del tormento” a Venezia, una sofferenza prolungata per tre giorni in cui il condannato veniva legato con le mani dietro la schiena, poi tirato su con delle corde, nella prima seduta si faceva precipitare il corpo a terra ad altezza uomo e con i secondi la caduta si interrompeva a due braccia da terra, con risultato la torsione e la slogatura delle spalle. Per aumentare gli effetti si aggiungevano pesi o si bruciavano le piante dei piedi.
Venice Secrets è una mostra unica nel suo genere e soprattutto solo per stomaci forti, perché oltre alle macchine di morte, rivivono nelle stanze del palazzo cadaveri plastinati e numerosi organi umani veri, testimonianze dei condannati che venivano usati quotidianamente per gli studi di anatomia tra Padova e Venezia.
Migliaia di persone mutilate, marchiate a fuoco, processate per sodomia, bruciate vive, annegate e uccise sul patibolo, rivivranno in queste stanze con il solo scopo di far conoscere la loro storia al visitatore, a ricordo di quanto la crudeltà umana non abbia limiti, né la creatività nel procurare sofferenze altrui.
Una creazione cruenta fu la “fallbret”, una sorta di ghigliottina ante litteram con l’impiego di una mazza per lo schiacciamento meccanico della lama da decapitazione utilizzata fino al 1500, oppure lo strumento per la tortura del fuoco utilizzata fino al 1700 che consisteva nel legare il condannato su una sedia posizionando delle braci sotto i suoi piedi cosparsi di grasso con solo una tavoletta a proteggerli dai carboni accesi. Ad ogni domanda a cui non rispondeva si toglieva la tavoletta. Il torturato era lasciato a digiuno per dieci ore prima della tortura, questo per aumentarne gli effetti sul fisico debilitato.
Ma nella folla di assassini, ladri e bestemmiatori, vi erano anche i malcapitati e trovarsi in campo inquisitorio era cosa assai facile, come avvenne per Veronica Franco nel 1580. E quando a metterci all’erta ci sono i proverbi che recitano: “cerca il tuo nemico tra i tuoi amici“, non sono da prenderli sotto gamba, perché alla povera Veronica, la denuncia arrivo’ proprio dalle sue mura domestiche. Per l’esattezza fu il precettore di uno dei figli ad accusarla di praticare arti magiche e sortilegi, oltre ad altri capi di imputazione tra cui c’era il gioco d’ azzardo, il mangiare grasso nei giorni consacrati al digiuno, la non osservanza dei sacramenti e…signore e signori: il patto con il diavolo!
Il visitatore viene accompagnato attraverso sequenze sceniche soffuse e raccolte, tra i versi della Divina Commedia e atmosfere inquietanti. Fedele l’allestimento composto da sedute vuote della stanza adibita alla magistratura del Consiglio dei Dieci, la ricostruzione della cella del Casanova e delle carceri di Narni.
Il percorso espositivo non ha una fine, ma bensì vuole creare un’inizio: l’innesco di domande, la discussione dell’esperienza vissuta, il generare contenuti, l’esame di coscienza.
www.venicesecrets.net
Venice Secrets Crime & Justice
Palazzo Zaguri
Campo San Maurizio, Venezia
mostra visitabile fino al 30 settembre 2018
Grande interprete della sofisticata e ricca borghesia di fine Ottocento, Vittorio Matteo Corcos è stato un pittore livornese noto soprattutto per i suoi ritratti.
E’ la vita mondana a cui si interessa, e alle donne in particolar modo, alla loro gestualità, agli abiti che indossano e alla maniera elegante in cui li vestono. Sono regine, dame della nobiltà, clientela assolutamente esclusiva e piuttosto esigente, in un periodo in cui lo status era un biglietto da visita e autocelebrarlo era un modo come un altro per farsi pubblicità. Tutto era reale, nulla a che vedere con le vite fasulle che si sfoggiano oggi sui social, tra abiti da sogno mai indossati e voli intercontinentali, quando si è raffreddati e sdraiati sul divano di casa.
L’opera di Vittorio Matteo Corcos mette in mostra vizi e virtù, lo fa attraverso lo sguardo di queste donne, dalle giovinette in vezzose vesti di seta, alle più mature peccatrici in abito da sera. E’ un gioco tra l’innocenza ed il peccato, un’atmosfera che si respira anche guardando la collezione Aniye by che sfila a Milano, nella splendida location di Carlo e Camilla in segheria, anticipando anche una mini collection bridal.
Una collezione femminile e zuccherosa, come i colori degli abiti in voile dall’azzurro myosotis al carta da zucchero.
Le sete lasciano libero il movimento e regalano fluidità e leggerezza, i pizzi giocano con il “vedo/non vedo”, le paillettes catturano la luce, il lurex e le perline regalano luminosità all’abito.
Moderna e per una donna anticovenzionale la mini collection bridal, lancio ufficiale del brand Aniye by, emblematico esempio dell’aspetto pratico e fugace che ha preso l’evento matrimonio, un poco sospeso tra il sogno dorato e l’imminente arrivo del tragico lunedì.
Le magnifiche sculture sartoriali di Robert Abi Nader hanno incantato la passerella di Altaroma E/2018
La “Donna”ha sempre avuto un ruolo di fondamentale importanza nella sua vita, ed è proprio a lei che si è sempre ispirato, dedicandole parte della sua esistenza anche nell’ultima collezione presentata tra le mura barocche della prestigiosa Biblioteca Casanatense di Roma, in occasione di Altaroma E/2018.
Robert Abi Nader designer libanese dalle spiccate doti sartoriali, ha scelto questo meraviglioso Salone monumentale con ospiti selezionatissimi, per presentare la sua “Mimo Collection” F/W 2018-19, affinché la magia delle sue sculture sartoriali si sposasse con l’eternità della Roma barocca.
La Biblioteca Casanatense conserva al suo interno preziosi manoscritti, volumi, opuscoli e affascinanti strumenti scientifici.
La passerella di Robert Abi Nader inserita nel programma di Altaroma E/18, è stata tra le più ammirate e attese.
Da anni presente nel calendario parigino dell’Haute Couture, il designer libanese ha fatto parlare di sé subito dopo il diploma conferitogli alla Chambre Syndicale de la Couture Parisienne, entrando nel mondo della moda nel 1988.
Notato ben presto da Yves Saint Laurent scegliendolo fra i più abili designers, frequentò la maison per un lungo periodo di stage, ma ben presto fu notato anche da altre prestigiose case di moda come Claude Montana e Christian Dior.
“Mimo Collection” è una collezione di quarantaquattro sculture sartoriali dedicata a una donna audace, dal fascino eterno ed etereo, che avvolge la sua perfetta silhouette femminile con eleganti trasparenze e tessuti preziosi.
Lo studio dei colori, le innovative applicazioni preziose e le molteplici tonalità, danno vita a una collezione in cui predomina l’armonia, il fascino e la sorpresa: la brillantezza dei colori che vanno dal rosa acceso al bianco puro, dall’avorio all’acqua blue, i colori primari come il rosso, e ancora il nero e i bagliori dell’oro, vestono di nuova luce dress lunghi, corti e jumpsuits su organza e tulle di seta.
Spazio anche all’innovazione grazie alle applicazioni in microfibra di legno pregiato e pelle intagliata mediante tecnologia laser, e applicazioni di resina plastica.
Una sfilata intensa e da sogno quella di Robert Abi Nader, che ha incantato il finale (e gli ospiti) con un abito da sposa che rappresenta la sintesi creativa e lo studio del grande designer compiuto negli anni.
La magica combinazione di tre colori e tre diversi tessuti (rosa, bianco e skin color), la lavorazione preziosa con pietre di cristallo e seta intrecciate, lo splendido velo ricamato a mano e uno strascico lungo otto metri di tre strati, danno vita a un mondo incantato e principesco, un magico sogno diventato realtà.
Innovazione e alta moda; per la prima volta la tecnologia sfila sulle passerelle di Altaroma con il brand Au197Sm
Quando l’innovazione si sposa con la couture, la tecnologia applicata a essa subisce una trasformazione inaspettata nascendo a nuova vita.
Questo è reso possibile grazie al brand Au197Sm, che ha appena debuttato con la straordinaria collezione “Couture Collides Nano Technology”, sulle passerelle di Altaroma E/2018.
Il brand guidato da Paola Emilia Monachesi (Direttore Creativo della maison), e da Stefano Maccagnani (CEO di Au197Sm), ha introdotto per la prima volta tra le passerelle di Altaroma una couture la cui fusione dei metalli preziosi e l’utilizzo della saldatura a ultrasuoni, rappresenta una vera rivoluzione tecnologica che ribalta i canoni classici dell’alta moda, pur conservando un’eccellente manualità sartoriale.
La Nano-Tech si sviluppa attraverso un processo (coperto da brevetto internazionale), i cui passaggi includono: alto tasso d’ingegnerizzazione e fasi assolutamente artigianali, fusione dell’oro 24 carati e altri metalli preziosi assieme al tessuto.
Questa tecnologia dà il via ad altre importanti innovazioni (inizialmente riservate solo ai materiali tecnici, poiché possedevano una minima percentuale di fibra sintetica), la cui esclusiva è riservata solo al brand, e che permette di utilizzare la saldatura a ultrasuoni su capi come: cadì, seta, jersey.
La fusione del metallo altera la composizione delle fibre, rendendole adatte alla saldatura a ultrasuoni.
La creatività di Au197Sm è il perno principale di una collezione che per molti versi, rappresenta la moda del futuro, la tecnologia insieme alla ricerca e all’artigianato si fonde per dare nuova vita a una collezione da indossare da mattino a sera.
Le Nano Tecnologie manipolano la materia a livello atomico e molecolare (nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente), per poi miniaturizzare i reticoli e concentrarli in maniera tale da poter essere utilizzati in qualsiasi condizione climatica.
Dall’utilizzo della Nano Tecnologia e delle saldature a ultrasuoni, si realizzano magnifiche lavorazioni in maglia di metallo in stile “contemporary-tech” che si sposano con applicazioni in sequin e bubble scuba, dando nuova vita ai tessuti più naturali come chiffon, cotone e organza.
Senza dimenticare look di alta ingegneria sartoriale come l’Army Coat, il cui taglio lineare realizzato in tecnico di rete, si accoppia con rouges a ultrasuoni.
Spazio alla creatività e alla tecnologia anche per gli accessori con le applicazioni da indossare sopra le sneakers che creano il nuovo codice del luxury-street.
Le applicazioni (da indossare come gioielli preziosi), sono realizzate in pelle ricamata di transparent sequins e filo di nylon e plexyglass e impreziosite con oro e metalli preziosi.
Un accessorio intercambiale da indossare ai piedi secondo lo stato d’animo o l’outfit, un dettaglio di stile che rende chi lo indossa, unico ed esclusivo.
Diversi sono i vip che hanno partecipato alla sfilata, e che hanno seguito con molto interesse ogni singolo outfit.
“Tecnologia, ricerca e tradizione sono i punti fermi della nostra filosofia che ha rivoluzionato il
concetto di artigianato e di fatto a mano applicato alla moda, con un’accezione che comprende
l’utilizzo di macchinari di ultima generazione da parte di mani esperte” – ha commentato Paola Emilia Monachesi.
“Cerco un’innovazione a misura d’Uomo” – continua– Stefano Maccagnani – “E
sono felice di portare la tecnologia più d’avanguardia nel simbolo del classicismo per eccellenza. Roma è la mia Città, seppur di adozione, e proprio lì ha sede, oltre che la logistica, il laboratorio produttivo dove sono presenti le tecnologie d’avanguardia che ci caratterizzano.”
L’evoluzione di queste collezioni ha già riscosso un successo inaspettato, soprattutto tra i giovani, che in un futuro non molto lontano potrà acquistare gli splendidi capi del brand in punti vendita monomarca.
La moda è in continua evoluzione, la sua grandiosità non si ferma mai, la Nano Tecnologia ha conquistato la couture!
Il 13 luglio la nota band italiana ha concluso in maniera emozionante il tour allo stadio di Via del Mare a Lecce, esattamente a casa.
I Negramaro hanno infatti infiammato il cuore di ben 30000 persone: i primi gruppi di fan si sono appostati entusiasti già durante la mattina nell’attesa dell’apertura dei cancelli, avvenuta all’incirca alle ore 17. Alle ore 21 e 30, la serata è iniziata nei migliori dei modi con “Fino all’imbrunire”, primo singolo estratto dall’album “Amore che torni”.
“Ciao Casa! Canta!”: queste sono state le primissime parole che Giuliano Sangiorgi ha rivolto ai suoi fan e alla propria terra. Il brano “Sei tu la mia città” è divenuto, così, un vero e proprio inno d’amore verso il Salento. “Vorrei che questa notte non finisse mai. Sei tu la mia città, Lecce, la nostra città.”
Ed è proprio d’amore di cui parla il loro ultimo album, quello stesso amore che è risultato il protagonista assoluto dell’intera serata. Un amore vero, colmo di vita, ma anche di effetti speciali. Prosegue così il sogno di una band che ha attraversato un momento di crisi e che non si è arresa, che è tornata a sognare più forte di prima e che sicuramente farà sognare tanto altro.
Soocha stupisce ancora una volta, e sulle passerelle di Altaroma sfila la filosofia del movimento #MeToo.
La passerella di Soocha presentata ad Altaroma E/2018 affronta un tema molto attuale, l’uguaglianza e l’affermazione della donna spesso costretta ai ricatti psicologici e sessuali soprattutto in ambito lavorativo.
L’ispirazione di SooJung Cha (creatrice e designer del brand Soocha), si allaccia alla vicenda di Harvey Weinstein, accusato di svariate violenze sessuali nel 2017 e conclusa con il suo arresto.
#MeToo non è solo un hashtag, ma rappresenta il simbolo di un movimento diventato virale in tutto il mondo in brevissimo tempo.
Affiancato dal pensiero (attuale come non mai anche oggi) della grande Simone De Beavoir, Soocha ha sviluppato una collezione che va oltre, perché #MeToo prende forma solo se è messo al centro di tutto, al diritto della donna a una pari dignità e uguaglianza nel mondo, rompendo ogni convenzione sociale posta come una gabbia.
SECOND SEX è la collezione che ha stupito le passerelle di Altaroma per la sua irriverenza e forza.
Le stampe sono state grandi protagoniste, poiché rivestono un messaggio di grande importanza, come il magico “#” o la parola DONNA espressa in alfabeto cinese, simboli fortemente voluti e legati anche all’estremo oriente, per ricordare che quella parte di mondo rappresenta un luogo in cui l’uguaglianza è più difficile da conquistare.
Anche i fiori rappresentano un simbolo importante, che rimandano a un giardino di Milano dedicato a una grande donna, Lea Garofalo, uccisa perché ribellatasi alle imposizioni e alle regole del contesto mafioso in cui viveva.
La camicia bianca è un punto cardinale della collezione, capo iconico dell’abbigliamento maschile, indossato dalla donna, si traduce in abbattimento degli stereotipi e riaffermazione dei diritti che, non hanno genere, ma sono universali.
Una collezione in cui gli elementi maschili si fondono con quelli femminili, così come i tessuti e la ricca palette di colori (cotone e lino, jacquard e fantasie floreali), dando vita a un nuovo genere, un design sperimentale e stupefacente.
SooJung Cha ancora una volta stupisce con le sue splendide storie, creando collezioni che non annoiano mai ma al contrario riscrivendo i canoni di una moda nuova, che si traduce in outfit dal carattere forte e dalle linee pulite e colorate.