Il dramma dell’alienazione in Dogtooth di Yorgos Lanthimos

Il dramma dell’alienazione in Dogtooth di Yorgos Lanthimos

Spiazzante e minimale, approda nelle sale italiane dal 27 agosto l’atteso film ‘Dogtooth’ dell’acclamato regista greco Yorgos Lanthimos. Premiato a Cannes con ‘Un Certain regard’ e candidato all’Oscar come miglior film straniero, il film distribuito dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti, arriva sugli schermi con undici anni di ritardo e promette il massimo della ferocia dissacrante e surreale di cui un geniaccio come Lanthimos, che ha già scalato le vette del gotha del cinema con ‘La favorita’ e con ‘Lobster’, è assolutamente arbitro e padrone.

Una famiglia molto bizzarra vive segregata in una villa blindata da un’alta recinzione. Solo il crudele e assertivo patriarca, vero e proprio padre padrone imborghesito, può uscire e rientrare indisturbato mentre la moglie e i tre figli devono subire i diktat del despota sadico che li costringe a vivere sotto una campana di vetro, al riparo da pericoli e presunti rischi del mondo esterno. Quando però il padre cerca di soddisfare i crescenti bisogni sessuali del figlio adolescente procurandogli una ragazza, Christina, la quiete claustrofobica e artificiosa all’interno dell’imperturbabile famiglia borghese sembra lacerarsi.

Immersa in un bagno di luce pallida e lattiginosa e avvolta in un set minimalista ed estremamente epurato dal decorativismo grafico ma barocco ammirato nell’opulento ‘La favorita’, la pellicola riporta l’accento sui grandi temi di punta della weltanschauung del cineasta greco: la solitudine, la libertà, il lutto, la famiglia, l’oppressione, l’incomunicabilità. E lo fa con un linguaggio asciutto ma pregnante, spesso lapidario, che affida a inquadrature taglienti e a fotogrammi spezzati il compito di definire la storia conferendole carattere e tensione drammatica.

Le scene carnali sono spesso pervase da un’algida visione dell’erotismo, esacerbato in forme spesso geometriche e astratte che esaltano la forza semantica dei dialoghi sempre improntati a una trasgressiva ironia mentre la provocazione e la ribellione all’ordine sociale serpeggiano in ogni scena ammantate di verecondia puritana e borghese. All’apparente pauperismo di set e costumi non corrisponde la ricchezza contenutistica del plot solcata da lampi di rabbia e di schizofrenia dettati da un controllo maniacale di gesti e comportamenti, laddove l’olimpica armonia del nucleo familiare che apparentemente nulla potrebbe scalfire, viene profanata da improvvisi scatti di violenza che evocano il clima di repressione in cui i membri della famiglia si trovano a vivere soggiogati e inermi, interpretati da Christos Stergioglou e Michele Valley(i genitori) e da Hristos Passalis, Mary Tsoni e Angeliki Papoulia (figli).

Il cinema di Lanthimos non è dedicato a chi è delicato di stomaco né a chi detesta le distopie linguistiche ed eidetiche, bensì a chi apprezza un cinema autoriale ricco di interessanti sfaccettature che si rivelano allo spettatore nel prisma di una critica lucida e paradossale della società e di una disamina puntuale ed eloquente dei drammi interiori dell’individuo. Chi scrive ha colto alcune assonanze, magari non esplicite né volute dal regista, con Bergman e Von Trier, con una vena surreale e grottesca che richiamano il migliore Bunuel. Ottima prova e sicuramente un ennesimo successo per Occhipinti che a quanto pare non sbaglia una mossa nella selezione di registi e opere dall’indubbio valore artistico, anche se in fondo, e questo è pacifico, non si tratta di un film per tutti.

“Same but different”, il brand di cosmesi che ci ricorda quanto è bello essere uguali nelle nostre diversità

Non tutti i mali vengono per nuocere” recita un vecchio proverbio, niente di più vero per raccontare quello che il dolore, ingrediente fondamentale (purtroppo) per realizzare cose grandi e nobili, ha instillato nella mente di Massimiliano Minorini, fondatore di “Same but different”.

E’ “Same but different” il frutto di questo dolore, una voce sul mondo che vuole urlare la nostra unicità ma anche la nostra uguaglianza. “Uguali ma differenti”, rispettarci accettando le diversità altrui, grande dono e mezzo d’ insegnamento per tutti. Vittima di abusi e bullismo, Massimiliano Minorini ha avuto il grande cuore e il grande coraggio di realizzare qualcosa per tutti, un mezzo tangibile e fruibile a chiunque, ma carico di significato, che in fondo è un messaggio di amore e di rifiuto della violenza e dell’inutile odio. 

Same but different” è il brand di Minorini, che ha un passato d’eccellenza nel settore della cosmesi: art director di Pupa per diversi anni, ha poi collaborato con Aqua di Parma, Cesare Paciotti, Replay, Naj Oleari Beauty, Merchant of Venice come creator campagne e prodotti. 

Il fondatore decide, con questa linea beauty, di aiutare il Centro Nazionale contro il bullismo, BULLI STOP, a cui verrà devoluto parte del fatturato

Massimiliano Minorini, fondatore di “Same but different”


Same but different” è differente sul serio, perchè si compone di una linea di profumi che possono essere miscelati tra di loro, senza per questo risultare sgradevoli, anzi, dandosi forza e carattere a vicenda, proprio come succede tra esseri umani. Una bella metafora!

Oltre ad una coloratissima palette ombretti, con pigmenti glitterati e irriverenti, per serate speciali, per brillare di luce anche al buio, una Shine On Baby! con dodici colori perlati, metallizzati e cangianti di tutti i colori dell’arcobaleno.

I prodotti “Same but different” si trovano sul loro sito www.samebutdifferent.it

“Amami se hai il coraggio”, il film di Yann Samuell

Due bambini con problemi da grandi: lui una mamma con un cancro, lei un’immigrata derisa ed emarginata. Come chi soffre si cercano dandosi forza e allontanando il peso della sofferenza con il gioco: fanno scommesse bizzarre dal ridicolo fino a al crudele. Si passano di mano in mano un barattolo di metallo che rappresenta una giostra, chi la possiede deve pagare una sorta di penitenza: presentarsi con mutande e reggiseno sopra i jeans ad un esame, dire parolacce a lezione, fare pipì davanti al preside, tirare schiaffi ai fidanzati di turno, e poi, poi arrivano i sentimenti, poi si cresce e il gioco si fa duro, ed è allora che il riso diventa ghigno.

Farsi male con la scusa del gioco non è poi differente da quello che succede in banalissimi rapporti; “Amami se hai il coraggio” (Jeux d’enfants) di Yann Samuell all’esordio nella regia, viene additato come surreale e sciocco quando, a pensarci bene, rappresenta molto più da vicino le difficoltà di comunicazione che hanno gli incompresi. 

Julien e Sophie sono tra questi, due animali feriti, due anime sole che vorrebbero leccarsi a vicenda le ferite e invece per difesa non fanno che farsi male. Se Sophie diviene gelosa lo sfida a duello, perchè a esprimere la propria debolezza si perde il gioco. Se Julien capisce d’amarla sposa un’altra, perchè prende la palla, e di rimbalzo Sophie si allontana per 10 anni. 

Farsi male è il loro grido d’aiuto, il loro destino solitario e imperituro; si strazieranno stracciandosi il cuore, sempre nell’attesa dell’altro, del suo ritorno, fino a quando la possibilità della morte li mette davanti all’evidenza dell’amore. E’ allora che si prometteranno di non lasciarsi più, e sarà davvero per sempre, uniti corpo a corpo sotto una montagna di cemento.