CRONACHE VINTAGE – IL TURBANTE: L’ORIGINE, GLI USI, LE DIVE

È giunto il momento per me di dedicare un po’ di questo spazio a un accessorio che definirlo vintage è quanto mai riduttivo: sto parlando del turbante. Da patita di storia del costume, ho sempre sfogliato le pagine di libri che mi raccontavano della vita di donne carismatiche, originali, eccentriche, le quali indossavano questi copricapi con una disinvoltura che invidiavo. Il suddetto oggetto misterioso accresceva il loro fascino, le rendeva “diverse”… dovevo averlo!


Il turbante è stato avvolto tante e tante volte, ha ricoperto tanti e tanti uomini e donne, che la sua storia sembra quasi infinita, tanto quanto tutta quella stoffa che lo ha reso popolare.

Giunse in Europa, tra il XV° e il XVI° secolo, per mezzo dei Turchi che lo chiamavano tulbent (termine che a sua volta deriva dal persiano dulband). Ma in oriente solo gli uomini lo indossavano (peraltro, io ho il feticcio degli uomini col turbante!). Una volta approdato nel nostro continente, le donne lo hanno voluto e se lo sono preso (e il vizio di rubare dal guardaroba di lui divenne una consuetudine!).


All’inizio del Novecento, quel gran genio di Paul Poiret non solo liberò le donne dal busto per restituirle ad un abbigliamento più comodo (grazie a dio!), ma riformò la moda investendola di quel gusto esotico che lo rese celebre: kaffettani e kimono, tuniche e calzoni alla turca e turbanti. Poiret ne adornò il capo delle sue modelle e delle sue fedelissime clienti, impreziosendolo con piume, perle e pizzi. D’altro canto, le influenze estetiche dei paesi lontani non erano casuali, dal momento che nel 1909 si esibirono per la prima volta a Parigi i Balletts Russes: gli allestimenti e i costumi di Sherazade o di Le Dieu Blue ispirarono non solo Poiret, ma l’arte, la moda, la vita dei parigini e degli europei. E io vorrei tanto una magica macchina del tempo per farmi catapultare direttamente a casa dell’artista parigina di cabaret Gaby Deslys, per prendere un te con lei mezze ignude e con in testa un bel turbantone!


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Peggy Guggenheim in Paul Poiret, Man Ray


Gaby Deslys


 Il turbante divenne poi parte del look dei gloriosi anni ’20, insieme ai capelli alla maschietta, al trucco vivace e agli abitini charleston: ecco a voi la flapper-girl, la cui silhouette slanciata doveva essere giustamente proporzionata da copricapi non voluminosi.


Kiki de Montparnasse in “Violon d’ Ingres”, Man Ray, 1924


Fu poi la volta degli anni ’40, e di una su tutte: Elsa Schiaparelli. La stilista che stravolse nei termini dell’irriverenza la moda internazionale, non poteva non indossare o fare indossare i turbanti in abbinamento alle sue note mise stravaganti.


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Elsa Schiaparelli


Più in generale, durante questo periodo l’austerità della guerra invogliò le donne a coprirsi la testa con cappelli e turbanti eleganti ed estrosi: un modo con cui ovviare alla semplicità delle vesti o al fatto di non avere i mezzi economici per curare i capelli, che così venivano sapientemente nascosti (lo faccio anche io, quando ho un tornado per la testa). La scrittrice femminista Simone de Beauvoir ne fu una fervida indossatrice e finì con l’esserne fedele fino alla fine dei suoi giorni.


Simone de Beauvoir


E ancora, i turbanti delle eleganti donne della buona borghesia degli anni ’50, copricapi che arricchivano ulteriormente mise estremamente femminili, dalle gonne a ruota ai vitini da vespa ai guanti, al trucco evidente e il turbante non faceva altro che esaltare i visi decoratissimi delle LADYLIKE di quegli anni.


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Turbanti, 1959


Siamo giunti, a questo punto, ad una fase storica per questo oggetto che un’immagine su tutte può sintetizzare al meglio:


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Nel ritratto qui in alto, la modella, Marina Schiano, indossa un abito della collezione “anni ’40” di Yves Saint Laurent. La schiena si intravede grazie ad una profondissima scollatura coperta da pizzo nero. Sul capo, un turbante di velluto molto voluminoso nel quale sono raccolti i capelli. Il collo è nudo. Il risultato è sofisticato e sensualissimo. Impariamo, ragazze, impariamo!


La donna, fra i ’60 e i ’70 fu colei che nutrì un gran desiderio di ribellarsi alle autorità, della famiglia, della chiesa, dello stato, battendosi per un mondo migliore, aderendo così ai vari movimenti di contestazione indossando un abbigliamento “trasandato”, ma fu anche colei che che apprezzò l’avvento del prêt-àporter, di quei meravigliosi vestiti del supremo Yves, che proprio nel 1976/77 propose la celebre collezione russa: “voluttuosi vestiti ricamati, galloni dorati, passamanerie, boleri decorati…” e turbanti (“La moda, Il secolo degli stilisti, di Charlotte Seeling per Konemann). Le influenze esotiche, i rimandi a Paul Poiret sono evidenti, la sua grandezza risiedeva nel contagiare le donne al punto da renderle delle eclettiche  hippy di lusso. YSL sempre sia lodato!


Collezione russa, Yves Saint Laurent
Collezione russa, Yves Saint Laurent


Infine, negli anni ’80, la donna indossò il fascinoso copricapo accostandolo al noto power dress dell’epoca. “Dressed for success”, sembravano esclamassero queste nuove abitanti della giungla urbana, agguerritissime nel tentativo di imporsi in un mondo, quello professionale, fatto di uomini, indossando giacche dalle spalle importanti e pantaloni, ingraziandoli con accessori femminei.


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In conclusione, il turbante risulta un accessorio da sempre utilizzato e mi piace credere che un po’ sia per un desiderio comune alle donne di evadere, di immaginarsi in posti lontani, dalla Russia all’India all’Africa: la mia testa viaggia e con un turbante in testa lo fa molto di più!

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