Persistenza dei pregiudizi

Il pregiudizio è un giudizio dato prima, cioè espresso a prescindere dall’esperienza. Esso è, nel suo aspetto negativo, un errore di valutazione.


È chiaro come un simile tema occupi tutta la storia dell’uomo, in modo particolare la storia della filosofia. Essa, infatti, altro non è che la ricerca della verità ultima su tutti gli esseri: perciò il primo problema che la filosofia deve affrontare è se e come la mente umana possa giungere a una conoscenza oggettiva delle cose, ad una conoscenza che si esprima in un giudizio e non in un pre-giudizio. Alcuni filosofi, poi, hanno fatto del pregiudizio l’oggetto esplicito del loro studio: il più famoso tra loro è Francis Bacon, che si colloca alle origini del pensiero moderno. Lo stesso atteggiamento antipregiudiziale vale per le scienze matematiche, per le scienze umane e, in genere, per ogni conoscenza che tenda a superare il livello della superficialità.


Al campo del pregiudizio sono riconducibili alcuni concetti e sfumature psicosociologiche. Tra questi si evidenziano i concetti di stabilità e di abitudine, di aggregazione, partecipazione, arbitrarietà, condizionamento, avversione, conflitto e ostilità, interesse consolidato, consenso, educazione, opinione, imitazione, linguaggio, organizzazione, propaganda, polarizzazione, interazione e via dicendo.


Persistenza dei pregiudizi


È ovvio che molti di questi aspetti esprimono dei significati di grande importanza per la vita delle persone. Quello che non è valido è l’assolutizzazione acritica di questi aspetti a discapito di altri non meno importanti. Il bisogno di appartenenza, ad esempio, è certamente positivo; a esso si collega il desiderio, anzi l’esigenza, di essere accettati dagli altri, di ricevere stima e anche affetto, di comunicare agli altri la nostra presenza. Tutto ciò va benissimo. Ma diventa un dis-valore quando è assolutizzato: in tal caso il soggetto rischia di diventare uno schiavo del suo ambiente. È necessario, allora, dare voce alla capacità di prendere posizione “contro corrente”, affermando altri valori, quali la libertà personale e il rispetto dei fatti.


Il pregiudizio, in definitiva, consiste in un processo, non di rado rozzo e tenace, di semplificazione della realtà messo in atto da un gruppo sociale e utilizzato in modo più o meno consapevole anche dai singoli individui. Il ricorso a un tale processo svolge una funzione prevalentemente difensiva, poiché assicura il mantenimento di posizioni acquisite. La condivisione sociale e la generalizzazione appaiono dei corollari del processo pregiudiziale, inteso come un dinamismo socio-culturale.


Eppure, nonostante l’immenso sforzo della cultura e delle culture di liberarsi del pregiudizio, vediamo come esso ritorni costantemente a influenzare il ritmo della vita. In tutti i momenti del cammino umano siamo costretti a prendere atto della persistenza di opinioni ingiustificatamente sfavorevoli circa le persone appartenenti a un determinato gruppo sociale, opinioni che non restano isolate in un ambito teorico ma producono comportamenti e determinano scelte di tipo discriminatorio.


La questione femminile è uno dei campi d’indagine privilegiato per osservare il fenomeno del pregiudizio. Anche la moderna civiltà occidentale, con tutto il suo enorme progresso, appare, agli occhi non solo di sociologi e psicologi ma anche del comune sentire, ancora come una società maschilista. Basterebbe pensare già soltanto al linguaggio: la parola “uomo”, ad esempio, continua a indicare sia l’umanità in genere sia l’umanità maschile, cosa che non accade con la parola “donna”; e ciò vale per molte situazioni dove il genere maschile è usato per indicare entrambi i sessi.


Se in Occidente si assiste almeno a una progressiva presa di coscienza di queste contraddizioni culturali, in molte altre aree del pianeta la condizione della donna continua ad essere ancora molto insoddisfacente: all’origine di un mancato raggiungimento dell’effettiva parità, notiamo il permanere del pregiudizio antifemminile. L’Occidente stesso, però, appare molto indietro se, al di là degli aspetti formali e giuridici, si considera l’effettiva presenza sociale della donna: i mass-media quotidianamente offrono il modello di una società in cui appare, per dirla con Bruno Mazzara, «il maschio dominante e orientato all’esterno; la femmina dominata e ripiegata su se stessa e sulla casa».


Non di rado i pregiudizi legati ai ruoli attraversano la storia, permangono e spesso si rafforzano, si radicano nelle coscienze e nelle strutture, assumono forme grossolane o più sottili ed eleganti, ma sempre condizionano la vita delle persone e delle comunità.

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