IL GRANO E LA GRAMIGNA

«Perché» – si chiedeva il “rivoluzionario” Martin Lutero nella prima metà del Cinquecento – «le bambine cominciano a camminare e a parlare prima dei maschi?». E, in un probabile sghignazzo generale, rispondeva: «Perché la gramigna cresce sempre più in fretta del frumento!».

Ma abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

Se un rivoluzionario si esprimeva così, il “conservatore” San Giovanni Crisostomo, nel 380 d. C., aveva dichiarato: «Che altro è la donna se non un nemico per l’amicizia, una punizione del cosmo, un male necessario, ecc.».

Uno potrebbe pensare: forse è il cristianesimo a produrre una tale mentalità?

Macché!

Sentite Pitagora, sei secoli prima di Cristo: «Esiste un principio di bene che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo e un principio di male che ha creato il caos, le tenebre e la donna».


IL GRANO E LA GRAMIGNA


Un altro potrebbe obiettare: ma si tratta del pensiero di tanti secoli fa!

Magari!

Sentite cosa scriveva il 7 febbraio 1915 (dunque non nei secoli bui dell’alto medio evo) il liberale e modernista New York Times, circa la proposta di un suffragio universale aperto anche alle donne: «Accordare il suffragio alle donne ripugna all’istinto che affonda le sue radici nell’ordine naturale. È contrario alla ragione umana, spregia gli insegnamenti dell’esperienza e le ammonizioni del senso comune».

Come si diceva, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.

Presso tutti i popoli, culture e religioni esiste un “giudizio” sulla realtà femminile che possiamo senza dubbio chiamare “pre-giudizio”. Anche in quelle condizioni nelle quali la dignità della donna viene affermata senza eccezione (ad esempio nella tradizione cristiana, secondo la quale anche la donna è creata a immagine e somiglianza di Dio ed è stata salvata da Gesù Cristo), non di meno si afferma una marcata differenziazione di compiti, di funzioni, di ruoli: in sostanza, all’uomo si riconosce un ruolo pubblico, mentre alle donne una funzione riservata all’ambito privato.


Questo atteggiamento di fondo, che attraversa praticamente tutta la storia dell’umanità, è riassumibile in un proverbio estone: «La casa è il mondo della donna; il mondo è la casa dell’uomo».

Identificando periodi storici più precisi, focalizzare meglio la questione dei pregiudizi (anzi, del pregiudizio: si tratta, infatti, di una mentalità globale) nei confronti delle donne. Considerando, ad esempio, il ventennio fascista in Italia, è possibile cercare di comprendere la condizione delle donne italiane nella loro reale situazione e non solo alla luce delle proclamazioni politiche più o meno realizzate. Anche in quella vicenda storica, infatti, non mancarono forme di pregiudizio antifemminile, che andrebbero analizzate in chiave psico-sociologica, non ideologica.


Si parlava del fascismo. E non a caso. Tra tutti gli infiniti periodi della vicenda umana, questo capitolo della storia d’Italia è un periodo facilmente identificabile, con una data di nascita e una di morte. È, inoltre, abbastanza lontano nel tempo, così da permettere una lettura critica dei fatti e delle loro motivazioni; ma è ancora abbastanza vicina da suscitare un interesse non di tipo “archeologico”, bensì vivo e vitale. È un momento paradigmatico di tutta un’epoca storica: il fascismo, infatti, nato in Italia, ben presto si “esportò” in altre nazioni, europee e non. Infine, al di là del fenomeno storicamente datato, non si deve trascurare la presenza di una “mentalità fascista” che lo precede e lo segue. Forse anche sul piano del ruolo femminile interessarsi al fascismo può costituire un valido modello di valutazione di alcuni pregiudizi, dai quali faticosamente la società contemporanea cerca di prendere le distanze.

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