Il caso Fortuna e le colpe degli degli adulti

Sono giorni che “va in onda” il caso di Fortuna, e la prima cosa che suona stonata sono “le parole” della cronaca, parole scelte per farci meno male.
Fortuna è una bambina ammazzata (usiamola questa parola) perché – dopo tante altre volte – si sarebbe rifiutata di subire un nuovo stupro (usiamo anche questa di parola), invece di “sarebbe morta” e avrebbe “subito violenza”. 
Perché se no non si capisce, se no è troppo blando, ovattato, quasi neutro e quotidiano.


Invece no, questa bambina è stata uccisa, ammazzata, buttata giù da un balcone, perché si sarebbe rifiutata di essere ancora una volta stuprata.
Ecco, quando abbiamo compreso questo, ci viene in mente la fragilità dei bambini, la loro debolezza ed incapacità di opporsi. E invece no, è tutto il contrario. E vediamo come.
Questo delitto tocca noi adulti: adulto lo stupratore probabile omicida, adulti la madre, la nonna, i vicini, che si dovevano adoperare per la sua cura e tutela, adulti tutti coloro che si sono dati da fare alacremente non per difendere un bambino (come ci si aspetterebbe) ma per “coprire” quello che definiamo fiabescamente “l’orco”.


Ma quale orco? Gli orchi esistono nelle favole, semmai. Questa è la realtà.
Linguaggio troppo duro? Ci fa male alle orecchie? Ci disturba la cena che consumiamo guardando il telegiornale? Facciamocene una ragione. Perché noi non siamo bambini. Quelli sì vanno protetti.
Ma io andrei oltre, perché questo linguaggio pacato e ovattato, in realtà ci serve.
Serve a proteggere noi, la nostra comunità e collettività di adulti. Se non ad assolverci quanto meno a concederci attenuanti. Perché?


Perché questa drammatica e tragica vicenda è sociale e non giudiziaria. E che nessuno si sogni di renderla psichiatrica. Questa è una tragedia sociale, sociologica e collettiva.
Ci mostra una realtà di adulti coesi e compatti “contro” i bambini, che vengono educati a proteggere e coprire le malefatte, le bugie, i crimini e i delitti degli adulti.
Ci mostra come una nonna, una mamma, un vicino di casa – tutti adulti – possano cooperare per far sì che per anni ciò che avveniva venisse nascosto e coperto, e che per i bambini quella roba lì fosse anche naturale e normale.

Ci mostra come noi, come società di adulti, possiamo non vedere, accettare, tollerare. Perché non vedere è tutto questo. Anche quando ci diciamo che non succede “da noi”, e ci auto assolviamo perché “non potevamo sapere”. E quando pensiamo che “la causa” sia “il degrado socio culturale di quel quartiere”.
Ci mostra – di fronte a tanta enorme nostra debolezza – che i più forti siano i bambini. Quelli ammazzati perchè si rifiutano. Quelli che “vorrebbero parlare” e si mettono contro la nonna che gli dice di non farlo quelli che – portati lontano – parlano, raccontano, descrivono. Consapevolmente.
Per qualcuno è come assistere ad un mondo alla rovescia, dove i bambini sanno quello che è giusto e sbagliato e dicono la verità, mentre gli adulti alterano la verità, e con un mondo di omertà “giocano” a coprire le proprie malefatte.


Non è così. È proprio il mondo che è così.
E questa storia facciamo fatica e resistenza a raccontarla per quello che è, con le parole giuste e necessarie. Perché questa storia abbatte il muro delle nostre certezze, prima tra tutte quella del nostro essere “i forti” mentre i deboli sono i bambini.
A Fortuna, ai suoi coetanei, noi dobbiamo molto. La loro storia rompe questo velo e ci svela quello che siamo, la nostra fragilità, impotenza, incompiutezza, incapacità e inadeguatezza.
Facciamo gli adulti e prendiamone atto. Non fa male. Aiuta a crescere.