Intervista a Marta Grassi, chef del ristorante Tantris, una stella Michelin

Ci si chiede com’è possibile che una così potente forza sia concentrata in una donna così piccina. 
Marta Grassichef del ristorante Tantris di Novara, una stella Michelin, è l’esempio vivente che desideri e forza di volontà sono i gradini per arrivare lontano. Il successo, la stella Michelin e ventisei anni di attività per il Tantris di Novara, ristorante stellato che propone una cucina creativa di qualità e sostenitrice del territorio
La incontriamo per un’intervista poco prima del secondo lockdown. 

Quando è iniziata la sua avventura nella ristorazione? 

Fino ai trentacinque anni ero insegnante di scuola materna all’asilo nido, un lavoro che amavo ma da cui trasparivano dinamiche difficoltose (molti bambini e pochi finanziamenti) e talvolta monotone. 
Per quattro o cinque anni ho cercato nel tempo libero dei corsi di cucina, difficili da trovare in provincia; è in quello di Milano che ho avuto la spinta a continuare, dal mio insegnante. Avevamo dei compiti a casa, piatti da ricreare dove mettevo del mio, allungavo cotture, inserivo ingredienti; per partecipare alle lezioni prendevo dei giorni di ferie senza riferirlo alle colleghe e intanto organizzavo grandi cene a casa mia, con amici e tavola imbandita, salmone farcito in crosta e torte al cioccolato servite su piatti specchiati. Mio marito Mauro, che ora è in sala al Tantris, lavorava ancora in un’agenzia viaggi; sul book grigio di Lufthansa ho creato il mio ricettario, per non proporre mai lo stesso piatto e cimentarmi in qualcosa di nuovo, di più difficile. 
E’ un percorso che abbiamo fatto insieme, lui avvicinandosi al vino, grazie al fondatore di Vinarius Francesco Vivian, grande enotecaio di Novara, io alla cucina. 

Che tipo di clientela ha il Tantris?

Novara, cittadina dove siamo, ha una cultura risparmiatrice, contadina, oggi per il centro solo franchising e poca tradizione. Novara rientra nella lista di uno studio sui luoghi dove non aprire attività; oltre a Novara, Rimini e Brescia. Da Brescia la gente si sposta alle località vicine, più belle, come il Lago d’Iseo e la Franciacorta; Rimini invece è conosciuta per la qualità buona ma a basso costo, a Rimini ci si accomoda in una pensione, non in un hotel a cinque stelle, è una città per giovani e famiglie. Novara invece ha una predominanza di cittadini âgée, di risparmiatori, quindi la clientela viene da fuori, da Milano, dalle grandi città o estera, una clientela che comprende gli sforzi e lo studio di una cucina come la nostra, dove nel piatto raccontiamo una storia, un luogo dove vivere un’esperienza. 
E poi noi abbiamo un cliente simpatico e fidato che torna da anni, il cliente che possiede lo scontrino numero 1!

I suoi piatti hanno sempre un richiamo al territorio ma rielaborati in chiave moderna e creativa

Quando ho aperto il ristorante mi sono raccomandata di una cosa, e cioè di non cucinare mai la paniscia, che è il piatto tipico novarese. Perchè? Perchè è una pietanza da trattoria e osterie, non mi ci identifico e soprattutto il cliente novarese avrà sicuramente la mamma o la zia che la faranno meglio di me. 
Ho deciso quindi di dare sì luce ai prodotti locali, ma di inserirli in una cucina contemporanea, moderna. Compro le mele piemontesi anziché quelle del Trentino dall’aspetto lucido e intonso, perchè sono buone e aiuto i produttori locali; la stessa scelta per il riso, le zucche e i polli, dove siamo leader nel settore. 
Lo spostamento della merce inquina, e cerco di fare scelte intelligenti e sostenibili, ma se opto per il pomodoro lo prendo da Napoli, perchè è un pomodoro nato senza serre, che non ha bisogno di antimuffe e antifunghi grazie al clima dove nasce, che invece sarebbero necessari in un territorio umido come quello di Novara. 

Da dove trae ispirazione per i suoi piatti? 

Ero in un luogo di montagna, esattamente in Svizzera e passeggiavo in mezzo a dei bellissimi pini, profumatissimi: subito ho pensato che avrei dovuto farne qualcosa. 
La prima parte di crescita del pino ha degli aghi verde acceso e molto teneri, ho creato un risotto con i funghi, con tante contaminazioni, e l’ho terminato con una polvere di aghi di pino che ho raccolto lì, fatti essiccare e frullati, così il mio piatto oggi, che è ancora nel menu degustazione, ha quel profumo di bosco che mi piace tanto. Ecco, la natura mi ispira

Lei ha lavorato da Marchesi dove Davide Oldani era secondo sous-chef e Carlo Cracco stava ai dolci insieme a Ernst Knam, tanti grandi nomi in una sola brigata



Marchesi ha lasciato un’eredità culinaria inestimabile, ha chiuso una pagina di storia e quell’esperienza mi ha molto commosso e al tempo stesso fatto riflettere. Chiudeva allora in Via Bonvesin de la Riva un maestro, un artista, un innovatore, penso a lui in questi momenti di difficoltà quando il telefono non squilla e la sala è vuota, e so come ci si poteva sentire. 
Sono i momenti in cui si è soli con se stessi, ma si è soli anche quando si ottiene la stella e si tocca il cielo con un dito. 
In cucina? Cracco e Knam si facevano degli scherzi terribili!

Come ha fatto Marta Grassi, oltre ad avere un indubbio talento, a farsi strada nella ristorazione? 

L’Europa è oggi la regione geografica che ha più donne stellate, tante ragazze talentuose, ma in quanto donna, in questo settore così come in tanti altri, bisogna valere il doppio per essere ascoltata. Non nascondiamoci, viviamo ancora in un paese patriarcale e maschilista, con una percentuale molto bassa di donne al governo e dove il Papa è e rimarrà maschio. 
Una sera lavoravo, insieme ad altri colleghi, ad una cena di solidarietà dando indicazioni precise e svelte ai ragazzi in cucina, e uno di questi colleghi si è stupito di come fossi organizzata e preparata, che io mi chiedo dove sta lo stupore dato che, come tutte le donne, gestisco famiglia, lavoro, dipendenti, casa…  
Mi viene in mente un esempio italiano in cui una donna viene bistrattata nonostante abbia un passato lodevole e meritevole di elogi, quello della politica Laura Boldrini, presa di mira su temi più fragili quali la famiglia, sul personale; gli uomini sanno sempre dove colpire, e quando colpiscono la famiglia, lo fanno al cuore

Cosa mangia uno chef in vacanza?



Affitto sempre una casa e cucino tutti i giorni, perché se vado all’estero so che troverò prodotti nuovi, tante tipologie di pesce fresco come le sarde locali, le alacce, le aguglie, piccoli pesci pescati e venduti in piccoli mercati, dove in Italia non ci sarebbe richiesta. Se vado in Francia so che potrò assaggiare dieci tipi di ostriche differenti, quando i miei fornitori ne hanno solo tre, quindi è un viaggio di gusto in solitaria, testo i sapori in quel territorio e cucino per me e mio marito, non posso portare qui dei prodotti che terrei per poco tempo in menu: se un cliente contento torna con un amico, dovrà trovare gli stessi gusti che lo hanno colpito, non posso cambiarli. E poi ci piace stare a tavola per due o tre ore, un regalo in confronto ai dieci minuti che abbiamo quando siamo in servizio. 

Mai senza…

Il mio coltello! 
Ho le mani piccole e voglio coltelli affilati; durante i pranzi di Natale a casa di mio padre porto sempre il mio coltello per il taglio della faraona; anche la pinzetta chirurgica non manca mai, per spinare il pesce; è una pinza usata per clampare le vene, me l’ha portata un amico chirurgo: se afferro una spina con quella, non mi scappa più! 

Si descriva in cucina con tre aggettivi

Agile, la fortuna di essere piccole.
Curiosa, è la mia caratteristica peculiare, devo conoscere tutto e approfondire. 
Frettolosa, forse come tante donne impegnate, faccio una cosa e ne penso cento e in quell’istante non mi soffermo sul presente, e me ne dispiaccio. Ma è anche il prezzo da pagare dell’essere multitasking.

Piatti preferiti

I lievitati. La pizza, che deve essere super; il pane, e il croissant della Pasticceria Frida di Magenta

In cosa si sente più portata in cucina? 

Paste lievitate e pani. Anche se in molti mi dicono che sono brava nei dolci; ma se sul tavolo ho un pezzo di cioccolato e una fetta di salame, io mi fiondo sul salame!

Un palato pretenzioso come il suo, dove sceglie di mangiare, fuori dalla sua cucina? 

Se decido per la pizza, ah sono noiosissima! Ma ho trovato il luogo perfetto, la pizza perfetta: Pizzeria dell’Angolo di Vittuone, dove lo chef Giuseppe Rizzo nobilita le farine usate e le lunghe lievitazioni; ottima la materia prima, olio e mozzarella molto buoni; insieme allo chef ho tenuto delle lezioni sui lieviti, mia grande passione, a Identità Golose, il primo hub internazionale della Gastronomia
Se voglio essere stupita non c’è confine che tenga, prendo un aereo e volo da Amparito Roca, a Madrid, oppure a San Sebastian da Arzak, due dei 3 stelle Michelin dalla cucina innovativa e spettacolare; in casa nostra abbiamo Spazio Niko Romito, piatti semplici ma deliziosi: seppie con i piselli, filetto di manzo con aromi, funghi con patate, agnello arrosto, sono sapori unici e le cotture sono molto curate, inoltre apprezzo il lavoro etico (no scarti e sprechi, team affiatato), e quello si vede anche dal piatto.

Durante il primo lockdown alcuni ristoranti hanno opzionato un delivery con costi accessibili, voi come avete reagito alle chiusure? 

La mia cucina in un lunch box non ci può stare, non posso permettermi di vendere sottocosto, abbiamo però recuperato denaro facendo personalmente dei lavori al ristorante: imbiancato, pulito, rifatto le piastrelle in cucina, cambiato le tende, aggiustato i pannelli solari, insomma abbiamo risparmiato cinquemila euro e abbiamo impegnato il tempo, non male in questo periodo. 

Qual è stata la risposta del pubblico alla riapertura dopo il primo lockdown? 

Un’ondata di persone che comprensibilmente avevano voglia di un ritorno alla vita sociale, il locale è ben predisposto per il distanziamento dei tavoli e i tavoli stessi hanno cento centimetri di diametro per il posto da due, e centoventi centimetri per le prenotazioni da tre. Abbiamo lavorato bene fino all’8 agosto, data di chiusura, poi il rientro è stato difficoltoso, la gente è spaventata, persino gli allievi dei nostri corsi, quelli che arrivano da zone di alto contagio come Milano, sono premurosi nei confronti degli altri ed evitano di presentarsi per paura di contagiare. E’ una situazione surreale, delicata e molto difficoltosa e i primi a risentirne commercialmente sono i ristoratori. 

Un consiglio alle donne che vogliono intraprendere questo mestiere

Siate forti e non lasciatevi scalfire, puntate a un obiettivo e andate avanti. 
Quando lavoravo da Marchesi saltavo i pasti perchè ero lenta, lavoravo tanto e potevano anche essere poco gentili con me che tanto avevo la corazza e un grande scopo: guardare e imparare più che potevo, rubare il mestiere. 
Se non si hanno le idee chiare, si brancola nel buio e si rischia di perdere tempo; questo è un mestiere di grandi sacrifici, soprattutto quando l’attività è propria; noi abbiamo aperto con un piccolo fondo che erano le nostre liquidazioni dei lavori precedenti e siamo andati avanti grazie al forte sentimento che ci lega, una grande fortuna fare questo viaggio in due. 


Quando le hanno annunciato della Stella Michelin, se lo aspettava? 

Eravamo ancora in sala per il servizio, erano le undici di sera, squilla il telefono e una voce di ragazzo ci dice “Lavoro per Iaccarino, sapete chi è? Avete ottenuto la stella”.
Io subito chiamo mio marito “Mauro, qui c’è un cretino che dice che abbiamo avuto la Stella Michelin”. E dall’altra parte giurava fosse vero, insomma a quel tempo erano quattro giornalisti in croce a decidere le stelle, pochi critici e niente Internet. 
Lo abbiamo riferito ai clienti ancora in sala e la mattina abbiamo pensato “E se fosse uno scherzo, che figura ci facciamo? Non diciamolo a nessuno”. Decisi poi a scoprire la verità abbiamo chiamato la Michelin e ci ha risposto una segretaria, forse stufa degli infiniti trilli telefonici, sento il rumore delle pagine sfogliate: 
Sì, l’è vero, qui c’è un fiorellino”. 
(ride) 

Marta Grassi, chef del ristorante Tantris di Novara, una stella Michelin

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