Il Pd e lo psicodramma da primarie

In origine doveva essere lo strumento di modernizzazione e caratterizzazione del Partito Democratico. La via per selezionare e far crescere una classe dirigente, per la scelta dei candidati, per ascoltare e recepire forze ed energie dai territori, dalle storie locali, dalla sempre evocata società civile.
Oggi questo strumento ha più le sembianze della sempreverde notizia di gossip politico di cui parlare, e spesso sparlare, finanche per attaccare e ridicolizzare la partecipazione democratica del partito erede dei “grandi partiti di massa” del novecento.
Mentre a livello nazionale le primarie sono state il momento attraverso cui si è celebrato il rinnovamento del partito, e senza le quali da Renzi a Civati a Marino a tanti giovani deputati non avrebbero avuto nemmeno la possibilità di emergere e vincere, sotto Roma questo cambiamento non solo non si è visto, e anzi lo strumento delle primarie è stato riciclato per consolidare, con sporadiche eccezioni, la vecchia classe dirigente.


Eppure dovremmo ricordare che fu l’allora giovane segretario provinciale del Pds, Andrea Cozzolino, che anzitempo, per superare un’impasse a Ercolano, propose le primarie interne per la scelta dei candidati. Sarà per questo che ancora oggi ne è un tale fan che non se ne perde una.
Le primarie, al sud, e in particolare in Campania, sono finite con l’essere lo strumento più patologico per misurare le alleanze correntizie e i rapporti di forza interni, senza consentire la minima possibilità di un qualsiasi nome non contemplato.
La classe dirigente dal primo Antonio Bassolino non ha alcuna novità. I nomi che emergono sono gli stessi da oltre venticinque anni. Andrea Cozzolino, Umberto Ranieri, Antonio Bassolino, Vincenzo De Luca. Dietro di loro la stessa classe dirigente che era “il nuovo” venticinque anni fa e che ricordiamo assessori e dirigenti proprio in quegli anni: Valeria Valente, Massimo Paolucci, Graziella Pagano. Accanto a loro i vari Manfredi, Impegno, Marciano: una generazione che non ha sostituito la vecchia, e che di certo le persone oggi faticano (non poco, purtroppo anche per loro) a vedere come “il nuovo”. Nonostante l’età e i tempi.


A ben vedere oggi le primarie non le vogliono coloro che attendono una candidatura blindata decisa altrove, in una sorta di rendita di posizione. Non la vuole “la maggioranza”, che con le primarie rischia di vedere messa in discussione una certa leadership. Non se le possono permettere coloro che aspirano a ruoli da assessore e che probabilmente non avrebbero preferenze sufficienti nemmeno per diventare consigliere comunale. La parola d’ordine per costoro è “cercare un’intesa, ascoltare, riflettere, trovare soluzioni unitarie…” che si traducono nell’accordarsi oggi per il ruolo di domani.
Quello che emerge è un partito che parla nelle sue stanze, tra persone che ricordano un potere di un’altra era geologica. Si risponde con il citare Renzi, il cambiamento, la svolta, le riforme. Ma quando vai nel merito di un progetto per il territorio, e poni il tema di chi dovrebbero essere gli assessori, su quale programma e per fare che cosa, emerge tutto il vuoto di non avere una visione politica di insieme. Tipico di chi – non più abituato ad essere opposizione – ha perso anche questi cinque anni per ripensare autocriticamente se stesso e formulare una proposta politica credibile e veramente alternativa. Tempo perso in inutili rancori, spesso personali, in personalismi, caccia alla rendita di posizione ed all’auto riciclaggio, e qualche volta a leccarsi le ferite.
Ad oggi il pd non ha un candidato e non ha un percorso chiaro per individuarlo, e ancora una volta si cerca la strada di una scelta calata dall’alto, ennesima pietra lapidaria su una classe dirigente sempiterna.


De Magistris ha un suo zoccolo duro non inferiore al 20-25%. Il Movimento 5 Stelle ha un suo bacino abbastanza solido non inferiore al 20-25%. Il centro destra unito ha il suo storico, consueto 35-37%. Ciò che resta è il Pd. Meno qualche punto percentuale ad una sinistra con cui non si vuole né può alleare. E meno le sempre presenti liste civiche, candidati di opportunismo e opportunità, varie ed eventuali.


Le primarie, vere, aperte alla società civile, con una classe dirigente che per una volta con senso di responsabilità facesse un sacrosanto passo indietro, alla ricerca di qualcosa di diverso, sarebbero la via per trovare non solo un’alternativa credibile a De Magistris ma soprattutto per riprendere un dialogo tra politica e città che si è perso da troppo tempo. Ma il vero avversario a tutto questo è proprio la stessa classe dirigente del pd, nel suo insieme. Se ne facessero una ragione.