Saviano e il plagio

Non voglio entrare nel merito dela questione “Saviano-plagio”. La questione attiene ai tribunali, in cui le parti che si sono sentite lese hanno dimostrato i fatti e giudici terzi, in un regolare processo in più gradi e seguendone le procedure hanno riconsciuto le loro ragioni. Il resto sono polemiche sterili, che non riguardano né l’informazione, né la lotta alle mafie, né il giornalismo, né i fatti.
 Non entro nemmeno nel merito della vicenda tra Saviano e Ordine dei Giornalisti e Sindacato Unitario della Campania. In proposito gli articoli sono tre. E chi si vuole fare un’opinione, scevra da commenti, li trova qui.
 La nota congiunta di Ordine e Sindacato Regionale, La replica di Saviano su l’Espresso e questa la contro replica di Ordine e Sindacato e dei consiglieri nazionali FNSI


Questa vicenda però porta con sé almeno tre considerazioni, che partono da Saviano e dal giornalismo e dal mondo dell’informazione per descrivere – ed in questo questa vicenda è davvero emblematica – il tempo della comunicazione in cui viviamo.
La prima considerazione è che ormai non si scrive più “andando sul campo”, ma si usano pc sempre connessi. [ne ha ben scritto Federico Varese su La Stampa]Il che porta spesso a ricercare conferme e dettagli online. Ciascuno ha il suo metodo. Ma altrettanto spesso si ritiene che “dato che sta in rete allora è gratis”, oppure copiabile, come se fosse proprio. E non è così. Vizio discreto ma grave, almeno se e sino a che non c’è malafede.


La seconda considerazione è che “abbiamo bisogno di eroi”, o quanto meno di simboli. Forse ne abbiamo tanto più bisogno quanto più il tempo accelera e i modelli delle nostre vite diventano precari. Ma questa ricerca di miti e di personaggi cui concediamo ogni attenuante e assoluzione non è un bene, nè per le batteglie di cui sono simboli, nè per la società nel suo complesso.
La terza considerazione riguarda una patologia assordante che riguarda sia l’informazione che la politica, il giornalismo, il mondo dell’impresa, e tutto quanto a torto o a ragione considera se stesso come “soggetto apicale”. Se subisce un qualsiasi attacco diventa atto di lesa maestà, il che si traduce spesso (come in questa vicenda) di un uso personale e personalistico di uno spazio che non gli appartiene. Un vecchio adagio recita che “i giornali sono dei lettori”. Per questo non dovrebbero mai essere uno spazio privilegiato e personale per replicare su questioni personali o che dovrebbero avere un luogo naturale “altrove”. Ci si dovrebbe chiedere se una persona “normale” colpita dalla stessa accusa avrebbe a disposizione gli stessi media per consolidare a proprio favore l’opinione pubblica. E chiaramente sappiano che non è così, e che non avrebbe tali mezzi.


Saviano copia. È un fatto accertato e non in discussione.
 A scanso di equivoci non è questa né la sua colpa né in sé il reato. Semmai lo è non aver mai messo (se non dopo condanna giudiziaria) una sola nota, un solo credit, una sola postilla (eppure non costava nulla e sarebbe stato facilissimo) per dire da dove aveva preso quella informazione o il nome di chi aveva dato quella notizia.
Ciò come dicevo prima sarebbe un vizio discreto ma grave, almeno se e sino a che non c’è malafede. E qui invece comincia qualcosa di grave che trasforma tutta questa vicenda in qualcosa di diverso.
Una società che ha bisogo di eroi genera mostri. E i miti di cui ha bisogno e che alimenta e droga con il doping mediatico finiscono con l’essere schiavi di un ruolo irrinunciabile. I personaggi finiscono con il credere davvero al proprio mito, e di considerarsi davvero supereroi, intoccabili, ai quali muovere una critica significa compiere atto di lesa maestà.
Occore un’alchimia non solo mediatica ma anche industriale: occorre cioè che il mito porti reddito e fatturato, così che chi guadagna da quel mito abbia tutto l’interesse a che ci sia polemica, dibattito e spazio (mediatico). Se c’è questo tutto torna e funziona e diventa un circo. Anche quando il tema sono le mafie e si parla – spesso a sproposito – di “morti ammazzati” e di veri eroi civili con un po’ troppa leggerezza che sfocia nella blasfemia, o almeno nel “pessimo gusto”.


Saviano non cita i giornali da cui prende notizie e fatti a piene mani perchè è troppo preso dal mito di sé come unico e solo eroe dell’informazione anticamorra. Non può ammettere o dire o dichiarare che ci sono tanti giornalisti che ogni giorno fanno informazione “vera” e seria e rischiano anche più di lui. Senza scorte e senza comparsate tv, e i cui articoli (spesso veramente scottanti e originali) non vengono pagati migliaia di euro.
Saviano non può citare i gironali da cui attinge, perchè sono gli stessi giornali che definisce “collusi” o che spesso ne criticano gli eccessi, e da star mediatica sa bene che nominarli sarebbe fargli pubblicità.
Saviano ha parlato sempre di sé stesso come di un giornalista, senza esserlo.
Oggi paragona sé stesso a “un abusivo dei giornali”, parlando al grande pubblico che immagina e desume sia la stessa cosa. Mentre Saviano sa bene che gli “abusivi” nei giornali di qualche decennio fa erano giornalisti, iscritti all’ordine, che semplicemente non avevano un contratto.
Cosa ben diversa da chi giornalista non è, scrive (come può fare liberamente chiunque, ma senza definirsi giornalista) ma di contratti ne ha parecchi, e decisamente ben pagati.

Saviano spara nel mucchio, attacca una categoria in generale, senza distinzioni, pur di salvare il mito di se stesso da cui lui stesso dipende.


Chi lo critica è servo, corrotto, colluso, parte di un sistema.
La scelta offerta alla massa è un manicheismo quasi settario, o con lui o con la camorra. Dimenticando che il primo atto di legalità è il riconoscimento del lavoro altrui.
Ciò che non esclude il merito dello scrittore-Saviano: aver acceso i riflettori su un fenomeno in generale e sul clan dei Casalesi in particolare, che sino a Gomorra erano relegati – appunto – alle folte pagine di cronaca locale ed al lavoro di cronsiti di frontiera.
La reazione dei fan – che scientemente Saviano stimola e spinge alla alzata di scudi ogni qualvolta qualcuno osa criticarlo – è violenta e scomposta… tipica di chi non può far a meno del personaggio di se stesso da cui dipende: il Daily Beast finisce con l’essere al servizio del narcos, i giornali locali al soldo della camorra, i colleghi che lo criticano sono gelosi o rosiconi, tutti soggetti di un complotto dei poteri forti che lo vogliono far tacere…
Eppure, basterebbe mettere due note ogni tanto, senza polemiche. E senza inventarsi novello inventore di presunti generi letterari.
A meno che queste polemiche non servano per alimentare l’esistenza di un personaggio senza il quale, a ben vedere, Roberto Saviano non saprebbe vivere.