SARÀ HILLARY L’AMERICA DOPO OBAMA?

Nel lungo – per molti critici troppo lungo – passato politico di Hillary Rodham Clinton ci sono stati molti momenti difficili. A cominciare dall’essere transitata in gioventù nelle fila repubblicane addirittura come una fan e un’attivista di Barry Goldwater, probabilmente il più reazionario di tutti i candidati repubblicani sulla scena politica americana. Crescendo é diventata un brillante avvocato, si è sposata con Bill governatore dell’Arkansas e ha dovuto affrontare scandali devastanti. Donna di grande intelligenza e carattere, dotata di eccezionali capacità professionali e un’ambizione smisurata si è trovata al centro prima di un intrigo d’affari, di potere e di morte (il suicidio di un suo socio e collaboratore), poi dello scandalo provocato dall’avventura del marito presidente con una stagista della Casa Bianca. In entrambi i casi seppe reggere e governare la furia degli eventi esuperare l’umiliazione pubblica ricominciando da capo e risorgendo al successo. Senatrice di New York e poi segretario di Stato negli ultimi anni si accinge ora a competere per la Presidenza. Ha alle spalle vent’anni di scena pubblica e politica e appare come il personaggio politico più esperto e più accreditato, una democratica sostanzialmente non molto diversa da un repubblicano moderato, una donna determinata come un uomo molto determinato.

Tuttavia non credo che la sua campagna sarà una passeggiata e non solo per la presenza in queste elezioni della più estremista delle correnti conservatrici, quei tea-party della destra americana che non le daranno tregua sfruttando ogni ombra del passato e ogni umana debolezza passata, presente o proiettabile nel futuro di un presidente.

Per la sinistra del suo partito Hillary è troppo legata all’establishment economico, mediatico, di potere; per i repubblicani non solo è l’ex first Lady del fortunato e scandaloso Bill, ma soprattutto la prima autrice della odiata riforma sanitariapubblica che solo Obama riuscirà a portare a un controverso risultato.

Già, quell’Obama che la sconfisse e che per riunire il partito le offrì – volente o nolente – la Segretaria di Stato, l’equivalente americano del nostro Ministero degli Esteri. Come atteggiarsi con l’eredità di Obama? Se Hillary prende troppo le distanze da un presidente amato e respinto rischia di allontanare i suoi seguaci e i suoi ammiratori che hanno vinto nel 2008 e nel 2012 rinnovando la costituency democratica, la sua base elettorale con una coalizione fatta di neri, ispanici, donne, poveri, gay mobilitata a un sostegno elettorale attivo e a una impressionante raccolta fondi via Internet che sbaragliò le ricche donazioni dei milionari repubblicani. Se, viceversa, Hillary sarà troppo coerente e in continuità con Obama ne erediterà anche l’immagine d’incertezza e, a detta dei suoi nemici, di ritirata dai fronti caldi e di rassegnato pacifismo in politica estera. Sul piano economico viceversa i successi di Obama segnano una strada utile e percorribile anche per Hillary se Hillary vorrà mantenerla.

Tradizionalmente, negli USA, nessun partito ha mai conquistato un terzo mandato presidenziale consecutivo, ma c’è sempre una prima volta e, sempre, a fare la differenza in uno scontro diretto è la personalità dei candidati.

Hillary e il suo staff sono certamente consapevoli di tutti questi fattori e condizionamenti e opportunità divergenti. Aver deciso di annunciare la candidatura non con un big event politico e spettacolare con le grandi personalità democratiche e un corteo di stars holliwoodiane, ma con un umile annuncio su YouTube è già una scelta caratterizzante: il mezzo è il messaggio e usare YouTube significa scegliere al posto delle grandi catene televisive la forma di contatto e di comunicazione più umile, più semplice e più diretta, più individuale e più di massa. Mi sembra un buon inizio proprio perché contro corrente rispetto allo stile dei Clinton un po’ troppo provinciali, un po’ troppo benestanti, un po’ troppo piacioni. Allora chi o cosa, al netto di candidati competitivi che ancora non ci sono, potrà insidiarla davvero?

“Guardatela, è brutta e vecchia, mica possiamo passare i prossimi quattro anni a guardare le sue rughe che si infittiscono e scavano solchi sempre più profondi sul suo viso”.

Fu l’ultimo argomento, nel 2007, della propaganda repubblicana contro Hillary Clinton, prima donna candidata alle primarie democratiche per conquistare la presidenza degli Stati Uniti d’America. L’argomento della giovinezza e dell’avvenenza che se ne vanno fu usato da un giornalista mediocre e fazioso commentando una foto impietosa della ex first Lady colta al termine di una massacrante giornata di campagna elettorale, quando lo sfinimento ti rifà i connotati. Oltretutto un argomento così subdolo può essere efficace solo se rimane non detto, subliminale. Diversamente, se lo si urla, se si infierisce, se si strumentalizza un attimo di défaillance fisica ed estetica si ottiene l’effetto contrario. Come chi si accanisse su un portatore di handicap finirebbe col suscitare una reazione indignata contro se stesso e un sentimento di compassione e di solidarietà verso la vittima. Insomma, attaccarsi all’età e all’aspetto dell’avversario può risultare impopolare e controproducente. Sembra chiaro, quasi ovvio, almeno finchè restiamo sul piano razionale. Tuttavia, sull’inconscio di massa, bombardato dalla pubblicità di corpi scultorei e di volti radiosi come dall’assordante, insignificante chiacchiericcio in cui siamo immersi quell’argomento cosi politicamente scorretto e così umanamente sgradevole qualche effetto lo può avere ancora come l’ebbe nell’ormai lontana competizione del 2007. Hillary aveva sessant’anni e il suo volto per un momento trasmise tutta la fatica e quasi l’intollerabilità fisica ed estetica di uno stress prolungato.

Da allora, da quell’episodio, sono passati otte anni, gli anni di Obama che nelle primarie del 2008 sconfisse Hillary e la macchina elettorale dei Clinton. Da oggi, giorno dell’annuncio della sua nuova candidatura, passerà un altro anno e mezzo tra primarie democratiche ed elezioni presidenziali.

Al momento sembra non avere nel suo partito rivali in grado di impensierirla. Ma anche nel 2008 partì favorita rispetto ad Obama che molti consideravano un candidato impossibile. E, comunque, anche se Hillary vincesse le primarie del suo partito e diventasse la candidata presidente inevitabilmente, inconsciamente, non pochi elettori si chiederanno con quale volto, con quale energia, con quale resistenza alla fatica e allo stress nervoso una donna non più giovane guiderà la nazione più potente del mondo.

Negli ultimi ventiquattro anni tre presidenti – Clinton, Bush, Obama – hanno trasmesso un’immagine di giovinezza, di energia, di disinvolta supremazia sulla fatica mentre quella foto ha inciso un’immagine di fragilità e scoperto un punto debole della determinatissima Hillary.

Un punto debole che gli otto anni in più renderanno più evidente.

Un messaggio insidioso che non va sottovalutato né frainteso.

Non è più tanto una questione di estetica, né di età, né di genere. In Germania, in Brasile, in Argentina hanno vinto, hanno governato e governano con piglio robusto donne meno avvenenti della Clinton. Quel che l’istantanea invecchiata di otto anni ha fissato ed esasperato, quel che resta impresso nella memoria non è un inestetismo: è qualcosa di molto più insidioso é l’immagine di un cedimento.

La civiltà dell’immagine esige che tu sia sempre sorridente e, soprattutto, sempre in forma: il prezzo del successo non fa sconti. Se fossi nel team elettorale della Clinton mi preoccuperei di prevenire ed allontanare un rischio simile, il rischio di un nuovo cedimento, prima che un sondaggio onesto o disonesto la diano per perdente. Ormai lo sappiamo: i sondaggi possono aggravare lo stress, lo stress può peggiorare i sondaggi.