Landgrabbing – la guerra mondiale per il cibo

Decidere di parlare di landgrabbing è un’operazione complessa. Un tema troppo spesso relegato a dibattiti marginali tra ambientalisti e ambienti no-global.
 In realtà questo tema può essere considerato l’inchiesta delle inchieste sulla geopolitica mondiale: un filone organico che unisce industria, finanza, multinazionali, conflitti locali, ambiente, cibo, emigrazione, migrazione di massa e forzata, e anche traffico d’armi e terrorismi. 
Il lavoro organico, complessivo, durato oltre un anno di ricerche e riscontri, lo trovate qui. Con annesse tabelle e dati, e cartine, e schede di approfondimento.



Quella che sta avvenendo è la più imponente operazione di invasione e colonizzazione della storia dell’umanità, che farebbe impallidire le mitologie su Genghis Khan o le manie di grandezza di Hitler, ma che non teme nemmeno la concorrenza storica del colonialismo dei secoli scorsi. Non è un’esagerazione, soprattutto se consideriamo che mentre quei fatti e fenomeni storici avevano delle “bandiere chiare”, ovvero si sapeva più o meno esattamente chi attaccava chi e quali aree occupava, oggi quest’aggressione è “senza Stati e senza bandiere”.


Interessi geopolitici.
I conquistatori di oggi sono grandi multinazionali e fondi comuni di investimento che hanno azionisti, proprietari, investitori transnazionali, che hanno poco a che fare con ragioni e interessi geopolitici. Soggetti cui non è possibile chiedere o imporre risarcimenti di guerra, che non hanno sottoscritto alcuna convenzione di Ginevra né hanno obblighi di rispetto di diritti umani o sono interessati a ricostruzioni di qualsiasi tipo. Rispondono solo ed esclusivamente a logiche di profitto. Maggiore è la differenza tra costo di acquisizione e ricavo dalla vendita del bene prodotto, maggiormente è soddisfatto l’interesse delle aziende. Può sembrare una visione cinica o radicale, ma è un concetto economico “neutro”: è la regola del “comportamento sociale” delle multinazionali, e va intesa come chiave di lettura unica per comprendere davvero quello che sta accadendo.
 Gli analisti hanno definito questo fenomeno come land grabbing, più o meno “accaparramento di terra”, ovvero l’acquisto o la locazione a lungo termine di estensioni terriere da parte di investitori stranieri. Il fenomeno emerge con forza alla fine del 2006, a seguito di un improvviso shock dei prezzi che fa impennare vertiginosamente il Food-Index mondiale, ovvero l’indice di borsa sui prezzi degli alimenti agricoli primari (grano, riso, cereali…).


I contratti sottoscritti.
Si scopre così grazie al lavoro di alcune Ong che mettono insieme i dati rilevati individualmente, che nel solo 2006 sono stati sottoscritti (quelli conosciuti) 416 maxi contratti di “accaparramento di suolo” in 66 paesi del mondo (quelli monitorati) per complessivi 87 milioni di ettari di terre coltivabili. Per intenderci sulla portata ci basta fare un paragone: l’intera superficie coltivabile italiana è inferiore a 17 milioni (considerando anche orti, giardini e parchi pubblici).


Come sono strutturati i contratti di land grabbing?

Per non far risultare le terre nel proprio patrimonio “tassabile”, vengono prese in locazione per periodi da 50 a 99 anni direttamente dagli Stati, senza tener contro di diritti di proprietà o di uso delle comunità locali. Questi contratti prevedono inoltre il pieno ed esclusivo utilizzo di tutte le risorse sottostanti e sovrastanti la terra. Questo comporta, ad esempio, che venga concesso un breve lasso di tempo alle popolazioni locali per lasciare la propria terra e portare via i propri beni, dopo di ché tutto quello che insiste su quel suolo diventa di proprietà delle aziende locatarie. Ma questo significa anche che senza un limite contrattuale, qualsiasi sia la coltura che quell’azienda decide di impiantare in un determinato appezzamento, può disporre di tutta l’acqua che ritiene, senza alcun limite e senza versare alcun canone aggiuntivo.


Si tratta di terreni ricchi di risorse idriche?

Le tensioni nel sud-ovest dell’Etiopia mostrano l’importanza fondamentale di accesso all’acqua nella corsa alla conquista globale. Dietro l’attuale corsa alla terra, c’è in realtà una vera e propria guerra mondiale per l’acqua. Coloro che si stanno accaparrando oggi grandi quantità di terra, sanno bene che il vero guadagno di lungo periodo è l’accesso alle risorse idriche, spesso incluso gratuitamente e senza alcuna restrizione, e che tale valore è certamente maggiore di quello stesso dei terreni agricoli. Pochi paesi in Africa hanno ricevuto più interesse verso i propri terreni agricoli rispetto a quelli serviti dal fiume Nilo (Egitto, l’Etiopia, Sud Sudan, Sudan e Uganda).


Quant’è l’acqua effettivamente disponibile?

Il Nilo resta un’ancora di salvezza ed è già una fonte di notevoli tensioni geopolitiche aggravate dai numerosi grandi progetti di irrigazione nella regione, con il risultato che il fiume che un tempo forniva acqua dolce al Mediterraneo ora invece è invaso nel suo delta dall’acqua salata proveniente dal mare, minando la produzione agricola. Per portare i territori in produzione dovranno essere irrigati e la prima domanda che ci si dovrebbe porre è proprio se ci sia abbastanza acqua per farlo. Ma nessuno di coloro che sono coinvolti nelle offerte dei terreni, siano essi gli accaparratori di terra o quelli che le terre le offrono, sembrano aver dato peso alla questione. L’Etiopia è la fonte di circa l’80% delle acque del Nilo. Nella sua regione di Gambela al confine con il Sud Sudan, aziende come Karaturi Global e l’Arabia Stars stanno già costruendo grandi canali di irrigazione che aumenteranno enormemente la capacità di prelievo di acqua dal Nilo da parte dell’Etiopia. Questi sono solo due degli attori coinvolti in una serie di azioni che consumeranno risorse idriche e minerali pari a nove volte il consumo annuale.


C’è un nesso tra land grabbing e instabilità politica?
Sì, anche se pochissimi lo ammettono. Molto spesso questa instabilità è generata e finanziata dalle multinazionali proprio come strumento di pressione per concludere i propri affari, o dalla corruzione necessaria per chiudere gli accordi, o il sorgere di movimenti “di liberazione” spontanei è dovuto proprio alle spinte migratorie dovute alla cacciata di intere popolazioni da terre che prima hanno occupato da millenni pacificamente. Contestualmente possiamo vedere che nelle regioni chiave dei paesi maggiormente aggrediti da questo fenomeno sono stati individuati dall’intelligence focolai non meglio qualificati etichettati genericamente come jihadisti e qaedisti. In corrispondenza di quelle aree strategicamente nevralgiche, sono state posizionate altrettante basi militari, ufficialmente legate ad Africacorps, ma con personale e mezzi americani, spesso con notevoli appalti affidati ad “imprese private”.


Chi garantisce la produzione in territori potenzialmente ostili?

Oggi gli Stati Uniti mantengono in Africa un numero sorprendente di basi. La ragione ufficiale è “aumentare le capacità operative” degli eserciti africani, ma questa espressione nasconde molto di più. Alle forze americane si affiancano come secondo contingente internazionale i francesi. Le loro forze in Africa sommano a circa 5 mila militari in una decina di basi.


Terra, acqua, cibo: quali prospettive ci riservano i prossimi anni?
L’economia ci insegna che il prezzo di un prodotto aumenta se la domanda di quel prodotto aumenta, ed è quello che è avvenuto e che avverrà in futuro per il cibo: una progressiva e, per certi versi, inesorabile accelerazione della domanda alimentare dovuta principalmente alla crescita della popolazione mondiale che prevedibilmente è destinata a passare dai 6 ai 9miliardi di individui entro il 2050. Considerato che già oggi una quota consistente degli abitanti del nostro pianeta soffre di scarsità di cibo ed acqua è facile prevedere che nei prossimi decenni le forniture alimentari diverranno sempre più scarse e sempre più costose. Se non verranno messe a punto innovazioni tali da aumentare e/o razionalizzare la produzione di cibo e quindi la coltivazione dei terreni, cosa probabile ma non certa, la situazione già difficile potrà diventare in futuro tragica.