“Something À La Mode” Edizione 2.0

Dopo il successo della prima edizione, il formato vincente di “Something À La Mode” trunk show creato dalla Fashion Curator Veronica Sheynina, è tornato a Milano durante la MFW con due nuovi stilisti.


Presentando una collezione eco-sostenibile realizzata completamente in lino il brand made in Russia VOLTRY.

E la stilista Italiana SOFIA ALEMANI che dopo la Montecarlo FW e Alta Roma ha scelto l’evento “Something À La Mode” per presentare le sue nuove eclettiche creazioni.

VOLTRY è un brand Russo eco-sostenibile specializzato da più di 50 anni nella lavorazione del filato di lino ecologico, trasformando i capi in veri trend. Il brand è stato il primo in Russia a utilizzare il filato di lino ecologico per la produzione di maglieria ed è diventata il leader assoluto del settore in Russia.

La produzione è focalizzata sui capi in tessuto di lino con l’uso dei vari metodi di lavorazione a mano che rendono ogni capo VOLTRY unico ed esclusivo.

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La visionaria Designer SOFIA ALEMANI presenta la sua collezione “XXL vs XXS Capsule”, dove il concetto curvy esplode finalmente nella gioia di mille colori e luci di paillettes esibite nel segno del massimalismo.


SOFIA ALEMANI presenta un approccio spontaneo e curioso al tessuto, dove nulla è scontato. Così il diritto lascia il posto al rovescio, creando inedite percezioni e suggestioni tattili inesplorate.


“Con questa speciale capsule di capi prêt a couture ad ispirazione sport chic – spiega Sofia Alemani – desidero ringraziare le mie clienti che sono tutte donne vere e di tante età e taglie diverse. Le ringrazio perché credono ancora nella qualità e nella creatività dei capi sartoriali, fatti su misura e immaginati per valorizzare al massimo la bellezza di ciascuna”.


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GENTILE CATONE FW 19/20 COLLECTION – “ACONITO”

FW 19/20 COLLECTION – “ACONITO”

La collezione FW 19/20 di Gentile Catone esplora le inquietudini della società contemporanea, disincantata e scardinata, senza prospettive, eppure in bilico tra velleità ascetiche e ibride forme mistiche, alla costante ricerca di quel “meraviglioso” che possa, con la sua ingenua carica eversiva e sovrannaturale, spazzare e squarciare lo sterili orizzonte materiale che la circonda.
Il nome della collezione, “Aconito”, fiore velenoso dalle sfumature violacee, sintetizza a livello cromatico e semantico la collezione, quale varietà prediletta che prospera nel giardino di Proserpina, coi suoi grappoli di calici vividi e letali che si stagliano nella bruma stigia.
La donna Gentile Catone si muove in questo immaginario magico e noir attraverso il richiamo a triadi, che incarnano diversi aspetti multiforme universo femminile.
Tre le donne, dunque, che ispirano e motivano la collezione: la madre, la depositaria arcana e misteriosa di un saper ancestrale e, infine, la donna volitiva ed indipendente, tre proiezioni della figura femminile nella società odierna simbolo di forza e determinazione.
Il racconto di Gentile Catone viene narrato su raso di seta, twill e jersey di viscosa che caratterizzano abiti, gonne e camicie dalla vestibilità over o dal taglio bon-ton, elemento distintivo di tutte le collezioni del brand.
Il dualismo delle forme ricorre anche nei capospalla e nei cappotti della stagione in mohair, velluto e pied de poule, impreziositi da ampi colli viola in mohair o da piume viola pastello.

Stefano De Lellis Primavera Estate 2020

La ricetta è semplice: creatività tout court unita a un attitude coolness che fa sue le leggi del desiderio- esplorato, indagato, esploso – e le trasforma nella collezione PE 2020 firmata Stefano De Lellis.

Ricerca e tradizione, creatività e artigianato italiano: il risultato è una proposta in cui il gioco di contrasti diventa la trama su cui costruire una nuova femminilità spettacolare e up to date, in cui la couture diventa ipervisiva e racconta un’eccellenza da indossare, un desiderio nato da asimmetrie e da balze, da lunghezze decise e da tagli mini.

Una vocazione scenografica che, tra cromie intense e inserti all around, si fa interprete di una sensualità precisa e forte, che segue il sexy flow dinamico degli abiti- icone di una femminilità gridata in mezzo a rouches e a volant plissettati, tagli asimmetrici e balze ton sur ton.

Costruzioni perfette seguono le infinite sfumature del desiderio in un’attrazione che ha origine dal colore: libero, smaliziato, capace di farsi manifesto di una libertà di espressione lirica ma, al contempo, sartoriale.

Un loop iconico che sceglie tessuti nobili, dai riflessi accesi e scattanti, che si ferma su silhouette precise e dai volumi inaspettati – molto macro, a ballon, capaci di esplodere in un trionfo di tulle e di balze- in cui l’unica regola è uscire dagli schemi. Ma con grazia. Ecco taffetà, organza, georgette di seta: effetti danseuses enfatizzati dall’abbinamento con la tela denim tie&dye; e ancora irriverente flag couture accesa e scattante nel lungo kimono e nella gonna plissettata mentre la sera acquista un gusto pop tra colori vivaci e forme rivoluzionarie.

La legge del desiderio non conosce ostacoli ma si esprime liberamente grazie al popeline e al pizzo di cotone, spruzzandoli di tulle glitterato che acquista rigidità e da vita a costruzioni très charmant, da indossare senza compromessi.


La perversione raffinata di Gucci

La perversione raffinata di Gucci

Di Enrico Maria Albamonte

Da Gucci per Alessandro Michele, sublime pifferaio magico dalle lunghe chiome corvine, sottrazione fa rima con sovversione e il neocon diventa fetish e un po’ sadochic come in ‘Bella di giorno’ di Luis Bunuel. La moda è un gioco sottilmente perverso ed è questo in fondo che la rende attraente, seducente, anche se a tratti surreale. Mentre Madonna intona il suo peana orgasmico, il brano musicale ‘Justify my love’ che appartiene all’album ‘Sex’ abbinato a un volume X-rated realizzato nel 1992 in collaborazione con Steven Meisel, scorrono le immagini dell’ultima collezione primavera-estate dello stilista più osannato e incensato del momento. Uomo e donna flirtano idealmente e algidamente sul tapis roulant allestito nel mega spazio di via Mecenate a Milano. Il talento carismatico dello stilista romano-che nel 2020 festeggia 5 anni di direzione creativa di Gucci-si nutre di glamour anni’90 ma anche di trovate eclatanti. Come l’incipit del fashion show affidato a una parata di ragazzi e ragazze imbrigliati in camicie di forza che non vogliono esprimere, come i maligni potrebbero pensare superficialmente, una beffa sulle malattie mentali strumentale alla mercificazione della moda, bensì sono una provocatoria sfida a chi vorrebbe imbavagliare i creativi di oggi, in un mondo neo-puritano e machista. Si sgretolano le certezze dell’establishment borghese e allora tutto diventa molto più portabile rispetto al solito. Un glamour irriverente pervade la lussuosa lingerie femminile nelle tuniche scollate, gli occhiali dalle maxi lenti sono ornati da catenelle ingigantite, i lunghi guanti si portano oltre il gomito, frustini da virago e choker aristocratici formano la panoplia dei look più audaci e peccaminosi della collezione. I modelli efebici more solito hanno un flair un po’ nerd, le ragazze abbinano tinte flashy a colori pastello. Come recita l’illuminata release della collezione la moda “definisce uno spazio di autoaffermazione poetica in cui far brillare il desiderio di sé”. Che tradotto in abiti, scarpe e borse significa: trench e loden in velluto, tuxedo in satin in colori saturi, coat sartoriali decorati da stringhe bondage, stivali rosa e verdi con tacco sagomato, zainetti di pelle lucida con morsetto, mules sfilate e a punta, alte cinture in vita con dettagli in oro, borsette neo-bourgeois, Dyonisus gialle e nere, sahariane molto esuberanti, abiti nude look in tinte vivaci su scarpine argentate, le lunghe tuniche dalle maniche ampie hanno dei cutout sul petto, pannelli di piallettes dorate campeggiano solcandole sulle tuniche azzurrate. I print sono anni’70 (arredamento) o anche a maxi arabeschi ricamati in mille colori. La sua lezione di tolleranza e inclusione Michele la dà in termini di emancipazione stilistica e autodeterminazione estetica. Senza tabù o stereotipi, alla ricerca di ciò che può essere desiderabile oggi.

Laura Biagiotti, una regina della moda alla Festa del Cinema di Roma

Laura Biagiotti, una regina della moda alla Festa del Cinema di Roma

Di Enrico Maria Albamonte

Capelli lunghi corvini, bella, romantica e sorridente ma anche tenera e tenace, tutta forza e dolcezza, ragione e sentimento: gli opposti si attraggono quando si parla di Laura Biagiotti. La ‘Regina del cashmere’ come la definì Bernardine Morris sul New York Times negli anni’80, o la dama bianca come venne pure ribattezzata, è scomparsa nel maggio 2017 a 70 anni dopo una vita lastricata di successi folgoranti e di imprese eroiche. Come lo sbarco in Cina, prima stilista italiana a osare tanto, nell’aprile del 1988 con le sue indossatrici cinesi, fra le quali la bellissima Dong Mei, tutte capitanate dalla top italiana Francesca Ambrosetti, una delle predilette di Laura. Alla fine degli anni’70 Richard Avedon la immortalò in un intenso ritratto in cui la idealizzava come un angelo dall’aria mistica, e così la ribattezzò ‘L’aura’. Oggi la ricorda ‘Laura Biagiotti-L’Aura della moda’, un bel docu-film prodotto da Anele e Gloria Giorgianni in collaborazione con Raicinema e realizzato da Maria Tilli e Anna Pagliano. Presentato il 19 ottobre nel nutrito calendario ufficiale della Festa del Cinema di Roma, il docu-film ripercorre le tappe determinanti della carriera di una signora del Made in Italy che con i suoi abiti-bambola in cashmere, taffetas e organza, i suoi lini ajouré abbinati alle sue inconfondibili collane di corallo o di cammei, e la sua maglieria rivoluzionaria in cashmere, filato nobile di ascendenza british e da lei sdoganato nell’armadio della donna che lavora, ha fatto sognare generazioni di donne ‘normali’ che finalmente potevano essere eleganti e comode senza avere la silhouette di una mannequin da passerella. Il suo motto era qualità e praticità.

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“La nostra è una storia di famiglia che si intreccia con la nascita del Made in Italy, al quale mia madre ha dato un impulso determinante – spiega Lavinia Biagiotti Cigna Presidente e CEO di Biagiotti Group Spa – È una storia di lungimiranza e di visioni pionieristiche che ci hanno portati a essere i primi a sfilare in Cina portando la Moda Italiana nel Celeste Impero, e in Russia al Cremlino nel 1995. È una storia di arte e mecenatismo, costellata da importanti restauri e interventi a supporto della salvaguardia del patrimonio del nostro Paese. È una storia di valori testimoniata anche dal forte legame con il mondo dello sport.”

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Il film scorre veloce ma efficace attraverso le testimonianze di Santo Versace che ammira la sua determinazione, Vittorio Sgarbi che enfatizza la liaison fra Laura Biagiotti con l’arte e il mecenatismo attraverso la sua collezione di quadri di Balla, Massimiliano Rosolino, l’atleta medaglia olimpica di nuoto che sfilò per Laura Biagiotti in costume da bagno nel 2000 e che paragona Laura a un direttore d’orchestra, e poi Matteo Ceccarini, che curava le colonne sonore delle sue sfilate e che ricorda il suo spirito zen e il suo carattere multiforme aperto a tutte le manifestazioni culturali vicine al fashion. Non mancano Romina Power, Silvana Giacobini, Carla Fracci che ha sfilato per Laura Biagiotti a Milano nel Piccolo Teatro Studio, e Nancy Brilli, che ricorda come Laura Biagiotti riuscisse a vendere i suoi strepitosi modelli alle principesse arabe (fra le sue clienti anche Raissa Gorbaciov), perché la sua era una vera ‘alta moda in maglia’. Il suo segreto era sua figlia Lavinia che riusciva a darle sempre serenità. E poi la affiancava Gianni Cigna, padre di Lavinia, con il quale la grande creatrice di moda convolò a nozze nel 1991 per poi perderlo prematuramente nel 1996, l’anno in cui decise di restaurare il sipario sfarzoso in velluto del teatro ‘La fenice’ di Venezia, riportandolo agli antichi fasti dopo un infausto incendio. Negli anni Laura Biagiotti ha reso omaggio alla sua città non solo con il profumo ‘Roma’ racchiuso in un prezioso flacone disegnato dall’artista Peter Smith, un bestseller fra le fragranze griffate, ma anche restaurando la scala cordonata del Campidoglio, opera di Michelangelo, le fontane di Piazza Farnese ma soprattutto ha ristrutturato il castello Marco Simone di Guidonia nel 1978, anno del suo debutto a Milano Collezioni con la sua linea di ready-to-wear femminile, invitata a sfilare nella città della moda da Walter Albini e dal ‘ministro della moda italiana’ Beppe Modenese, padrino di battesimo degli shogun dello stile, gli stilisti milanesi alla conquista del mondo della moda mondiale.

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Dice Laura Biagiotti nel programma ‘King’ nel 1987: “ Oggi nella moda c’è troppo protagonismo e si perde di vista ciò che è la moda, qualcosa di divertente che però dà lavoro a tante persone, un’industria che fattura miliardi”. Laura Biagiotti è stata una visionaria, come ricorda la giovane e radiosa attrice Serena Rossi, voce narrante e protagonista del film che viene guidata da Lavinia Biagiotti Cigna attraverso le sale del castello a poche ore dalla sfilata autunno-inverno 2019-20, un antico maniero cinquecentesco tuttora quartier generale dell’azienda di famiglia, in un itinerario della memoria. Curiosa e coraggiosa, Laura Biagiotti dedicò la sua vita al suo lavoro che svolgeva con grazia e semplicità ma anche con un polso di ferro a livello imprenditoriale che le ha consentito, pur con molti sacrifici, di mantenere la proprietà nella sua famiglia, una vera e propria dinastia dello stile. La nonna di Lavinia e madre di Laura era Delia Biagiotti, un’altra pioniera che dopo essersi affermata in un’azienda editoriale decide, per stare vicino alla famiglia, di aprire un atelier a Roma in via Salaria. Delia fu una delle prime creatrici di moda italiane a disegnare le divise delle hostess Alitalia. Nei primi anni’60 la giovane Laura, allora studentessa di archeologia cristiana a Roma, muove i primi passi nel laboratorio sartoriale della mamma. “Decisi, dopo la laurea in Lettere Antiche, di seguire le orme di mia madre che mi mandò a fare la gavetta prima da Loewe e poi da altri grandi stilisti fino a quando nacque nel 1965 il gruppo Biagiotti con la Biagiotti Export e cominciammo a produrre il prȇt-à-porter di Emilio Schubert, Capucci, Litrico e Rocco Barocco”, si scopre nel documentario. E ancora:” Ho scelto la moda invece dell’archeologia perché mi avrebbe dato la possibilità di viaggiare e di conoscere gente nuova”. Parallelamente, per unire le sue due passioni, la moda e la sua famiglia, Laura Biagiotti rileva la tenuta Marco Simone di Guidonia alle porte di Roma, dove con Gianni Cigna crea la base del suo impero (oggi 90 milioni di euro di fatturato), divenendo la castellana della moda: nel maniero dell’undicesimo secolo, aristocratica magione della famiglia Cesi, visse anche Galileo Galilei. Con il suo restauro la stilista mecenate riportò alla luce degli affreschi di inestimabile valore. “Mia madre collezionava profumi, in questa sala ce ne sono oltre cinquemila esemplari con i flaconi originali di varie epoche storiche”, dice Lavinia nel film, guidando Serena Rossi in un tour che ripercorre il cuore pulsante della maison, dall’ufficio stile, alla sartoria, regno del ‘premier’ Filippo, decano dell’atelier che lavora da 50 anni per l’azienda, fino allo studio della madre. Laura Biagiotti è stata, insieme a Krizia, Alberta Ferretti, Rosita Missoni e alle sorelle Fendi, una delle prime donne imprenditrici di successo nella moda italiana, una delle ‘regine della moda’ come la definì nel 1985 Nora Villa nel suo libro ‘le regine della moda’ edito da Rizzoli. Era come dice di lei Sgarbi nel film: “una moderata in un plotone di estremisti come gli stilisti di moda, vestiva delle donne eleganti e borghesi come lei, e con Balla ha estetizzato la moda rinnovando il legame fra quest’ultima e l’arte”. Per usare le parole della grande stilista che ha vestito Mara Venier e Renzo Arbore, ma anche Sandra Mondaini, Gabriella Ferri, Pamela Villoresi, Raissa Gorbaciov e la moglie di Mubarak e che ha avuto il coraggio di convertire in beneficienza il compenso astronomico di Naomi Campbell che era arrivata, more solito, in clamoroso ritardo a una sua sfilata negli anni’90:“Preferisco essere una donna femminile che lavora in un mondo dominato dagli uomini, piuttosto che un uomo di serie B”. Una vera regina sì. Ma in fondo poi come ha scritto un grande poeta: ”Un cuore gentile vale più di mille corone”, un cuore che lei indubbiamente possedeva.

L’uomo senza gravità di Marco Bonfanti

L’uomo senza gravità di Marco Bonfanti

Di Enrico Maria Albamonte

Un film vibrante e illuminato sulla ‘sostenibile’ leggerezza dell’essere che mette le ali alla fantasia con la magia del cinema. In ‘l’uomo senza gravità’, prima preapertura della Festa del Cinema di Roma distribuito da Fandango, che sarà nelle sale dal 21 al 23 ottobre per poi passare dai primi di novembre sulla piattaforma Netflix che lo distribuirà in 190 paesi, il regista Marco Bonfanti mette in scena il dramma di un ‘super eroe sotto sopra’ alla ricerca della normalità. Il film è un gioiello di ironia e di cultura estetica e cinematografica. Tratto da un libro di Italo Calvino e interpretato da un Elio Germano in stato di grazia, questa pellicola rappresenta una fusione ideale fra sperimentazione romanticismo. Gli effetti speciali, realizzate fra gli altri anche dalla Edi Digitali Italiani, si sposano con atmosfere poetiche, montagne innevate, le strade di Calvenzano, le scenografie allestite in 3.500 location diverse, Cinecittà compresa.


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The actors Elio Germano (Oscar) and Silvia D'Amico (Agata) acting during a scene L’uomo senza gravità, director Marco Bonfanti, Dop Michele D’Attanasio. Italy-Belgium 2019


Dietro la leggerezza, che è la chiave di lettura del film, si cela Oscar (Elio Germano, David di Donatello e miglior attore al Festival di Cannes) è un bambino prodigio: riesce a volare e a fluttuare nell’aria. La madre sarta (Michela Cescon, David di Donatello e Nastro d’Argento come migliore attrice) è una donna ingenua e molto pura e la nonna (Elena Cotta coppa Volpi come migliore attrice) è una signora anziana molto grintosa che sa elevare il suo scetticismo a dogma. Oscar cresce in una bolla di vetro allevato ed educato dalla mamma e dalla nonna intransigente, finché incontra Agata una bambina amante dei super eroi che gli regala uno zainetto rosa, un pegno d’amore che il protagonista dai super poteri si porterà dietro come un talismano di felicità per tutta la vita. Risucchiato dalla macchina mediatica e dalla televisione che cannibalizza i sogni, Oscar rimane deluso dalla celebrità e decide di ritirarsi dalla scena fingendosi morto. Ma il bello deve ancora venire per lui.


The young actors Pietro Pescara (Oscar) and actress Jennifer Brokshi (Agata) acting during a scene L’uomo senza gravità, director Marco Bonfanti, Dop Michele D’Attanasio. Italy-Belgium 2019

The actors Elio Germano (Oscar) and Silvia D'Amico (Agata) acting during a scene L’uomo senza gravità, director Marco Bonfanti, Dop Michele D’Attanasio. Italy-Belgium 2019


La vicenda, divisa in fasi temporali, è una favola ancorata alla realtà che ripercorre 45 anni della storia personale del protagonista che muore e rinasce come l’araba fenice. Con garbo, con leggerezza appunto, si possono dire le cose bisbigliandole, perché in un mondo violento si può guardare la realtà più dura con gli occhioni teneri di Oscar e tutto può farti volare. Chi scrive è rimasto colpito da due aspetti tematici del film: la riflessione sull’identità maschile che passa per una nuova coscienza virile della propria vulnerabilità, finalmente accettata e metabolizzata, e una rappresentazione della televisione come metafora dell’apparenza. Se da un lato lo zaino simboleggia l’innocenza e la scuola che ci tiene ancorati alla realtà e con i piedi per terra ma anche l’amore (è legato ad Agata l’unica donna nella vita di Oscar che nella maturità è impersonata da Silvia d’Amico) il rosa, colore pop dell’ottimismo (la vie en rose) trasformato dai mass media nell’epitome del trash, rimanda a Dumbo ed è la risposta a un mondo pesante e aggressivo(qualche riferimento anche alla situazione politica attuale?). Oscar vuole volare ma tutti lo tengono giù, anche il suo agente, uno spregiudicato dottor Faust televisivo Vincent interpretato abbastanza bene da David Fedeli, che però rivela anche il suo lato umano. E veniamo al ruolo della televisione, altro fulcro tematico del film ambientato negli anni’80, l’epoca del Berlusconismo e della televisione rampante che azzera l’autenticità essendo solo ‘un bancomat che dà e toglie’. Dice Elio Germano del suo personaggio: “ Oscar non sa stare con i piedi per terra, ama scrivere, cerca di nascondere la sua diversità per essere accettato, e quando la mostra al mondo viene mercificato e la mercificazione è sempre una violenza, nel film grande sapienza registica e c’è una grande ricerca di semplicità dietro cui c’è però un lavoro complesso; io mi sono ritrovato appeso per ore a dei macchinari che il pubblico non potrà vedere, ma credetemi non è stato facile”. E la vita si sa è dura soprattutto per chi vuole affermare la ragione dei più deboli.


The actors Michela Cescon (Natalia) and Elio Germano (Oscar) acting during a scene L’uomo senza gravità, director Marco Bonfanti, Dop Michele D’Attanasio. Italy-Belgium 2019

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L’uomo senza gravità, director Marco Bonfanti, Dop Michele D’Attanasio. Italy-Belgium 2019

Segreti da star: le extension per le ciglia

Sono il segreto dello sguardo impeccabile di molte star, che le applicano soprattutto in vista dei red carpet più importanti. Parliamo delle extension per le ciglia, una tecnica arrivata dagli Stati Uniti. Si tratta di un’alternativa più naturale e meno invasiva delle ciglia finte a nastro o a ciuffetti, che spesso possono risultare fastidiose.

Si tratta di ciglia artificiali di elevatissima qualità leggere e soffici al tatto, che vengono applicate una ad una alle ciglia naturali con un adesivo assolutamente dermocompatibile, che rimane flessibile nel tempo e non si cristallizza.

Chi la sceglie? Dalle star come Penelope Cruz ad Angelina Jolie o Jennifer Lopez. Ma non solo, la loro praticità le fa scegliere anche da tutte quelle donne che vogliono uno sguardo perfetto a prima mattina, anche senza dover mettere il mascara.

Con le estensioni oltre ad enfatizzare lo sguardo possiamo correggere la forma degli occhi (così come si fa con il trucco) utilizzando diverse curvature e spessori nonchè diversi colori per enfatizzare l’iride dell’occhio.
C’è qualche indicazione particolare da conoscere prima dell’applicazione? Non c’è nessuna controindicazione a livello oftamologico, possono portarle tutti.


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Angelina Jolie


CIGLIA FINTE: TIPOLOGIE, COME APPLICARLE E GLI ERRORI DA NON FARE

Le ciglia finte sono la soluzione ideale per chi vuole avere in poco tempo uno sguardo intenso e occhi più grandi. Possiamo scegliere tra ciglia finte a nastro, a ciuffetti, ciglia finte naturali o dall’effetto drammatico con piume, strass ecc, per un “effetto wow” e ammaliante. E’ importante però scegliere quelle più adatte e applicarle nel modo giusto, evitando quelle imprecisioni che possono rovinare il risultato finale, e non solo in termini estetici: alcuni errori infatti possono rivelarsi pericolosi. la prima cosa da fare è scegliere ciglia finte professionali di buona qualità, utilizzando al ,massimo quelle economiche solo per le prime prove, e usarle per brevi periodi. Ma scopriamo di più sulle ciglia finte e come applicarle, per adoperarle al meglio senza correre rischi.


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Esempio di ciglia finte


CIGLIA FINTE: COSA SONO E TIPOLOGIE

Le ciglia finte sono costituite da piccole bande con peli molto sottili, realizzati in fibre sintetiche o naturali, e che vanno ad infoltire o ad allungare le proprie ciglia rendendole più spesse o più incurvate, a seconda delle esigenze. Il risultato finale è uno sguardo più profondo e affascinante che dona un tocco in più al nostro makeup.
In profumeria ne esistono due tipologie: le più utilizzate sono le ciglia finte a nastro o intere che seguono tutta la lunghezza dell’occhio: bisogna applicarle facendole aderire bene alla rima cigliare, adattandole anche alla lunghezza dell’occhio. Possono essere tagliate o incurvate, a seconda delle esigenze. Ci sono poi le ciglia finte a ciuffetto, si tratta di ciglia singole, molto più discrete, che si possono applicare nella parte esterna dell’occhio per un effetto allungante, oppure possono essere utilizzate per infoltire, andando a riempire i buchi che possono crearsi tra le ciglia naturali.


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Ciglia finte a ciuffetti


Esistono poi diverse varianti di ciglia finte, come quelle colorate con le piume, strass o addirittura magnetiche o a led per un effetto davvero stupefacente. Diciamo che le ciglia finte ad effetto naturale, più leggere e sobrie, sono quelle adatte ad un utilizzo quotidiano mentre, quelle più stravaganti sono l’ideale per una serata particolare in cui c’è l’esigenza o la voglia di stupire.

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Nella foto un esempio di ciglia finte colorate.


COME APPLICARE LE CIGLIA FINTE

Prima di applicare le ciglia finte “misuratele” sul vostro occhio ed eventualmente tagliatele, se risultano troppo lunghe: calcolate sempre una lunghezza minore rispetto quella del vostro occhio. Applicate poi l’eyeliner in modo da avere un tratto su cui poggiare le ciglia finte. Prelevatele con una pinzetta per sopracciglia e applicate alla base un velo di colla per ciglia finte, concentrandovi soprattutto sulle estremità e aspettate un minuto. Applicatele con l’aiuto della pinzetta partendo dall’estremità: partite dall’interno andando verso l’esterno con molta delicatezza: tenete sempre l’occhio un pò basso per favorire l’applicazione. Per staccare basterà poi tirarle via sempre con movimenti delicati, portando l’estremità verso l’interno. Il consiglio è quello di fare delle prove, prima di applicarle per un occasione: in questi casi utilizzate ciglia finte economiche per poi passare a quelle di qualità per l’utilizzo finale.


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Nella foto un esempio di ciglia finte a nastro


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Nella foto un esempio di ciglia finte a nastro con piume colorate

La favola Giap di Antonio Marras

La favola Giap di Antonio Marras

Di Enrico Maria Albamonte

“Ho voluto ricreare un ponte fra la mia terra, la Sardegna, e il Giappone attraverso la moda che è cultura, bellezza e artigianato. Ho scelto di sfilare al Teatro dell’Elfo perché qui ho compiuto la mia prima esperienza da regista di cui in questi giorni potete vedere gli esiti. Per la mia nuova collezione primavera-estate 2020 ho sviluppato il concetto del kimono ispirandomi alle stampe di Lucia Pescador e ai capi vintage orientali che ho sempre collezionato”, così Antonio Marras, lo stilista di Alghero famoso in tutto il mondo per il suo stile etno-chic, chiosa la sua ultima collezione femminile, affiancato dal figlio Efisio Marras che già disegna la linea più giovane dell’azienda. Più che una vera e propria sfilata quella di Antonio Marras è una performance teatrale, animata da ballerine e geishe dalle ipnotiche movenze che insieme alle modelle che sfilano sul palcoscenico formano suggestivi tableau vivants. I capi non si vedono in modo molto nitido ma sono sicuramente ricchi di soluzioni stilistiche di grande impatto e di sofisticata ricercatezza dalla vena glocal. Il nuovo nomadismo chic veleggia verso la favola giap della principessa Shiro innamorata del pastore Bangioi. Gli abiti fazzoletto si alternano al denim ricamato, i kimono di seta liquida scivolano piacevolmente sul corpo, alcuni completi sono in patchwork e alcuni calzoni pigiama sono ripresi alla caviglia, il rosa geranio si alterna all’azzurro più soave, il trench si avvicenda al completo tricot dai motivi geometrici, gli outfit in bianco e nero sembrano pennellati ad arte. Lampi di rosso e black per la sera che è il coronamento di una collezione complessa e fin troppo doviziosa dove il talento sartoriale e la sensibilità decorativa si stemperano nell’armonia compositiva, laddove il caos trova una ragion sufficiente nell’ordine intrinseco alla estetica magniloquente del grande creatore che ricordiamo con piacere come direttore creativo di Kenzo.

Il mood disco-glam de Le Piacentini

Il mood disco-glam de Le Piacentini

Di Enrico Maria Albamonte

Un diluvio di paillettes, un trionfo di spalmature effetto shiny, rasi lucenti, donne sensuali e globetrotter. La musa di Le Piacentini per la collezione di ready-to-wear primavera-estate 2020 disegnata dalle sorelle Alessandra e Francesca Piacentini è un’autentica falena che ama tutto ciò che luccica e disdegna le mezze misure. La collezione, giovane, fresca e iper glamour è giocata su gonne succinte o lunghe e ammicca ai favolosi anni’80. Quelli del leggendario Studio 54 di New York in cui lo stilista Halston e Andy Warhol si scatenavano nelle danze insieme a Bianca Jagger, Blondie, Liza Minnelli e Paloma Picasso. L’ispirazione nasce da una memorabile scena del cult-movie di Brian De Palma ‘Scarface’ in cui la splendida Michelle Pfeiffer, che vedremo al cinema in autunno nel nuovo capitolo di ‘Maleficent’ firmato Walt Disney, scende una scala fasciata da un provocante abito da sera a base di scolli abissali e spacchi ammalianti.



Ma nell’immaginario delle due designer romane c’è anche Farah Fawcett ai tempi delle ‘Charlie’s Angels’ e Sharon Tate, bellissima nei suoi completi sgargianti di satin giallo canarino. La collezione, ricca di tagli sartoriali, di languidi drappeggi e di dettagli smart come gli stivali a tacco alto in pelle bianca, è un inno alla gioia e si dipana attraverso una serie di giacche, pantaloni e gonne in paillettes da caveau, rese preziose da un diluvio di paillettes rebrodée con fili d’argento e perline molto glam rock.



Il capo must è l’abito più bodyconscious, presentato in molteplici versioni per sedurre e scandire il tempo delle donne dinamiche di oggi che viaggiano e lavorano senza rinunciare alla femminilità. I completi in denim metallizzato e in bouclé spalmato evocano un ologramma scintillante, il jersey e il raso più luminoso si declinano in capi dall’allure facile e contemporanea. Le Piacentini conferma la sua vocazione sartoriale con i ricami e i tagli arditi: le asimmetrie caratterizzano le tute sporty-chic e le bluse up-to-date. Molti capi sono fatti per valorizzare le donne dalla mattina alla sera grazie a una serie di key-items intercambiabili. Un guardaroba easy ma prezioso giocato sui più decisi contrasti cromatici: la palette alterna il rosa geranio al turchese e al giallo sole senza escludere il nero inchiostro più notturno e misterioso e un tocco di verde acqua. Un eveningwear destinato a una donna assertiva e seducente, romantica e un po’ gipsy nelle esuberanti mise sfrangiate boho-chic che definiscono un’anima nomade ma molto classy, assolutamente ageless.


L’erotismo emancipato di N.21

L’erotismo emancipato di N.21

Di Enrico Maria Albamonte

Asimmetrie, giochi di tagli sartoriali, colori squillanti o estremamente sommessi, linee fluide e calibrate ma anche morbidamente sensuali. La nuova collezione primavera-estate 2020 di N.21 presentata a Milano in via Archimede, nello spazio di Alessandro Dell’Acqua che oltre a essere direttore creativo di N.21 è anche stilista della maison Rochas, è un inno alla moda genderless: la sfilata è una co-ed, la prima realizzata in questa formula dal brand N.21. Il tema botanico dei primi exit, declinati sia al maschile che al femminile con il giromanica aperto ad asola sotto il braccio, cede lentamente il passo agli abiti drappeggiati per lei in rosa pallido e ad abiti in chiffon che diventano sottovesti quando perdono le maniche. Il verde smagliante in tonalità smeraldo domina le tuniche a rete ricamate di paillettes, il nylon stampato è virato in abiti paracadute, gli abiti da sera total black sono ornati da civettuoli nodi di lustrini e svelano la schiena nuda, le gonne plissettate sono metà in pelle e metà in chiffon. L’uomo, quasi sempre in bermuda, realizzati anche in materiali couture come il faille di seta lucido, sfoggia look rilassati e dégagé corredati da stivaletti, indossa camicie in cady con lunghi fiocchi e maglie spalmate di cristalli. Dice lo stilista commentando la sua ultima collezione: “Ho voluto una sfilata co-ed con le collezioni femminile e maschile perché mi interessa dare un’unità narrativa alla mia idea di moda. Credo che la Moda sia un concetto unico e globale e che soltanto chi indossa gli abiti che ne sono espressione la personalizza, cioè la rende del proprio genere e le trasferisce la propria personalità. E da questa convinzione è sempre partito il mio metodo di lavoro. Ecco perché la prima ispirazione di questa collezione è un senso di erotismo che si emancipa dalle espressioni esclusivamente sessuali e diventa un mezzo per parlare con il corpo. Ed ecco anche perché ho disegnato degli abiti uguali per la donna e per l’uomo, senza cadere nella trappola del no-gender ma facendo incontrare i due generi –femminile e maschile -nell’intreccio continuo delle referenze delle linee, dei volumi e dei tessuti”. E sicuramente la collezione corrisponde alle intenzioni dello stilista napoletano.


Il soft tailoring di Brunello Cucinelli

Il soft tailoring di Brunello Cucinelli

Di Enrico Maria Albamonte

Eleganza mannish dal sapore vagamente rustico e artigianale e silhouette lineari e minimali caratterizzano una collezione contrassegnata da un soft tailoring d’ispirazione naturale, secondo la visione umanista e sostenibile di Brunello Cucinelli. La primavera-estate 2020 del marchio umbro del lusso dedicata alle donne di gusto e alle nuove gentlewomen sarà scandita dalle righe che si inseguono nei gessati e nelle maglie matelot mentre il knitwear, cavallo di battaglia dell’imprenditore-filosofo, acquista una nuova, limpida freschezza grazie al lino. Anche i moderni effetti sparkling accolgono i capricci e le irregolarità del lino per assumere naturalezza anche negli aspetti più sofisticati. Armature diagonali, gabardine, cover e drill mitigano il loro aspetto maschile grazie a nuance rosate, a interventi di organze trasparenti, di georgette vibranti e di delicati plissé per divenire interpreti di un’atmosfera lussuosa e di un vestire sofisticato. Le ispirazioni dagli anni ’90 si traducono in un messaggio minimal, lineare e simmetrico: tessuti diagonali, gabardine di cotone e lana in varianti neutre o colorate, superfici lisce, filati regolari, righe marina e capri o gessati di ascendenza maschile. Jersey compatti per abiti dalle scollature ampie e silhouette sagomate che evocano l’espressione della femminilità propria di quegli anni. Twill di lino corposi, anche effetto rafia, si alternano a soffici e croccanti popeline e a denim tinti dalla mano crêpe. Lo scenario più rustico e naturale esalta il fascino dell’irregolarità. Il feel organico dei midollini viene tradotto in lavorazioni a intreccio e rete su pelli e filati. Disegnature esotiche e floreali create da ricami di fibre vegetali, piccole cannutiglie o monili ammorbidiscono le linee più formali dei tailleur e delle giacche doppiopetto. Giacche dalle spalle importanti, con cintura che evidenzia il punto vita o dritte in versione doppiopetto, propongono un look sartoriale ma dal carattere decisamente disinvolto. Gessate, colorate, dalle superfici mosse e vissute, sono sempre facilmente combinabili in tailleur.