The Lobster di Yorgos Lanthimos, ovvero il sistema dell’amore

Nei giochi si assumono dei ruoli, ci si attiene a delle regole, discrete oppure ostentate, si entra in un sistema che per una durata imprecisa arbitraria vi estrae da un ambiente, ritenuto reale, e vi cala in un altro, ritenuto fittizio, una versione parziale esasperata del primo, a volte. Un film si presta al gioco, non che debba divertire rassicurante, anche la sofferenza breve lancinante può rientrarvi, forse per suggerire che le allusioni che promuove non sono del tutto innocue, ciò che lo rende esilarante è la precisione disinibita provocatoria delle semplificazioni che adotta.


The Lobster di Yorgos Lanthimos, ovvero il sistema dell’amore


Una tra le tante, farvi credere che siete osservatori estranei del gioco, come se non ne faceste parte, per poi lasciarvi intendere, troncando ogni dubbio, che ci state dentro, fino alla gola, e se avete riso, fin a quel punto, riderete un po’ meno. Se non avete mai giocato al sistema dell’amore, e può essere che lo crediate prima di aver visto The Lobster, di Yorgos Lanthimos, allora uno dei ruoli principali, a titolo gratuito certo, vi attende, perché è dedicato proprio a voi, e non è quello del lascivo analista di una abietta negazione del cuore umano, della denuncia a forti tinte di un autore che tratta il disinganno rabbioso e sfiduciato del cuore umano.


Quanto di caustico, potenzialmente deprimente e malvagio, di freddo artificio pianificato per farvi irritare, c’è in questo film, scuote un nervo anestetizzato, di sicuro, la vostra, nostra mitologia adagiata del sentimento genuino trasparente, ma non vi lascia senza vie d’uscita, anzi ve ne apre come di rado può accadere, ovviamente in un finale che a niente vale anticipare, proprio perché dipende solo da voi. Il sistema dell’amore, cui credete, forse, di non prendere parte, è quello coercitivo e, dato l’argomento, paradossale, in cui la più scrupolosa regola da seguire, assoggettati a pene e ricompense, è quella dell’accoppiamento premeditato, dell’anima gemella obbligatoria.


The Lobster di Yorgos Lanthimos, ovvero il sistema dell’amore


Certo, paradossale, e il gioco proprio per questo si fa esilarante ed eloquente, perché, ci si chiede, come si può ridurre l’amore a una pratica di scelte binarie condizionate, ossia, come lo si può riassumere, in una ossessione di senso e definizione, a lo stare insieme a qualcuno, e quindi ricevere gratificazione, inservibile in quanto si è costretti a ipocrite strategie di accoppiamento, o non lo stare insieme a qualcuno, e quindi ricevere punizioni degradanti definitive. Tra le punizioni che potremmo elencare, una la principale, nel film, è il bando categorico letterale dalla società, la regressione all’animale che preferiamo, l’aragosta, in questo caso, per Colin Farrel, protagonista sovrappeso e remissivo, fino all’ultimo, prima di cedere allo spettatore la soluzione finale, se esiste. Fare dell’amore una scelta, che è chiaro così divenga solo una tattica di sopravvivenza sociale riconosciuta e stimolata allo sfinimento, di certo vuol dire collegarlo ad un retroscena di timori radicato su cui neanche vale la pensa di insistere, e di fatti il film asetticamente lo evita, dandolo per acquisito, come un umore fondamentale del reale, ossia lo spettro panico della solitudine come vergogna primaria.


Ma è solo un gioco, in cui le mezze misure sono abolite, in favore di quello che è stato accuratamente rimosso, il terzo escluso, potremmo dire, che sempre si sottrae alla forzatura della scelta predefinita, in questo caso falsamente aperta sullo stare o meno con qualcuno, e da un gioco, si sa, è una regola implicita, ci si può sempre sfilare, senza dover ingrassare la contabilità dei vincitori e degli sconfitti.


Un film da tenere accanto, non che lo si debba vedere in rapida successione, per meglio intendere The Lobster, è Twentynine Palms di Bruno Dumont, dove l’amore, di una coppia, viene spaccato traumaticamente in pezzi, quasi ridotto in poltiglia, in una accelerazione orrida di violenza visiva, per mostrarne il fatuo mostruoso. Se nel primo il grottesco si dipana in favore di possibilità che il sistema precludeva, non riuscendole mai a scongiurare fino in fondo, in quest’ultimo a prevalere è una sentenza disperata che lascia i nervi tormentati, senza alcun sollievo. Da sconsigliare, quindi, la visione in coppia, specialmente se avete altri programmi dopo il film.