Il PD e il disastro di Napoli

“Il bug è la città di Napoli. Non esiste un problema Campania. Esiste un problema Napoli. Il Pd a Napoli non riesce a vincere. Nella prossima direzione del Pd dopo i ballottaggi, farò una proposta commissariale molto forte per Napoli”. 
È questo il commento di Matteo Renzi, premier e segretario del Pd.
Verrebbe da chiedersi tuttavia dove sia la novità, visto che il dato era ampiamente previsto. Da molti, ma non da tutti. Ancora una volta non da quei dirigenti che vedono Napoli da Roma, con i filtri delle proprie percezioni, troppo spesso confuse con i propri desiderata.
E infatti negli ultimi giorni si era rincorsa la voce del sorpasso, dell’accesso di Valeria Valente al ballottaggio, e finanche di un calo di De Magistris.


La realtà, quella vera, racconta invece una classe dirigente in balia della guerra tra bande tra fazioni e capibastone che ha faticato non poco a sciogliere il nodo delle candidature nelle municipalità e che per un soffio ha evitato la debacle di non presentare liste in quartieri come Barra e Fuorigrotta, roccaforti democratiche, se ha ancora un senso dirlo.


Oggi si parla di voto di opinione, senza ammettere che si è tentato quello che è riuscito a De Luca: mettere insieme tutto, anche quello che insieme non sta, pur di strappare quel guizzo di voti per arraffare un ballottaggio. Quel De Luca – che Cozzolino avrebbe dovuto battere sino a due giorni prima alle primarie – che ha vinto non di quei millantati otto punti percentuali, ma di circa 40mila voti. Come a dire grazie alla lista personale di Michele Pisacane, per esempio.


Operazione non replicata in una città in cui il Pd è sempre stato tra il 16 e il 20% e che anche stavolta è riuscito a frammentare in tante civiche parte del proprio patrimonio elettorale, scivolando all’11%. Più che partito della nazione siamo ai livelli una lista civica qualsiasi.
”Il PD a Napoli mostra di essere un corpo del tutto estraneo alla città. Fatto di dirigenti semi sconosciuti, politici seguiti solo dai loro fedelissimi ed un nugolo di candidati arruolati nella speranza di una impossibile affermazione. Un Partito dopo cinque anni di inerzia totale, tenuto insieme a forza e senza alcun progetto.” questa l’analisi, tanto impietosa quanto lucida di Enrico Pennella. E non si può non condividere l’idea che non possono pensare di candidarsi a ricostruire il Pd napoletano quanti sono stati i responsabili di questo disastro. 
E tuttavia andrebbe anche chiarito, definitivamente, che questo Pd, così com’è, più che ricostruito va rifondato dalle basi, perché si connota sempre più come un contenitore di piccoli interessi localistici e bacini di voti di basso cabotaggio in balia di interessi particolari di pochi soggetti, che francamente ormai contano pochissimo. Meno di trentamila preferenze. Avere ancora un inutile timore reverenziale a “tenerli dentro” senza censure è masochismo più che scelta politica.


Ed è un Pd che non è nemmeno utile alla città, perché conta poco, rappresenta pochissimo, elegge chi ha dato un contributo irrisorio, e spesso non qualificante, anche se lo valutiamo nel semplice ruolo di consigliere. Critiche che spesso muoviamo ai cinque stelle e che quando accade andrebbero mosse nello stesso senso a tutti.


Il colpo di grazia lo darà la scelta tra le tre possibili, e tutte tombali, indicazioni: appoggiare De Magistris dopo e nonostante le tante cose dette; appoggiare Lettieri, altrettanto dopo le tante scelte politiche dichiarate, o peggio di tutte il “non dare indicazioni”, abdicando definitivamente qualsiasi idea di possibile leadership. Un cul-de-sac in cui il Pd ci si è messo da solo, e che l’attuale dirigenza non può esimersi da assumere su di sé.


I miracoli sono altrove. In quel Lettieri che riesce a non perdere nonostante tutto e nonostante se stesso e lo sfascio nazionale del centrodestra. In quel De Magistris che riesce a tenere insieme voto di protesta (rubandolo anche ai cinque stelle) voto a sinistra, i vari delusi dalla scarsa offerta politica altrui, e voto di governo. Chapeau.