Antonio Marras si racconta attraverso le sue opere alla Triennale di Milano

Lo conosciamo tutti in qualità di stilista, anche se lui stesso non ama definirsi un designer di moda, bensì “uno che fa abiti, anzi stracci, pasticci“.

E’ Antonio Marras, sardo doc, che veste questa volta i panni dell’artista, esponendo alla Triennale di Milano un lavoro di 500 opere oltre a installazioni.

Un racconto fatto di disegni, ritagli, collage, stoffe, appunti, creazioni fatte a mano, dove il lavoro umano è parte fondamentale del percorso creativo.

Antonio Marras raccoglie i suoi pensieri su carta, abbattendo la timidezza forse, come lui stesso dichiara, e aprendo i cassetti delle immagini della sua vita. Un percorso meditato a lungo, a tratti sofferto, ma che ci ha permesso di sbirciare un poco nella vita di un grande stilista, che porta in passerella non solo “abiti”, come tende a sottolineare, ma idee molto forti, linguaggi che emozionano, toccano, portano spesso a riflettere. (Qui la collezione primavera-estate 2017 alla Milano Fashion Week, che ha come tema l’indipendenza degli stati africani dalla colonia francese).

Si viene accolti da un gregge di giacche e camicie appese, passaggio obbligato per poter accedere alla mostra, tutte rigorosamente uguali con un campanaccio da bovino legato al fondo. Ci si chiede se sia il desiderio di riportare un’esperienza sensoriale che ricorda la sua amata terra, la Sardegna, e i rumori degli animali che pascolano, o semplicemente ci sta dicendo che siamo tutti dei pecoroni perché vestiamo allo stesso modo senza distinguerci.

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Delle grandi figure di pezza raggiungono il soffitto, ricordano un Giacometti di stoffa; appunti e scarabocchi più volte rielaborati, sono disposti sotto campane di vetro, dove spuntano ossessive le lunghe unghie laccate di rosso, ricorrenti nelle immagini rappresentate da Marras, uomini che urlano, squali dalle fauci spalancate.

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Frequenti le immagini che raccontano la masturbazione femminile, accompagnata da una sorprendente parete ricoperta da animali in peluche. Un feticcio? Gli stessi animali che ritroviamo morti, appesi, sgozzati in un angolo della sala, un ricordo delle abitudini contadine isolane.

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Antonio Marras disegna da sempre, da sempre da’ sfogo alla sua nevrotica creatività, un caos che deve sfociare “per evitare di pagare lo psicologo“, ironizza. Un passato da dislessico, il bambino Marras si rifugiava nelle poesie e nella fotografia, sperimentando negli ultimi anni la pittura ad olio.

La sua mania? Raccogliere oggetti vecchi per ridargli una nuova vita. E’ così che lavora nel suo studio, passando attraverso 5 lunghe tavole di legno che raccolgono i più disparati elementi recuperati per caso, nei suoi lunghi e numerosi viaggi – e nel pieno della creatività li assembla, li mischia, li colora. Ed ora hanno un nome:
Nulla dies sine linea“, il titolo della mostra, “nessun giorno senza disegnare”, frase di Apelle riportata da Plinio il Vecchio.

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La donna è musa e figura inquietante nelle opere di Marras, una donna il cui corpo si mostra senza veli, spesso sanguinante durante il periodo mestruale; sono lolite, sono adolescenti, sono adulte, tutte dalle unghie laccate di rosso. Donne a tratti fragili, donne che subiscono le violenze del marito, così come ci racconta il tema sulla paura di un bambino di pezza, nell’aula sarda del baccano, la maestra dal forte dialetto che sgrida gli alunni e i loro musi animali.

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Porte chiuse, aperte, passaggi, spiragli, è come se ad ogni passo si entrasse in una fase della vita dell’artista, un nuovo mondo, e si arriva a quello maturo e consapevole del piacere sessuale, una stanza chiusa chiamata “Le relazioni pericolose“. La stanza delle provocazioni, bocche affamate, donne e uomini che ostentano il proprio sesso, Les liaison dangereuses all’ultimo stadio, più che un Laclos, un de Sade.

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Ma le manìe di Marras non finiscono, nemmeno i più profondi timori delle malattie, e della dipendenza di dipendere da qualcun altro. Come lo racconta? Incorniciando lo schizzo che fece il neurologo sulla malattia della madre e la benda di sutura sporca di sangue relativa all’operazione della moglie Patrizia.

Un tratto erotico alla Schiele, una linearità asciutta alla Giacometti, ma una mano inconfondibile che è quella dello stilista, Antonio Marras, che non smette di stupirci, che ha raccontato – lasciando parlare le sue debolezze, le sue paure, le sue ossessioni – i colori della sua infanzia, i profumi della sua terra, le relazioni umane, senza risparmiarsi.

La Triennale di Milano – dal 22 ottobre 2016 al 21 gennaio 2017
Antonio Marras – Nulla die sine linea
a cura di Francesca Alfano Miglietti

LA TRIENNALE
Viale Alemagna 6
02 724341
info@triennale.org
www.triennale.org

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