Il viaggio nell’anima di Giovanni Gastel

Il viaggio nell’anima di Giovanni Gastel

Quando lo definiscono ‘dandy’ lui arriccia il naso. Ma vedendolo parlare, muoversi, e ammirando il suo look sempre impeccabile e soigné da perfetto gentleman noncurante che lo contraddistingue, allora si capisce che quell’appellativo gli calza a pennello. Non a caso di ‘dandismo’ parlava per descriverlo il grande critico d’Arte Germano Celant, suo grande amico e mentore. Giovanni Gastel è un fotografo di moda e ritrattista che non ha certo bisogno di presentazioni. In questi giorni a Roma si apre al Museo Nazionale delle arti del XXI secolo presso il Maxxi di via Guido Reni ‘The people I like’, una grande mostra aperta fino al 22 novembre. Curata da Uberto Frigerio in un suggestivo allestimento in bianco e nero di Piero Lissoni, l’esposizione racchiude in una selezione di 200 immagini, alcuni dei suoi ritratti più intensi, quasi tutti rigorosamente in bianco e nero.

Classe 1955, sensibile, colto, elegante, carismatico, cittadino del mondo, Gastel, nipote di Luchino Visconti, ha segnato con le sue immagini di moda ma anche con i suoi folgoranti ritratti e i reportage, la storia della fotografia negli ultimi 30 anni. Poeta mancato, inizia a fare il fotografo negli anni Settanta diventando presto uno dei fotografi di punta di Vogue e dei periodici ‘Donna’ e ‘Mondo Uomo’ editi da Flavio Lucchini. Nel 1984, nel suo romanzo ‘Sotto il vestito niente’ che pubblica con lo pseudonimo di Marco Parma, Paolo Pietroni, guru dell’editoria di moda, lo trasforma in un personaggio della trama destinata a diventare poi un film scandalo vagamente ispirato al delitto Terry Broome. Dagli anni’90, dopo una grande retrospettiva alla Triennale di Milano curata da Germano Celant, Gastel viene affiancato ai grandi maghi dell’obbiettivo della moda: Avedon, Newton, Leibovitz, Testino e Teller, entrando così nell’Olimpo. Nella sua carriera artistica Gastel alterna il banco ottico, usato da Newton e Barbieri, al digitale evitando però quella che lui definisce ‘la bulimia da photoshop’.

La mostra, allestita come un ‘labirinto manicheo’ come lo descrive Piero Lissoni non senza una vena ironica, presenta una crestomazia di personaggi, i più noti, i più osannati, i più popolari e controversi del nostro tempo colti nell’atto di mettersi a nudo con la loro anima davanti all’obbiettivo del maestro, in una luce che, citando Gastel, “emana dall’interiorità”. C’è il raggiante sorriso di Obama che sembra essere il coronamento di tante battaglie civili culminanti nel movimento odierno ‘Black lives matter’. C’è il ghigno beffardo di Mimmo Iodice e il volto pensoso di Ferdinando Scianna che detesta farsi fotografare e ha sempre la testa fra le nuvole. Il bellissimo Roberto Bolle viene raffigurato come un amletico pensatore nel suo regno, alla Scala, mentre Stefano Accorsi cavalca dei cavallini di legno colorato. E poi Marco Pannella, Ettore Sottstass, Luciana Litizzetto, Lapo Elkann, Antonello Venditti, Miriam Leone, Marisa Berenson, Carla e Franca Sozzani, Tiziano Ferro e la performer Bebe Vio che con le sue protesi metalliche appare quasi una super eroina in stile ‘Metropolis’ o una cyborg che prefigura il corpo postumano. Uno spazio particolare nella mostra è dedicato a una galleria degli 80 ritratti in dolcevita nero, vagamente ispirati alla serie dei ritratti col black turtlenck realizzati fra gli anni’60 e la metà dei seventies dal grande Victor Skrebneski, mentore di Cindy Crawford. Gastel è un cultore dello scatto spontaneo e originale, ama improvvisare sul set e non si accontenta mai del primo scatto perché di solito non è mai quello migliore. “Il ritratto è un atto di seduzione; io cerco la bellezza ovunque, anche nei soggetti più improbabili” dice Gastel al vernissage dell’esposizione davanti a una compiaciuta e radiosa Giovanna Melandri, la charmante direttrice del Maxxi e madrina di questa suggestiva mostra. D-Art ha incontrato il grande fotografo per una conversazione esclusiva. 

Signor Gastel, la fotografia da sempre snobba la moda definendola un’attività mercenaria, sulle orme di Jean Loup Sieff che alla fine degli anni’60 sentenziò: “La fotografia di moda non esiste”. Lei che ne pensa?

Tutta l’arte è sempre stata finanziata dai mecenati, fin dal Rinascimento. La moda ha finanziato la mia ricerca artistica e io le sono molto grato. Molti dimenticano che il soggetto della fotografia di moda è il vestito, non la persona, e questo può sminuire chi sopravvaluta il soggetto fotografato rispetto all’abito. Ma questa distonia è ormai superata.

Lei ha fotografato gli abiti di tutti i più grandi stilisti italiani. Qual è il couturier che le è rimasto nel cuore e che l’ha influenzato di più?

Gianni Versace. Lo adoravo. Quando ero alle prime armi sui suoi set lui mi dava carta bianca, io gli chiedevo cosa desiderasse e lui mi diceva che voleva che lo stupissi e che mi divertissi. La più bella art direction che potessi desiderare. Mi manca molto il suo coraggio e la sua voglia di sperimentare e di cambiare, oggi quasi del tutto assente nella moda.

Qual è fra i grandi maestri della storia della Fashion Photography quello che l’ha segnata maggiormente?

Irving Penn. Io sono un fotografo ‘classico’ e come lui ho sempre perseguito l’idea di una bellezza neoclassica, assoluta. Come Penn ho spaziato dal paesaggio allo still life, dai ritratti alla moda, fino al beauty. Amo molto anche Avedon ma sicuramente nella mia ricerca Penn ha lasciato una traccia più profonda anche perché è il più completo.

C’è un personaggio celebre che prima di una sessione di ritratto l’ha pregata di trattarlo con clemenza, come fece Kissinger con Richard Avedon?

Ricordo un episodio divertente durante gli scatti che ritraevano Michele De Lucchi. Mi chiese di non eliminare le rughe il che è davvero divertente e inusuale perché spesso tutti i soggetti ti chiedono di alleggerirle.

Cosa ricorda di suo zio Luchino Visconti?

Quando morì avevo 22 anni, incoraggiava molto la mia attività e mi portava spesso con lui sul set. Lui anteponeva l’arte e l’opera a tutto, vendeva le sue case per finanziare i suoi film, era un vero artista, lui sì dandy puro e allergico alle questioni finanziarie. Spero di aver ereditato da lui il mio senso estetico.

Giovanni Gastel