Solennità regale e libertà metropolitana, il mix esplosivo di Cristiano Burani SS19

MILANO FASHION WEEK – COLLEZIONE CRISTIANO BURANI SPRING SUMMER 2019 


Indossava un abito lungo ed un velo bianco, candido come quello di una sposa, Maria Stuarda quando si presentò al patibolo. Quando le due dame l’aiutarono a spogliarsi, scoprì un sottoabito rosso cremisi, il colore della passione, scelto appositamente per morire, davanti ai protestanti, da regina cattolica.

Alla solennità di questa regina ho pensato quando ho visto sfilare l’abito di Cristiano Burani, della collezione Primavera Estate 2019.



Decantata per bellezza e portamento, il ricordo di Mary Stuart, regina di Scozia, regina consorte di Francia e regina d’Inghilterra, aleggia in passerella, l’andamento regale, il pallore della pelle, la durezza dei volti, la conformazione fisica di una regina che svettava il metro e ottanta di altezza.

Cristiano Brani porta in passerella una collezione “da ritratto”, dove i dettagli seicenteschi, come le gorgiere, vengono rese attuali e moderni, romantici e street.

Una reinterpretazione che mescola l’austerità del passato, le sue rigide leggi e morali, alla libertà dello street style contemporaneo.

I tessuti nobili come il tulle plumetis, il taffetas, il raso di seta, lo chiffon effetto fruisse’, vengono mixati a capi in denim trattato, a cappotti over con cappuccio arricchiti da macro zip in plastica.

Le camicie hanno maniche importanti e colli plissettati, ricordano i pregiati tessuti dei ritratti reali di famiglia. Sono le cornici del volti, dal make up neutro, quasi assente, dal capello raccolto che scopre i tratti, o lasciato cadere morbido sulle spalle, con onde naturali.



I volumi si allargano sulle spalle, grandi da portare il peso di un intero impero, le gambe sono in evidenza ma velate da bianchi collant, i ricami degli alti colletti crochet in poliuretano hanno un sapore retrò.

Total look nei colori tenui del lilla e nude dall’effetto tie-dye, su taffettà di seta o su lunghe t-shirt/abito in raso di seta, drappeggiate e chiuse da nodi asimmetrici.



Sfoglia la collezione Cristiano Burani Primavera Estate 2019:



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La Pittura di Carlo Carrà in mostra a Milano

La stagione delle grandi mostre d’autunno a Milano vede, di nuovo, come protagonisti, i grandi del Novecento: Picasso a Palazzo Reale, Modigliani e Klee al MUDEC, Magritte alla Fabbrica del Vapore e altri ancora.

Sempre nella cornice dello spazio espositivo di Piazza Duomo, un’altra mostra degna di nota è quella dedicata a Carlo Carrà, uno dei più grandi pittori del XX secolo italiano. Organizzata da Comune di Milano in collaborazione con Civita e curata dall’equipe Maria Cristina Bandera – Luca Carrà (nipote dell’artista, n.d.r.), la mostra presenta circa 130 opere, provenienti dalle più prestigiose collezioni pubbliche e private del Mondo, dalla Pinacoteca di Brera alla GAM di Torino e al Museo Pushkin di Mosca, insieme, elemento peculiare dell’esposizione, a libri, riproduzioni di fotografie che ritraggono Carrà con la moglie Ines e con amici artisti, e cimeli, come i pennelli originali usati dal pittore. Dal 4 ottobre 2018 al 3 febbraio 2019 è possibile percorrere, nelle sale di Palazzo Reale, un percorso all’interno della produzione pittorica e delle vita di uno dei massimi artisti del nostro Novecento.

La mostra, infatti, si articola come un percorso biografico, che parte dalle origini piemontesi del pittore, nato a Quargnento, vicino Alessandria, nel 1881 e dai suoi esordi pittorici divisionisti, realizzati durante i suoi primi anni a Milano e a Monza, dove iniziò la carriera come decoratore. Allora la sua Pittura era totalmente influenzata da Previati, dai Grubicy de Dragon e da Faruffini, ed è per questo motivo, proprio partendo dalle sue origini, che lo si può considerare come un vero erede della tradizione ottocentesca lombarda e piemontese, con uno stile che mescolava pennellate rapidissime, quasi spighe di grano impresse sulla tela, a una luce intensa e profonda, pari a quella delle Maternità di Previati. A questo substrato, Carrà aggiunse, durante i viaggi giovanili a Londra e a Parigi, suggestioni dalla Pittura tardoromantica e simbolista francese, ma anche dal vedutismo inglese di Constable e Turner.

Carlo Carrà, La Carrozzella, 1915, Rovereto, MART
Carlo Carrà, La Carrozzella, 1915, Rovereto, MART


La seconda fase della sua vita fu quella che lo consacrò alla Storia dell’Arte. Dopo un accenno liberty sulle tracce di Sartorio, come prova la meravigliosa Allegoria del Lavoro in mostra, Carrà scoprì il fascino del dinamismo e della voglia di rompere con lo schema accademico che, fino ad allora, aveva contraddistinto il suo stile. Sempre nella capitale artistica italiana dei primi del ‘900, Milano, Carrà mosse i primi passi verso il Futurismo. In città, nel 1908, conobbe Marinetti, Severini, Balla e Boccioni, che iniziò a frequentare e con i quali, in una notte successiva a una delle tempestose serate che li caratterizzava, scrisse di getto il Manifesto della Pittura Futurista, risalente all’aprile del 1910. Di questa fase, in mostra, sono prove i disegni, autentici schizzi di figure in rapido movimento e parole in libertà (notare il motto Zang Tumb Tumb tanto caro a Marinetti e a Palazzeschi!), ma anche quadri, come quello raffigurante un simbolo di dinamismo moderno e non “passatista”, come scrisse lo stesso Carrà nel Manifesto: un tram, antenato dei mitici 1928 che vediamo ancora oggi per le strade di Milano, che sferraglia producendo scintille e bagliori di luce che scompongono i piani su cui il mezzo si muove. In questo periodo, Carrà iniziò anche a interessarsi di Politica, facendosi affascinare, anche grazie alla relazione sessuale con una donna anarchica, dalle teorie di Bakunin. Uno dei suoi capolavori futuristi, non a caso, è la tela raffigurante I funerali dell’anarchico Galli, in cui movimento, ribellione e rabbia sociale sono tutt’uno. Durante i suoi sei anni di militanza futurista, Carrà, però, passò dall’anarchismo al nazionalismo interventista. Prima della Guerra, l’artista si cimentò anche con il collage, avvicinandosi agli esiti cubisti di Braque, pur mantenendo la struttura futurista, dal dinamismo impetuoso e magmatico.

Carlo Carrà, Composizione 1915, Mosca, Museo Pushkin
Carlo Carrà, Composizione 1915, Mosca, Museo Pushkin


Carlo Carrà, La Musa Metafisica, 1917, Milano, Pinacoteca di Brera
Carlo Carrà, La Musa Metafisica, 1917, Milano, Pinacoteca di Brera

Dopo la Grande Guerra, Carrà rimase folgorato dalla Metafisica di Giorgio De Chirico. Già durante gli anni del ’15-’18, il pittore, ricoverato a Ferrara, abbandonò l’attività politica interventista per dedicarsi nuovamente all’Arte. Nel 1917 conobbe De Chirico e Filippo De Pisis, dando vita alla cosiddetta Pittura Metafisica. Di questa fase, in mostra, spiccano Madre e figlio (1917) e La Musa metafisica, dello stesso anno. Se, nella prima, lo stile è ancora quello di De Chirico, tra arcaizzante e primitivo, con la seconda Carrà elabora uno stile tutto suo, reduce dell’esperienza futurista e memore del suo interventismo (come prova la mappa dell’Istria e della Venezia Giulia), ma anche già proiettata verso quell’alone di magia tipica di Morandi e di sospensione tra Mondi paralleli che sarà tipica del Surrealismo.

Carlo Carrà, Gentiluomo ubriaco, 1916
Carlo Carrà, Gentiluomo ubriaco, 1916


Come De Chirico, anche Carrà, poi, tornò alla figura, all’Ordine. Con gli anni ’20, l’artista iniziò a dipingere vedute, paesaggi e figure al bagno che riassumevano tutte le sue fonti artistiche. Per i colori, tornò a guardare al ‘300 fiorentino e senese, mentre per i ritratti umani prese a modello la statuaria antica romana ed ellenistica, riproposta in chiave meno ideale e più primigenia, con donne dai fianchi larghi e dai seni prosperosi e uomini muscolosi, quasi atletici. I suoi paesaggi degli anni ’20 risentirono anche dell’influsso dei Macchiaioli: non a caso, anche Carrà, come Fattori, dipinse sul litorale maremmano ritraendo cavalli sullo sfondo delle spiagge sul Tirreno. Dal suo ritiro montano di Varallo, in Val Sesia, Carrà dipinse varie vedute dei borghi valligiani, esposte in mostra, ispirandosi ancora alle prove inglesi di Turner, ma anche, nelle gamme cromatiche all’Impressionismo.

Carlo Carrà, Il Bersaglio, 1928, Collezione Privata
Carlo Carrà, Il Bersaglio, 1928, Collezione Privata


Carlo Carrà, Vele nel porto, 1923, Firenze, Fondazione di Studi sulla Storia dell'Arte Roberto Longhi
Carlo Carrà, Vele nel porto, 1923, Firenze, Fondazione di Studi sulla Storia dell’Arte Roberto Longhi


Carlo Carrà, Nuotatori, 1932, Rovereto, MART
Carlo Carrà, Nuotatori, 1932, Rovereto, MART


Carlo Carrà, Bacino di San Marco, 1932, Milano, Galleria d'Arte Moderna
Carlo Carrà, Bacino di San Marco, 1932, Milano, Galleria d’Arte Moderna


Con gli anni ’30 e l’affermazione del potere fascista, per Carrà, considerato “vero pittore italiano” al pari degli amici Sironi, Oppi, Funi e Casorati, pur non essendosi mai schierato ufficialmente con Mussolini, arrivarono anche grandi committenze pubbliche, come quella della decorazione ad affresco di alcune sale del Palazzo di Giustizia di Milano, progettato dall’architetto ufficiale del regime, Marcello Piacentini. L’artista dipinse, sulle pareti della Corte d’Appello, una scena storica e una sacra, con Giustiniano che libera lo schiavo e Il Giudizio universale. In mostra, è possibile vedere i cartoni preparatori per questi grandi e trionfali affreschi, che andavano ad affiancarsi ai mosaici celebrativi di Sironi all’interno di quello che fu il più significativo esempio di razionalismo fascista a Milano. Lo stile di Carrà, per questa prova, risentì nuovamente dell’influenza di Giotto e Simone Martini, anche se i cartoni svelano ben altro: studi anatomici approfonditi, torsioni dinamiche e sensualità femminile che fanno pensare più a Michelangelo e a Tiziano. In questi stessi anni, Carrà iniziò ad affrontare anche il mondo dello Sport, come prova la tela del 1932, che è una delle prime raffigurazioni, nella Storia dell’Arte, di una partita di calcio, molto probabilmente della fortissima Nazionale di allora, viste le maglie azzurre.

Carlo Carrà, Estate, 1930, Milano, Museo del Novecento
Carlo Carrà, Estate, 1930, Milano, Museo del Novecento


Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Carrà ottenne la cattedra di Pittura all’Accademia di Brera. L’ultima sezione della mostra è dedicata a questi ultimi vent’anni della sua vita, in cui riprese le lezioni del passato, pur mantenendosi sempre all’interno del recinto figurativo: di nuovo paesaggi e ritratti, tra cui spiccano le Bagnanti degli anni ’50, ancora influenzate da Renoir e da Degas, ma anche scene di vita quotidiana e Nature Morte. Proprio con una di queste, Carrà ci lasciò nel 1966: aveva appena finito di dipingerne una variante con chicchera quando morì nella sua casa milanese.

Carlo Carrà, Cinqualino, 1939, Firenze, Fondazione di Studi sulla Storia dell'Arte Roberto Longhi
Carlo Carrà, Cinqualino, 1939, Firenze, Fondazione di Studi sulla Storia dell’Arte Roberto Longhi


Concludono la mostra tre autoritratti dell’artista, eseguiti in tre diverse fasi della sua vita: spicca quello piccolissimo, custodito a Brera, in cui Carrà con la sua espressione meditabonda, ma burbera, sembra quasi salutarci.


Carlo Carrà
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, 20121 Milano
Orari: lunedì: 14.30 -19.30, martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30 – 19.30, giovedì e sabato: 9.30 – 22.30
Biglietti: Open 16,00 €, Intero 14,00 €, Ridotto semplice 12,00 €
Info: tel. 199.15.11.21, web mostracarra@civita.it, www.mostracarlocarra.it

Anche Milano ha un lato nascosto: Perimetro ve lo svela

Nessuna città, per quanto grande o piccola possa essere, è totalmente esposta ai vostri occhi. Ci sarà sempre quel vicolo buio che non avete attraversato per paura, o quel sentiero solitario che finisce dentro un bosco, che non avete mai oltrepassato. Non tutte le vie percorse ogni giorno da migliaia di persone, sono le vostre vie, non tutti i lampioni della vostra città vi illuminano la strada; spesso ritrovate quella piazza in un film e allora correte a vederla e la riscoprite con occhi diversi, oppure venite a conoscenza di un ottimo ristorante attraverso il racconto di un amico.

Ogni città avrà sempre un angolo inesplorato, quel perimetro entro il quale tutto è a portata di mano, ma per cui occhi e orecchie necessitano di una speciale sensibilità.
Il progetto di Perimetro ha esattamente questo come obiettivo, svelarvi tutto l’ecosistema della città di Milano, una Milano che agli occhi del mondo è il centro della moda, ma che assorbe in sé le periferie dalle vite più dure, le notti più bizzarre, le geometriche e affascinanti architetture, quei palazzi che avete costeggiato mille volte ma di cui non ne avete colto la bellezza.


@ Sha Ribeiro


Delfino Sisto Legnani
@Delfino Sisto Legnani


Delfino Sisto Legnani_2
@Delfino Sisto Legnani


Perimetro è il community magazine di cultura per immagini e fotografia. I talenti fotografici della città meneghina si sono riuniti, ciascuno con le proprie diversità ma accomunati dall’amore per Milano, e l’hanno rappresentata con i loro occhi.

Ne esce uno spazio urbano, uno stile di vita, la percezione di una città nuova, una mappa colorata che ha un retro inesplorato, il disegno della forza milanese, in forte contrasto con le lacrime mass-mediatiche.


Alessandro Vullo_2
@ Alessandro Vullo


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@ Alessandro Vullo


Alessandro Furchino Capria, Alessandro Mitola, Alessandro Vullo, Angelo Cirrincione, Carlo Cozzoli, Delfino Sisto Legnani, Donald Gjoka, Hugo Weber, Lady Tarin e Sha Riberio sono solo alcuni dei collaboratori che hanno ritratto Milano per questo primo numero di novembre.

Perimetro ha un appuntamento fisso:

Ogni lunedì e giovedì  pubblica nuove gallery fotografiche e approfondimenti per immagini, creando vere e proprie indagini che spaziano dall’esplorazione dell’urbanistica alle storie di vita vera, dal centro alla periferia.

Con cadenza mensile, invece, un estratto del portale di 32 pagine chiamato Tasca viene stampato e venduto all’interno di un network di concept store mappati all’indirizzo http://perimetro.eu/tasca/
Le 12 uscite di Tasca andranno a comporre un vero e proprio libro da collezione, una ‘fotografia storica’ della Milano di oggi, un’analisi culturale e insieme un censimento, una documentazione per i posteri che Perimetro lascerà in eredità alle generazioni future.
www.perimetro.eu


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Bouquet di fiori esotici l’ispirazione ” libera” di Daizy Shely – collezione SS19

COLLEZIONE SPRING SUMMER 2019 DAIZY SHELY 


Sembrano arrivare da una festa caraibica le donne Daizy Shely, che per la collezione Spring Summer 2019 ha dichiarato di aver dato libero sfogo alla fantasia.

Solo la gioia di creare e di poter regalare alle donne che scelgono il brand, degli abiti che le facciano sentire belle e a proprio agio.

Sono i fiori le grandi ispirazioni della stilista israeliana, i fiori esotici dai colori vibranti, gli arancioni fluo, i rosa shocking, ma anche i lilla, il turchese e le preziose stampe nate dalla collaborazione con l’artista Umberto Chiodi. Dei bouquet floreali, inno alla femminilità, alla luce, alla bellezza.


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sx Daizy Shely SS19 – dx plumeria


Coloratissima la collezione Primavera Estate 2019 Daizy Shely, che prende dalla palette colori tutto l’entusiasmo delle feste dell’America tropicale.
E da quelle terre arriva la plumeria, una pianta della famiglia delle Apocinacee che produce dei deliziosi fiori profumati, con i petali distribuiti come girandole, in genere bianchi verso l’esterno per poi colorarsi di crema, rosa, giallo e rosso. Ma attenzione, le grosse bacche della pianta, dall’aspetto succulento, sono fortemente tossiche, l’altra faccia della medaglia di ogni donna.



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Sempre seguendo l’onda dell’ironia, la collezione Daizy Shely propone capi in gabardine e cotone, alcuni più strutturati quali lo jacquard multicolor dallo spirito anni ’70 e il gessato classico accompagnati a linee d’associazione maschile.

La maglieria ha tagli vertiginosi, giocata sia per il giorno che per la sera in simpatiche sovrapposizioni di tessuti e colori; la sera ci si scatena in balli di gruppo con capi in tulle, applicazioni di cristalli e perline e si lascia il segno con il dettaglio: la foglia plastica a forma di cuore dell’Anturium diventa collana/gioiello… Potreste sempre regalarlo a qualcuno…

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Sfoglia qui l’intera collezione Daizy Shely SS2019:



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Dal deserto del Namib arrivano le ispirazioni Giulia Colussi – gioielli nati dalle viscere della terra

Ha sfilato a Milano durante la settimana della moda, Unique Edition, la collezione di Roberto Musso (direttore artistico del brand) che ha scelto di impreziosire i suoi abiti con le creazioni di Giulia Colussi.

Giulia Colussi, designer di gioielli, ha creato dei pezzi unici per la collezione Primavera Estate 2019 Unique Edition, collane di cristalli levigati ispirate alle naturali forme ritrovate nei suoi lunghi viaggi.

Una capsule che arriva dalla natura incontaminata, dove cristalli naturali e druse danno vita a pezzi dal forte carattere e dalla personalità decisa.

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Dal deserto più antico del mondo, il Namib, arido da oltre 80 milioni di anni, nascono le pietre di Giulia Colussi. Da un’Africa che nasconde rocce risalenti a più di tre milioni di anni fa, panorami vastissimi e luminosi, da una terra che possiede una luce catturata per regalare brillantezza ai gioielli di Giulia Colussi.

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Sui tailleur Unique Edition cadono maxi collane, i bracciali in druse naturali si accostano ai colori tenui della collezione.
Gli anelli, rigorosamente in bronzo per riprodurre la durezza della natura, proteggono cristalli levigati come gocce o spade, ma nel pieno rispetto di quello che la natura ha creato, senza troppo snaturarne la forma.

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Giulia Colussi ha voluto entrare nelle viscere della Terra e tirarne fuori i veri tesori, si è lasciata ispirare dai panorami che non lasciano scampo, quelli che non si scordano mai, quelli per cui la “nostalgia” diventa “ossessione”. Ha portato con sé un pezzo di quel paradiso, dal lontano Sossusvlei, quell’area sabbiosa della Namibia dove i colori sono intensi per la composizione ferrosa della sabbia e a causa dell’ossidazione: il rosa e l’arancione che ritroviamo nelle creazioni della designer, che racconta:


Sono rimasta incantata dagli spazi enormi ed incontaminati del Sossusvlei, dal quel rosso acceso di cui si colorano le sue dune immense, ma anche i sassi e l’asprezza di certi paesaggi del Nord del Namib. E’ proprio lì che ho capito di voler riprodurre in qualche modo quell’emozione, quella gioia che si prova nel disvelare gemme custodite dalla terra, fuse con essa create grazie al tempo di sedimentazione nel suo ventre.

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NITO festeggia il suo ultimo gioiello: urban motard N4 ad EICMA 2018

Una serata di festeggiamenti, a conclusione del lavoro collettivo del team NITO, si è tenuta a Torino, città natale del brand (NUOVA INDUSTRIA TORINESE), con l’incoronazione del nuovo gioiello del motore: URBAN MOTARD N4.

I collaboratori di NITO e la sua famiglia, amici e giornalisti, si sono riuniti per testare i prodotti top di gamma NES5 e NES10, e celebrare l’operato di chi realizza dei veri e propri oggetti di design a due ruote, mezzi innovativi per muoversi rispettando l’ambiente e risparmiando denaro.

NITO è il brand italiano che rispecchia il design made in Italy, motori dalle forme compatte e dallo stile metropolitano, produce veicoli a emissioni zero e totalmente personalizzabili.

Il modello NES, vincitore quest’anno di tre fra i più importanti premi europei, ADI Design Index, German Design Award e bid_18 (Biennale Iberoamericana di Design), è  un oggetto di stile unico per design e personalizzazione fra gli scooter elettrici disponibili sul mercato; inoltre, in termini di prestazioni, il NES risulta tra i più brillanti fra i mezzi sotto ai 4 kW, ed è facilmente verificabile nell’affrontare qualsiasi salita.





NES è personalizzabile tra 72 combinazioni di colore, customizzando catena, sella e pedana. Quest’ultima, una vera chicca in legno marinato curvato, dalla texture naturale ed elegante, il dettaglio che fa la differenza.

Ma NITO non si ferma e, ambiziosa come i propri obiettivi, presenta ad EICMA 2018 (6-11 novembre), la 76° Esposizione Internazionale del Ciclo e Motociclo di Milano, “urban motard N4“, una vera sfida a due ruote che coniuga design e prestazioni elevate.


Nell’N4 la mancanza del serbatoio è valorizzata dal telaio a vista a cui si unisce l’ampia sella sviluppata sui fianchi del veicolo, generando la forma di un fulmine che connota fortemente il concept. Con una velocità massima di 150 km/h, 11 kW di potenza e 150 km di autonomia è una motard pensata per andare ovunque, divertendosi.


La realizzazione del prototipo in scala 1:1 non sarebbe stata possibile senza la valida collaborazione di grandi marchi come Selle Italia, FG Racing, Jonich, Honpe, Danisi Engineering, Pirelli e Brembo.

NITO, con N4, è fra le poche aziende del settore 100% elettrico a posizionarsi sia sul mercato degli scooter che delle moto. L’arrivo del modello di produzione è previsto fra poco più di un anno, a inizio 2020.


César Mendoza, socio fondatore e CEO di NITO ha dichiarato: “Siamo certi che il binomio prestazioni elevate/design, possa far arrivare la mobilità elettrica a tutti. Lavoriamo da tre anni in questa direzione, con obiettivo quello di cambiare le abitudini di muoversi in città, nel pieno rispetto dell’ambiente, etica a cui crediamo, con prodotti dinamici, veloci e dal design accattivante, accontentando i gusti più disparati.”


Nito sarà presente all’evento EICMA 2018 presso il PADIGLIONE 11. Oltre a N4,  NITO espone il prodotto di serie dello scooter NES (presente anche sullo stand di Motociclismo e dI Honpe), due NES special edition, i monopattini a spinta ed elettrico N1 e N1e e il motociclo leggero pieghevole N3.

Qui il sito ufficiale: NITO – NUOVA INDUSTRIA TORINESE 

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Lo schermo dell’arte Film Festival XI edizione

Lo schermo dell’arte Film Festival
XI edizione
Firenze, Cinema La Compagnia
Le Murate. Progetti Arte Contemporanea, Palazzo Medici Riccardi Palazzo Strozzi, Cango Cantieri Goldonetta
14 – 18 novembre 2018


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13 novembre inaugurazione mostra
European Identities. New Geographies in Artists’ Film and Video

14 novembre Opening Night

Peter Greenaway, Rä di Martino e Zapruder

Sarà Peter Greenaway ad aprire l’undicesima edizione dello Schermo dell’arte Film Festival, progetto internazionale dedicato alle molteplici interazioni tra cinema e arte, che si terrà a Firenze dal 13 al 18 novembre prossimo. Oltre cinquanta gli ospiti attesi tra artisti, registi, produttori e addetti ai lavori, tra cui gli artisti Dani Gal, Jumanna Manna, Ila Beka, Driant Zeneli, Barbara Visser, Gabrielle Brady, Diego Marcon, Jordi Colomer, la regista Lisa Immordino Vreeland, la curatrice Sarah Perks, il produttore Yorgos Tsourgiannis.
Per la Opening Night del 14 novembre il regista inglese, autore di celebri film quali I misteri del giardino di Compton House (1982), Il ventre dell’architetto (1987), Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989), Nightwatching (2007) presenterà la lecture The Open Air dedicata al progetto del suo prossimo film Walking to Paris, racconto del viaggio che, tra il 1903 e il 1904, il ventisettenne Costantin Brancusi intraprese a piedi dalla Romania, suo paese natale, per raggiungere Parigi, sua città d’elezione, che lo vedrà affermarsi come massima figura del rinnovamento dell’arte del Novecento.

100 Piper by Ra Di Martino
100 Piper by Ra Di Martino


Il programma della Opening Night prosegue con due anteprime di film di artisti italiani, una scelta da parte dello Schermo dell’arte che intende sottolineare la qualità della produzione di moving images di artisti del nostro paese: 100 Piper. Breve storia del Piper di Torino (1966-1969) in 100 frammenti di Rä di Martino dedicato al leggendario Piper Club di Torino, la cui vicenda è ricostruita attraverso la riattivazione di materiali di archivio e la raccolta di memorabilia unici – fotografie, diapositive, nastri audio e locandine – provenienti da testimoni diretti di quella esperienza; e Zeus Machine del collettivo Zapruder versione cinematografica di un progetto installativo a 12 canali dedicato alla figura di Ercole, l’eroe delle leggendarie fatiche. Nel film, costruito in capitoli, ogni “fatica” è un’impresa che celebra il mito in insolite ed attuali declinazioni. I personaggi infatti sono persone comuni che, accogliendo divertite e seriamente il nesso con Ercole, nella determinazione di voler andare fino in fondo, si fanno interpreti sinceri e autentici del richiamo eroico, in continua tensione tra la vetta dell’Olimpo e la sfera terrena.

Kusama Infinity by Heather Lenz © Harrie Verstappen
Kusama Infinity by Heather Lenz © Harrie Verstappen


Confermando la specificità della sua programmazione tra cinema e arte, il festival riunisce circa 25 film tra lungometraggi e corti, film d’artista e documentari. Tra quest’ultimi sono le anteprime italiane di Kusama- Infinity (2018) di Heather Lenz, dedicato alla novantenne artista giapponese Yayoi Kusama, una delle figure più celebri della scena contemporanea, che dal 1977 vive per sua scelta nell’ospedale psichiatrico Seiwa ma dipinge quasi quotidianamente nello suo studio a Shinjuku; The End of Fear (2017) di Barbara Visser che ricostruisce, a distanza di oltre vent’anni, la vicenda dello scempio subito nel 1986 dal celebre dipinto Who is Afraid of Red, Yellow and Blue III dell’astrattista americano Barnett Newman conservato allo Stedelijk Museum di Amsterdam; Love, Cecil di Lisa Immordino Vreeland, Stati Uniti (2017), che racconta la complessa personalità e il talento del designer e fotografo di moda Cecil Beaton, ritrattista ufficiale della Regina Elisabetta, attraverso rari materiali di archivio e brani tratti dai suoi diari.

Island of the Hungry Ghosts by Gabrielle Brady
Island of the Hungry Ghosts by Gabrielle Brady


Tra i film d’artista Lo schermo dell’arte è orgoglioso di presentare il toccante Island of the Hungry Ghosts (2018) dell’artista australiana Gabrielle Brady, il cui progetto è stato sviluppato nel 2015 nell’ambito di Feature Expanded, programma di formazione del festival. Vincitore di numerosi riconoscimenti tra cui il Best Documentary Feature Award del Tribeca Film Festival 2018 e recentemente il Feature Documentary Award dell’Adelaide Film Festival 2018, il film è stato nominato nella shortlist dei premi dell’Australian Academy of Cinema and Television Arts. Girato a Christmas Island nota per il fenomeno della migrazione di milioni di granchi dalla giungla al mare, narra l’esperienza di una giovane psicologa impegnata nel dare sostegno ai migranti che lì arrivano da tutto il Medio Oriente.

L’approccio delicato e la scoperta di una figura originale e fuori dagli schemi sono gli elementi del bel film Moryama-San (2017) di Ila Beka e Louise Lemoine dedicato a Yasuo Moriyama, eremita urbano di Tokyo appassionato di musica noise –la colonna sonora è di Otomo Yoshihide- che vive in modo del tutto personale gli spazi di una straodinaria casa a piccoli padiglioni disegnata dall’architetto Ryūe Nishizawa considerata un esempio dell’architettura giapponese contemporanea.

Blue by Apichatpong Weerasethakul
Blue by Apichatpong Weerasethakul


Tra i corti si segnalano tre film accomunati da atmosfere misteriose e sospese: nell’acclamato Monelle il giovane artista italiano Diego Marcon, finalista del MAXXI Bulgari Prize 2018, illumina il buio della sala cinematografica con spari di flash che rivelano inquietanti abitanti di uno spazio fortemente connotato da un’estetica razionalista, quello della celebre Casa del Fascio di Como dell’architetto Terragni; in Who Was the Last To Have Seen the Horyzon? del giovane artista Driant Zeneli, che nel 2017 ha partecipato al programma di formazione VISIO dello Schermo dell’arte e che rappresenterà l’Albania alla prossima Biennale di Venezia, quattro personaggi e un cane fluttuano in un ambiente alieno, oscuro e silenzioso; mentre in Blue, presentato in anteprima, il super premiato filmmaker e artista tailandese Apichatpong Weerasethakul condensa le atmosfere surreali tipiche del suo cinema in uno scenario che allude alla condizione tra sogno e veglia.

In programma inoltre la IV edizione di Feature Expanded. Art Film Strategies, progetto di formazione diretto da Sarah Perks e Leonardo Bigazzi e sostenuto da Creative Europe/MEDIA, che porterà a Firenze 12 artisti internazionali che desiderano realizzare il loro primo lungometraggio e che assegnerà quattro premi: Feature Expanded Distribution Award; Feature Expanded Development Award, Ottod’Ame Film Award, SUB- TI Award; la VII edizione di VISIO. European Programme on Artists’ Moving Images, curata da Leonardo Bigazzi, rivolto alle giovani generazioni di artisti che lavorano con video e cinema, che conferma il VISIO Young Talent Acquisition Prize della Seven Gravity Collection. La open call del progetto ha ricevuto 90 candidature provenienti da 32 paesi diversi; le installazioni video e i film dei 12 artisti selezionati per VISIO saranno protagonisti della mostra European Identities. New Geographies in Artists’ Film and Video che inaugurerà martedì 13 novembre alle Murate. Progetti Arte Contemporanea; la II edizione del progetto Moving Archive che propone film dell’archivio del festival in 9 biblioteche e istituzioni della Città metropolitana di Firenze.

Lo schermo dell’arte Film Festival – XI edizione diretto da Silvia Lucchesi
Firenze, Cinema La Compagnia e altri luoghi

14 -18 novembre 2018
inaugurazione 13 novembre
www.schermodellarte.org

Una tazza di tè nella campagna francese – Luisa Beccaria SS19

MILANO FASHION WEEK – COLLEZIONE PRIMAVERA ESTATE 2019

Un grande designer può dire di aver lasciato il segno quando, chi decide di acquistare un suo abito, interpreta l’atmosfera che questo gli ispira, nella sua vita stessa.

Un abito in vichy ci ricorda le giornate in campagna all’aria aperta, un pin-nic primaverile, le giornate passate con la nonna a fare la pasta in casa. Un vestito dalle stampe a fiori invece ci porta in provence, nel sud della Francia, nelle distese lille di lavanda e nei borghi antichi dove regna il silenzio.

Ai lati Luisa Beccaria SS19, al centro Fernand Toussaint “Dreamy”


Ma quanti abiti realmente posseggono il dono di farci sognare, quanti hanno quella magia di trasportarci in un altro luogo e la capacità di ispirare? C’è chi, partendo da un abito, ha creato un vero e proprio stile di vita, il suo nome è Luisa Beccaria.


Luisa Beccaria, la stilista milanese che da’ il nome all’omonimo brand, rimane fedele a se stessa, romantica e femminile anche per la collezione Primavera Estate 2019.

Ruches, volants, tulle, tulle a volontà, nei colori di Delphin Enjolras e delle sue docili fanciulle, sempre illuminate dalla luce di una lampada, nei loro ambienti intimi, intente a leggere una lettera d’amore o a sognare ad occhi aperti.


sx Luisa Beccaria SS19 – dx Delphin Enjolras “Reading at lamp light”


The Enchanted Garden”, la Collezione Spring/Summer 2019 di Luisa Beccaria, un giardino incantato dove regnano i fiori, stampati sulle stoffe o ricamati sugli abiti, uno di quei giardini che Irving Ramsey ha dipinto con eleganza e grazia, dove una tavola semplice unisce la conversazione tra donne.

sx “Elegant ladies taking tea” Delphin Enjolras – dx Luisa Beccaria SS19


Leggerezza è la parola d’ordine, tessuti impalpabili, freschi come il vento delle sere in Provenza, autentici come ogni capo della maison che veste le donne più eleganti del cinema, da Nicole Kidman a Kate Winslet.

Sovrapposizioni, il cotone innestato dal pizzo, la garza, il lino, piccoli tocchi di broccato delicato; protagonista è il fil coupé, che come un acquerello dipinge e da’ sostanza a balze, corpetti e sensuali gonne. Ma la donna Luisa Beccaria è in continua evoluzione, gioca tra le tavole imbandite in un grembiule Vichy o in un vestito midi dal sapore folk, per poi risplendere la sera in un abito da cocktail organza fil coupé con fiori gialli, rossi e rosa.


Ai lati Luisa Beccaria SS19 – al centro Fernand Toussaint


Talvolta malinconiche come i soggetti di Fernand Touissaint, le atmosfere L.Beccaria hanno il sapore del passato e il fascino delle favole. Abiti come bouquet di fiori, merletti, trasparenze che si increspano in balze, sottogonne dalle mille nuance, sfumature pastello perfettamente equilibrate e muliebri.

A completare la collezione dalla perfetta palette cromatica, tiare, velette, cuffie in rafia metallizzata, e ai piedi sandali in satin legati alla caviglia e impreziositi da nodi e fiocchi tono su tono, perché i dettagli sono importanti e ci rendono uniche.

Guarda qui tutta la collezione Primavera Estate 2019 Luisa Beccaria:



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Bianca Balti nella nuova brand campaign Alessandro Angelozzi Couture scattata da Andrea Varani

LA TOP MODEL BIANCA BALTI E’ IL VOLTO DELLA NUOVA CAMPAGNA ALESSANDRO ANGELOZZI COUTURE SCATTATA DAL FOTOGRAFO ANDREA VARANI

Alessandro Angelozzi Couture è la bandiera italiana del wedding e del “saper fare“, questa strana arte in cui la nostra penisola eccelle.

Per la nuova campagna il brand sceglie ovviamente il centro della moda, la città in cui nulla è lasciato al caso, dove le boutique hanno vetrine scintillanti e dove ci si volta a guardare un pedone tanto è elegante: Milano. Milano città del dettaglio, Milano chic e pretenziosa, Milano che chiede ma offre il doppio; qui, nelle vie più importanti e nei prestigiosi palazzi, Alessandro Angelozzi Couture presenta la sua nuova collezione.

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Testimonial d’eccezione non poteva che essere Bianca Balti, altro simbolo della bella Italia, quella sana e vivace. Una scelta che ricade sull’immagine della top model dal volto fresco, giovane, una donna che si ricorda solo sorridente.

La donna Alessandro Angelozzi Couture è positiva e legata alla famiglia e alla tradizione, il vestito che indosserà il giorno più bello della sua vita sarà classico ma impreziosito dall’arte nobilissima del ricamo.

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It’s only love” è la nuova brand campaign scattata dal fotografo Andrea Varani. Una visione che rispecchia il passato del marchio, fotografie dai colori milanesi, la professionalità di una mano esperta, la serietà di chi è convinto che un abito possa veramente lasciare il segno. E Alessandro Angelozzi Couture ne è la prova!

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Gli abiti da sposa di Alessandro Angelozzi Couture sono disponibili nei migliori atelier e possono essere ordinati direttamente alla maison attraverso il sito www.alessandroangelozzicouture.it

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BAILISS PRESENTA LA SUA COLLEZIONE SS19 UNICA E PERSONIFICATA

L’atelier Bailiss presenta la sua collezione SS19 nell’ambito dell’evento “Something a la Mode”, durante la settimana più glamour dell’anno nella capitale della moda, Milano. Bailiss nasce a Mosca nel 2014 da Larisa e Alisa Baysarov.


Per Larissa e Alisa è poesia, usano solo ed esclusivamente tessuti naturali cuciti e ricamati a mano da “maestri sartori” con dettagli unici che esaltano le curve femminili, senza mai cadere nel volgare.


Il ricamo, difficile e prezioso, diventa così il biglietto da visita del marchio. I sarti dell’atelier utilizzano le tecniche tradizionali dalla cultura del Caucaso russo, realizzato all’uncinetto con l’aggiunta di paillettes, trombe, strass, perle e perline.


Il pregiato ricamo appare su tutte le creazioni dell’Atelier Bailiss, abiti da sera, da sposa e anche sugli abiti da giorno come vestiti, tute e cappotti.


Per la PE’19 Bailiss ha utilizzato i seguenti colori: blue, marrone e bianco per un look elegante e moderno. Mentre l’ombra raggiante del color lavanda, del fucsia e del rosso acceso appaiono nei pezzi più considerevoli della collezione.


Le fotografie sono di Anna Minaeva, capelli e trucco di Revolution hair Milano.


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“Courbet e la natura” la mostra a Palazzo Diamanti sull’opera di Gustave Courbet

Dopo quasi cinquant’anni dalla retrospettiva che Villa Medici gli dedico’, torna in Italia presso Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la mostra di Gustave Courbet, padre del realismo e uno dei più grandi pittori dell’Ottocento.

Courbet e la natura“, mostra organizzata da Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, racconta l’importanza storico-artistica del pittore francese che ha dato voce a Madre Natura, ha dato carattere alle vallate della Loue, ha intriso di nostalgia i laghi della Svizzera, quelli dipinti durante il suo esilio.

Nessuno come Courbet ha saputo dare il soffio umano alla natura che ci circonda, così come l’uomo fece con il Golem; le sue opere diventano presto modello di riferimento per gli artisti che lo seguirono: Monet, Manet, Degas…

Esattamente 49 le opere provenienti dai principali musei europei ed americani, formano il percorso espositivo di quell’uomo sicuro delle sue capacità e dei suoi mezzi, così come ci viene detto dal suo primo “Autoritratto con cane nero” (1842) in cui un Courbet appena venticinquenne vestito come un vero dandy, si mostra accompagnato dal suo spaniel sullo sfondo della natia Franca Contea.

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“Autoritratto con cane nero” (1842)


E’ una ricerca profonda e ossessiva quella di Courbet, che della sua produzione lavora per i due terzi sulla natura.
Misteriose le grotte da cui scaturiscono sorgenti alle cavità carsiche, buio e luce, sono questi gli elementi che lo attraggono a quei luoghi come una calamita, spazi in cui si perde, in cui gode silenziosamente di quella solitudine che non gli faceva paura, i luoghi remoti e nascosti “delle valli del suo paese“.
Potenza e mistero erano qui rappresentati con un minuzioso tocco di spatola, che restituisse alla tela la materia di cui erano fatte quelle rocce, la spigolosità e la profondità di quelle grotte.

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La valle della Loue sotto un cielo tempestoso 1849


Anche se è vero il detto che recita “tutto il mondo è paese“, non è altrettanto vero che la luce sia uguale in tutti i luoghi del mondo.
Gustave Courbet ci riporta dai suoi diari, che sono le sue stesse tele, tutte le intensità di luce dei suoi viaggi. Limpidi i cieli di Liverpool e di Hartford, trasparenti le atmosfere e cheti i paesaggi.

Tra il 1865 e il 1869, l’artista soggiorna spesso in Normandia dove, oltre agli amici, incontra l’oceano, le sue violente tempeste, le architetture naturali, il mare che cambia sempre forma e colore, il mare meteoropatico, il mare adirato e poi placido. E’ in questi che luoghi che sperimenta una personale tecnica pittorica, in cui subentrano mezzi quali stracci, spatole, ma anche polpastrelli.
La tela diviene fotografia di quei mari, possiamo sentirne il suono, la risacca sulla battigia, l’infrangersi delle onde sugli scogli, lo scricchiolìo dei sassi bagnati dall’acqua.
Cézanne, che venerava il maestro diceva:

Le onde di Courbet sembrano arrivare dalla notte dei tempi“.


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Il mare in burrasca detto anche L’onda (Gustave Courbet, 1870)


Sempre lirici i dipinti del pittore francese, dalla rappresentazione di una quercia a quella di una “Giovane bagnante” (1866), la rivoluzione pittorica sta nella relazione tra l’essere umano e la natura, un legame talmente forte da rendere i due soggetti indissolubili, uniti per destino e inseparabili.
Quale profonda emozione legava il pittore alla natura? Che volesse esprimere forse il suo stato di grazia quando ne rimaneva immerso delle ore, durante la pittura o nelle sue lunghe passeggiate, solo o in compagnia di qualche amico con cui parlare? Che sia stato così buono da volerci regalare quei suoi momenti di gioia e di pace che sente l’uomo saggio, così vicini al pastore più che all’uomo del commercio? Che lui, come Tolstoy in “Anna Karenina” o Bertrand Russell in “La conquista della felicità” voglia dirci quanto la natura sia portatrice di pace e di energia positiva?
Riuscirci ci è riuscito, anche senza l’uso della parola, ci è arrivato con i colori, con la pastosità della materia, abbiamo vissuto con lui la nostalgia dell’esule sul lago Lemano in Svizzera, la parabola malinconica di quei profili montuosi, le vedute lacustri e i suoi riflessi sullo specchio d’acqua.

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Tramonto: la Spiaggia a Trouville, ca. 1866


Ma, testimonianza della sua grandezza pittorica, è la rappresentazione della caccia, il senso di impotenza dell’uomo di fronte alle leggi della natura. Tele in cui il cielo domina sulla terra, grandi formati che prima erano destinati alle scene storiche e bibliche, Courbet li dedica alla caccia. Con questo tema il pittore arriva sulla punta dell’iceberg, governa in grandezza, attinge da una tradizione pittorica che spazia dai maestri fiamminghi del Seicento ai contemporanei inglesi.
Dipinge ciò che conosce, apprendiamo infatti dalle sue numerose lettere, che amava trascorrere i mesi invernali della nativa Ornans andando a caccia sulle colline innevate o nei sottoboschi insieme agli amici d’infanzia.

All’amico Jules Castagnary scriveva ” Guarda l’ombra della neve, com’è azzurra!“.

Nello straordinario dipinto “Volpe nella neve” (1860), Courbet esprime con maestria gli effetti coloristici della luce e delle ombre sul candore della neve. Il manto scuro della volpe gli permette di raccontare il contrasto tra i due elementi (natura/animale), con un tocco felpato nella rappresentazione del manto, così reale da poterne sentire la morbidezza, soffice e folto, prende quasi tridimensionalità.


Courbet, Volpe nella neve
Courbet, Volpe nella neve 1860


Lo spettatore viene accompagnato nelle varie fasi dell’opera pittorica di un artista che ha lasciato un segno indelebile nell’arte dell’Ottocento fino a noi, le quasi 50 opere scelte sono la sintesi dell’amore che Courbet aveva per la natura e di come si sentisse debitore nei suoi confronti, dedicandogli tutta la sua vita in viaggi e osservazioni.

Courbet e la natura” è l’esposizione a Palazzo dei Diamanti di Ferrara e rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2019.

(in copertina “Les Demoiselles des bords de la Seine” Gustave Courbet 1856-1857)

 

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